Nine – King
Quando si ama genuinamente qualcosa e la stessa si trasforma inaspettatamente in business, il rischio di vedersi spogliati delle proprie motivazioni va adeguatamente calcolato, specie laddove sussistano logiche che semplicemente ci sfuggono, perché non le abbiamo mai vissute. Quanto accaduto a Nine (Double M) ne è la perfetta esemplificazione: lui con l’Hip-Hop è cresciuto, ha imparato ad amarlo e farlo suo per sopravvivere ai rigori della vita nel Bronx, l’ha culturalmente abbracciato ed è comprensibilmente rimasto deluso quando le major l’hanno sottratto alle sue origini con un perfido ma preciso colpo di biliardo, azionando irrimediabilmente una macchina ancor oggi in grado di stampare profumati bigliettoni che arricchiscono i profitti di fine bilancio.
Se Nine non è un personaggio conosciuto come avrebbe meritato, esiste una ragione precisa, dovuta al volontario allontanamento da una scena progressivamente snaturata da tanti colleghi che hanno preferito vendere la credibilità in cambio di una scorciatoia più agiata, mentre altri cercavano di resistere agli inghippi contrattuali perpetrati dalle etichette. Perciò il lontano biennio tra il ’95 e il ’96 costituisce solo una frammentaria memoria di una carriera mai decollata, interrotta dalle consuete trappole industriali – nel caso specifico, la cessione della Profile Records all’Arista e il conseguente ingabbiamento legale del contratto di cui Nine era firmatario – e riesumata solo da qualche sporadica pubblicazione sin troppo diluita nel tempo; piccoli segni della volontà di rientrare nel gioco e terminare quel lavoro lasciato in sospeso con tanta frustrazione, tuttavia insufficienti per fare breccia in un territorio che aveva perduto le dinamiche precedenti.
Il recente incontro con gli Snowgoons è invece risultato decisivo, la crew tedesco/danese è difatti avvezza al caricare di nuova linfa chi un tempo cavalcava la cresta dell’onda solo per piombare successivamente nell’ombra, basti semplicemente pensare alla riuscita mini-reunion di all stars che costituiva “The 90’s Are Back“, tratta dall’ottimo “Goon Bap“, peraltro primo, significativo passo compiuto da Nine verso l’ennesimo ritorno in scena grazie a una strofa minuscola, ma pienamente riconoscibile grazie agli inconfondibili graffi del suo timbro vocale.
Le treccine sono cadute a terra tempo fa e la peluria facciale ha visto mutare i suoi colori, ma lo stato di forma artistico in cui ritroviamo il quarantanovenne Derrick Keyes è certamente più che soddisfacente. “King” fa difatti emergere sin dai suoi primi solchi una certificata abilità nell’intarsio metrico e nella fluidità del flow, compensando l’invariabilità di un timbro ugualmente profondo e roco nonostante il trascorrere degli anni con alcuni passaggi carichi di espressività e soluzioni tecniche stuzzicanti, che colpiscono per l’originalità di alcune similitudini proposte e l’attenzione nel variare consistentemente la posizione dei suoni posti in rima, la costante ricerca della soluzione multi-sillabica e, non ultimo, un wordplay poggiante sull’appaiamento di termini di differente significato ma di uguale pronuncia, espediente – quest’ultimo – utilizzato con indubbia efficacia.
Nine ci tiene a sottolineare che l’aver osservato dall’esterno per lunghi anni non equivale certo all’aver perso dimestichezza col Rap, lo dimostra attraverso una trionfale introduzione, “The Revenant”, coerentemente selezionata per costituire il singolo del grande ritorno, segnata da un loop di trombe di sapore epico ma dai toni minacciosi e un’univoca pulsazione di basso, riuscite coniugazioni che rendono il pezzo memorabile; in “Tremendous” il protagonista è perfettamente conforme al titolo nell’accezione più positiva del termine, il Rap incede affamato di nuove conquiste dentro tinte musicali che prediligono il nero, archi e drum beat invitano al ripetuto assaggio sostenendo il contrasto tra la denuncia per un’ingiusta sottovalutazione personale e la promozione del proprio valore; “Pita Roll” varia con successo registro grazie alla sezione ritmica composta da multipli colpi di cassa, sopra ai quali il Rap scandisce l’inusuale tempo con estrema naturalezza. Tante delle sfide metriche vengono portate a casa con successo, anche quando gli Snowgoons decidono di abbassare notevolmente i bpm per accondiscendere alle peculiarità di un Conway che fabbrica sprezzanti multiliner a ciclo continuo, evidente ispirazione per un Nine che inasprisce i toni, passando al contrattacco violento (“Belafonte”).
L’album tende invece a perdere smalto nel settore tematico, che viaggia a senso unico. Le circostanze sembrano imporre a Nine di sottolineare con costanza la sua orgogliosa conoscenza di una disciplina di cui si sente indissolubilmente parte, al di là delle prolungate assenze discografiche; e, nonostante il carisma e tutti gli spunti tecnici sopra elencati, il continuo rimarcare di determinati concetti contribuisce a rendere meno interessante la seconda parte del disco. “I Am”, “Jump Em” e “Champion” (su quest’ultima Chris Rivers alza da solo il livello del pezzo in modo b-r-u-t-a-l-e!) offrono una costruzione testuale del tutto simile, incentrata su una fila di name dropping che mischia citazioni assortite di mc’s, pugili, figure accostate in similitudine e giochetti di parole non esattamente originali (tra le altre cose viene parzialmente ripreso il concetto di “Labels”), lampanti dimostrazioni di come tali pezzi manchino di stuzzicare adeguatamente la mente o rappresentino inni già sentiti in innumerevoli altre occasioni.
Migliore – da questo punto di vista – la parte precedente della scaletta, nella quale Nine difende la Cultura dagli attacchi esterni attraverso le abili rime costruite con soddisfacente assortimento in quella “Killmongor” che ben amalgama una batteria di chiaro stampo old school a trombe, piano e cori che paiono più d’ammonimento che celesti, oppure su “Hilfiger”, denuncia anti-avvoltoi che gioca intelligentemente con i parallelismi mentre i Goons scandiscono il tutto con un’atmosfera rocciosa e scura. Da evidenziare è pure “Medusa”, resa accattivante dalla più che riuscita strumentale e da qualche lirica divertente (<<you might be recyclable but you still garbage/…/it’s unpredictable like bird shit>>), lasciando poi spazio a quella “Breathe” in grado di mettere d’accordo chiunque, perché il traguardo delle cinquanta candeline non impedisce alla semi-divinità Kool G Rap di collocarsi sistematicamente una spanna sopra chiunque, rendendo superfluo lo sviluppo di qualsiasi altra discussione.
“King” permette dunque al suo attore principale di riprendersi un trono lasciato vacante per lunghe epoche, porre rimedio alle sue delusioni, sviluppare ciò che ancora oggi rappresenta per lui una ragione di vita. Gli Snowgoons – come sempre determinanti al conseguimento di tali fini – proseguono nel loro personale consolidamento di realtà europea radicata all’interno di quell’Hip-Hop che risplende sotto gli strati di cemento più spessi; scena all’interno della quale Nine ha reperito i presupposti per una lunga permanenza riscrivendo la storia della sua carriera, proprio come desiderava.
Tracklist
Nine – King (Goon Musick 2018)
- The Revenant
- Pull Up
- Killmongor
- Hilfiger
- Tremendous
- Belafonte [Feat. Conway]
- Medusa
- Breathe [Feat. Kool G Rap and Smoothe Da Hustler]
- I Am
- Pita Roll
- Jump Em [feat. Ruste Juxx]
- Champion [Feat. Chris Rivers]
- King
Beatz
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Mistadave
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