Intervista a Andrea Cuns – Tuff Kong Records (27/04/2019)
Tra le (cattive) abitudini di chi in Italia pretende di parlare di Hip-Hop – con cognizione di causa o meno – c’è quella di citare sempre e solo le realtà più in vista, allineate alle principali tendenze del momento e intente a seguirne alla lettera ogni minima variazione di percorso. Poche ma significative le eccezioni alla regola, tra le quali merita certo un plauso la label capitolina Tuff Kong Records, diventata nel giro di neppure tre anni un’affermata fucina di uscite esclusive, curatissime e soprattutto dal carattere internazionale, grazie anche ai diversi progetti realizzati in prima persona da (Andrea) Cuns. E’ lui a raccontarci questa straordinaria avventura in un assolato pomeriggio romano…
Bra: se non erro comincia tutto nell’autunno 2016 con un 7” marchiato TKR001, “Torch/Till I Go…”; Conway rappava e tu producevi. Cos’è successo prima di questa pubblicazione e, quindi, come nasce la Tuff Kong Records?
Cuns: anzitutto Tuff Kong siamo io e Domenico, il mio socio – e tutti e due abbiamo un background abbastanza vario. Io da ragazzino ero interessato più alla roba Elettronica e facevo il dj – ti parlo del ’94/’95; poi mio cugino Simone (si riferisce al Danno, ndBra) mi fa conoscere meglio il Rap con cose come i Company Flow e da lì mi si apre un intero mondo, mischio un po’ queste due anime – anche perché mi appassiono a realtà come gli Anti-Pop Consortium e alla Warp – e comincio a conoscere meglio l’Hip-Hop degli anni novanta, Mobb Deep, Pharoahe Monch, O.G.C., Wu-Tang e via dicendo. Intorno al 2003 produco i miei primi beat, più che altro per gioco, e qualche anno dopo, nel periodo di “Ministero dell’Inferno” e appena nato il Quadraro Basement, ho fatto un beat con Lou Chano per Gente de Borgata, qualcuno per Cole, Metal Carter, Duke Montana e insomma la gente con cui bazzicavo allora. Questa parentesi musicale s’interrompe presto, però, perché mi dedico principalmente all’attività di tatuatore; ho avuto un vero e proprio break dalla musica di tre/quattro anni. Casualmente, nel 2014, compro dal mio caro amico Luca Mamone un MPC 4000 e mi rimetto sotto, raccogliendo una bella cartella di beat: un po’ di cose le mandavo a Gast, che ha preso un paio di strumentali per “Underground legend mixtape”, e siccome ascoltavo Conway a rotta di collo – e lui diceva tramite i social di contattarlo per eventuali collaborazioni – gli scrivo un po’ alla cieca, perché su quel mood lì m’immaginavo proprio uno come lui; m’ha risposto subito, ci siamo messi d’accordo e nel giro di qualche mese avevamo tutto. Ero solo un po’ indeciso su come lanciare i due pezzi, nonostante avessi già deciso di metterli su vinile; alla fine, parlando con Domenico, che viene dalla scena Punk Hardcore e aveva fondato Soulcraft Music, abbiamo pensato di fare tutto noi e creiamo così Tuff Kong Records, nata in effetti per far uscire quel disco e basta. Il seguito è stato ottimo e di conseguenza la cosa si è evoluta quasi al di fuori del nostro controllo.
B: la cosa che colpisce, dando uno sguardo al catalogo sempre più ricco della label, è che tra i titoli rilasciati si riconosce una linea editoriale – chiamiamola così – abbastanza netta, orientata soprattutto verso il Rap newyorkese più crudo. Avete lavorato molto su quest’aspetto?
C: anche se non lo sapevamo, Tuff Kong è chiaramente un punto nella cui direzione, avendo maturato diverse esperienze in ambito musicale, entrambi volevamo andare. Io sono un collezionista e mi sarebbe sempre piaciuto stampare dischi miei, però non mi sembrava del tutto realizzabile; nel momento in cui abbiamo visto uno spiraglio ci siamo entrati dentro tutti e due senza esitare un secondo, nel senso che avevamo appena prodotto Conway e già pensavamo alle possibili uscite da ristampare. Anzi guarda, l’istante in cui abbiamo preso coscienza di ciò che stavamo facendo è appunto quando pubblichiamo “Blah Blah Blah” dei Blahzay Blahzay; abbiamo scelto un titolo per cui io stavo in fissa, mai ristampato prima, contattiamo P.F. Cuttin’ e ci rendiamo conto che la cosa si stava facendo subito più grande del previsto…
B: …e avete il merito aggiuntivo di aver riportato in attività un duo che non si vedeva più da tempo. Ma la vostra proposta si allarga sia alle ristampe, da “Doe Or Die” di AZ a “kARMA” di Kaos, che alle edizioni in vinile di molti titoli underground, da “Omertà: The Film” di Lil Eto e V Don fino ai recenti lavori Soul Assassins. Da questo punto di vista siete i primi – e gli unici! – ad aver aperto un canale diretto verso gli Stati Uniti: come ci siete riusciti?
C: onestamente credo sia più difficile mantenerle in piedi, le cose, che arrivarci. Perché, a parte il nostro impegno, è venuto tutto un po’ da sé: tramite P.F. Cuttin’ siamo entrati in contatto con Meyhem Lauren, il quale ci voleva già sentire per “Glass” con Harry Fraud, da lì arriva anche Dj Muggs, che doveva venire a Roma e ha voluto incontrarci per parlare di un po’ di cose; è così che, un pezzo per volta, l’identità della Tuff Kong prende una forma più precisa.
B: anche dal punto di vista realizzativo mi sembra di cogliere – in particolare con riferimento ai primi singoli – delle analogie; penso al suono piuttosto essenziale, al formato breve, alle illustrazioni di Scarful… L’idea era quella di dare subito una forte riconoscibilità alle produzioni Tuff Kong?
C: assolutamente sì; e questo è stato un fattore che ci ha aiutato molto. Nel senso che tanti rapper e produttori sono interessati all’aspetto grafico e gli piace che il loro prodotto abbia l’attitudine che abbiamo costruito noi. D’altronde Scarful è uno che ha realizzato progetti per tanti artisti, anche diversi tra loro, e marchi importanti; è un illustratore da trent’anni e di conseguenza ha un grande bagaglio d’esperienza, necessario per imbroccare il linguaggio giusto – infatti con noi, secondo me, è riuscito a integrare benissimo i rispettivi immaginari. Poi ci teniamo anche a realizzare il vinile piuttosto che il gadget in modo tale da rendere unico il risultato finale; ora ad esempio abbiamo Meyhem Lauren e Alchemist col singolo “Still Playing Celo”, che ha un suo set di dadi perché il Cee-lo è ‘sto gioco che fanno in America e allora per l’edizione speciale abbiamo pensato a qualcosa di davvero nerd. Io un prodotto così me lo comprerei, quindi lo faccio come lo vorrei.
B: venendo invece al mercato nazionale, la vostra presenza si fa decisamente più centellinata. Possiamo dire che il carattere musicale della Tuff Kong sia in sostanza agli opposti di quanto proposto oggi da gran parte dell’Hip-Hop italiano?
C: diciamo che l’idea è quella di fare le cose perché sono fighe, non perché devono vendere, perciò pochi titoli ma coerenti con la nostra identità. Abbiamo il Colle per l’edizione in vinile di “Adversus”, i DSA Commando con “Memento mori”; vogliamo fare le cose in un certo modo, non perché siamo costretti a farle.
B: è un approccio che mi sembra di ritrovare anche nel tuo percorso da beatmaker, legato alla tradizione ma attento alle più recenti evoluzioni in ambito underground. A quali figure del passato e del presente ti senti più legato, per ispirazioni e affinità?
C: senza dubbio Alchemist, che rappresenta tanto il passato quanto il presente. Il mio produttore preferito è lui perché ha sempre cambiato formula rimanendo al massimo, al top, collaborando contemporaneamente con artisti di primo livello – ad esempio 50 Cent, la G-Unit – e appunto con gente come Conway e Westside Gunn piuttosto che mille altri artisti non mainstream. In lui vedo la passione sincera, non fa le cose solo per venderle, vuole divertirsi davvero – e nella sua musica lo senti. Ricordo quando venne a Roma con Oh No: io sono andato a sentirlo e ho portato una pila di dischi da farmi firmare, ha visto “Israeli Salad” e mi fa ma vi comprate ‘sta roba qua?! Per farti capire lo spirito con cui fa certe cose, non gli viene neppure da pensare che in Italia un disco strumentale così abbia un pubblico. Poi potrei citarti Large Professor e, in tempi più recenti, V Don, perché è un altro che si sa muovere tra suoni molto diversi, fa perfino le cose un po’ Trap, moderne, però con un taglio suo, personale.
B: concretamente, invece, che macchine usi, da cosa campioni e come articoli tutta la fase di composizione?
C: è tutto molto vario e lo è sempre stato. Ho suonato con campionatori, un MPC 2000 che ho usato in realtà pochissimo, il 1000, il 4000; ho qualche synth, al momento un Moog in prestito che sto imparando a integrare con le mie cose. Diciamo che butto giù le idee, le assemblo e poi, per valorizzarle, le affido a qualcuno che sa fare il suo lavoro, da Stabber a Bassi, perché sono abbastanza rozzo nell’approccio lavorativo: tiro fuori dal campionatore le cose, gli do due tagli e chiudo tutto con Ableton Live. A livello di sample uso principalmente il vinile ma non per forza, non sono un integralista né un digger di quelli pazzi che si va a cercare il titolo più raro che ci sia, anche perché sono dell’idea che quasi in ogni disco, con un po’ d’orecchio, puoi trovare qualcosa di figo. Sono molto da mercatino: mi spizzo il vinile, vedo l’anno o la copertina, lo porto a casa e ti assicuro che ci tiro fuori almeno un beat.
B: anche se – come raccontavi – prima del 2010 prendi parte a diverse uscite, produrre strumentali per Conway, Big Twins e Benny è stato quasi un secondo esordio per te, considerato l’evolversi magari inatteso di queste collaborazioni; cosa succede quando pubblichi quei tre singoli iniziali della Tuff Kong?
C: c’è stato subito interesse, una certa curiosità; non però – devo dirlo – dall’Italia. In realtà la quantità di cose fatte ritengo sia ancora poca, però mi ha contattato un po’ di gente, tra i primi ricordo John Jigg$ e infatti abbiamo subito chiuso un lavoro, poi Hus Kingpin, Tha God Fahim… Tieni conto che andare a concludere un progetto è comunque complicato; trovare un accordo per stampare un disco è invece più semplice, richiede meno passaggi di mezzo. Molte volte parti con artisti che lavorano in un certo modo e tu lavori in un altro, loro sono da una parte e tu qui, le tempistiche si dilatano notevolmente e allora non è detto che si arrivi a una pubblicazione. Benny, ad esempio, l’ho contattato io, mi ha risposto e nel giro di dieci giorni avevamo tutti i pezzi – anche se di fatto è trascorso quasi un anno per l’uscita del vinile; dipende tutto da molti fattori e alle volte di alcuni progetti si parla a lungo senza arrivare mai a un punto fermo.
B: veniamo al presente. Hai da poco realizzato un EP con A.G., “Bronck’s Kill”: raccontaci la genesi di questo progetto e dicci com’è lavorare con un veterano della D.I.T.C. sulla scena da trent’anni.
C: quella è stata una grande soddisfazione! A.G. è uno dei miei rapper preferiti da sempre, gli ho scritto per proporgli di fare qualcosa assieme e lui al primo colpo mi ha detto di sì. Devo dire che ha impiegato quasi due anni per chiudere tutto, nonostante siano cinque pezzi, ma è stato molto disponibile e soprattutto gli è piaciuta fin da principio la roba che stavamo facendo; tempi dilatati siccome vive tra Stati Uniti e Giappone, essendo sposato con una giapponese, e un approccio molto concreto, lavorativo, perché gli americani vanno in studio per fare un pezzo con l’idea di farlo uscire, venderlo e portarci il pane in tavola – che è un modo di fare sacrosanto, sia chiaro. Ho notato appunto che chi fa questa cosa da molto ha i piedi per terra, va dritto al punto e non perde tempo.
B: che tipo di risposta avete avuto a un mese circa dall’uscita?
C: dal punto di vista commerciale ha avuto una risposta media, nel senso che un disco di Benny lo vendi in cinque minuti, mentre A.G. ha un mercato diverso. A livello di feedback, invece, tutti positivi; e ti dirò che la cosa bella è che lui stesso mi scrive per dirmi che abbiamo fatto una cosa che spacca. Diciamo che A.G. lo vendi dal Giappone al resto del mondo, ma non va sold out in una mattinata. Noi stiamo cercando di costruire un catalogo di tutto rispetto e non è detto che tutti i dischi debbano andare esauriti il giorno dopo che li mettiamo in vendita, alcuni vanno via subito e per altri occorre magari un anno. Io sono sicuro del valore del prodotto ed è questo ciò che conta.
B: per l’immediato futuro cosa avete in programma, tra nuove uscite e produzioni tue?
C: siamo al lavoro su tante uscite in distribuzione, ad esempio abbiamo fuori “The Stage” di Curren$y e Smoke DZA con Harry Fraud. Altro piccolo progetto di cui mi piace parlare è Roma Guasta, un duo formato dai fratelli Lise e Blant, che collaborano con Depha Beat e il 3Tone Studio: loro stanno in fissa per la roba americana, hanno gusti simili ai miei e gli ho dato qualche beat per “In times of need”, che abbiamo prodotto in parti uguali io e Depha – è sul loro Bandcamp. Un’altra cosa interessante è “Cammina sull’acqua” di Creep Giuliano, il disco è già fuori e noi stiamo curando l’edizione in vinile, lui secondo me è una realtà italiana atipica, ha delle metriche tutte sue e non somiglia a nessuno della sua generazione. Posso anche anticiparti che ristamperemo “Operation Stackola” dei Luniz, con artwork rivisitato da un bravissimo disegnatore inglese, Dan Lish, che ha realizzato le grafiche dell’ultimo di Raekwon, “The Wild”. Abbiamo in cantiere una cosa molto figa, con dei nomi fuori dal mondo: Mr. Green, produttore di New York, con Lee Scratch Perry e i featuring di Sheek Louch e Daniel Son, più H.R. dei Bad Brains, una cosa completamente assurda. E ancora “Mahalo”, il primo album strumentale di Statik Selektah, i Dumbo Station, gruppo Jazz italiano che ho conosciuto perché faceva i live col Danno, Al.Divino, una cosa mia con Daniel Son e remix di Icon Curties, un ragazzo sardo molto bravo. Insomma, nei prossimi mesi ascolterete un bel po’ di cose…
Bra
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