Chef Ragoo – Novecento
Dieci lunghi anni di attesa da quello che oramai è da considerarsi un piccolo classico, “La compresenza dei morti e dei viventi”, ed ecco finalmente il nuovo lavoro di Chef Ragoo, “Novecento”, un disco necessariamente doloroso e dolorosamente necessario, una inusuale versione del Rap romano che si rivolge non solo ai fan dell’Hip-Hop ma a un pubblico di fascia d’età più ampia e dai gusti più eclettici, come definito dallo stesso Punk rapper capitolino. Ed è una definizione che ci sentiamo di avallare in toto per quel che pare essere un vero e proprio diario nelle cui pagine si alternano senza soluzione di continuità ricordi, riflessioni e storie, col protagonista che si mette a nudo senza alcun pudore, raccontando frammenti di vita rigorosamente vissuta, zero filtri o pose, se non un primo piano con la cresta d’ordinanza e lo sguardo malinconicamente rivolto all’obiettivo.
Nelle quattordici tracce che compongono l’album ritroviamo dunque soprattutto tanto passato, affrontato senza nostalgia ma raccontato per quello che è stato, ossia una tappa ineluttabile di quell’impervio cammino che è la vita, con alti e bassi professionali, personali e relazionali che, oltre a far diventare lo Chef ciò che è oggi, assurgono a memoria storica dei cambiamenti (epocali) intercorsi tra la fine del secolo scorso e quello attuale. Passato che pesa sulle spalle di Paolo sotto forma di inquietudine e disagio (<<ed è certo che il futuro resta aperto/all’inverso il passato non conosce cambiamento/è un monumento a vittorie e sconfitte/a giornate storte e serate dritte/ad ogni errore fatto nelle nostre vite che risuona come un’esplosione>> – la titletrack), zavorra talmente ingombrante da dare la sensazione di essere alle prese con una “Guerra persa” (<<ma cosa vuoi che sia/in fondo questa guerra è solo colpa mia/e io sono una presenza nella fanteria/che non crede più alla scienza né alla santeria>>), sentore rafforzato dalle rime incisive e profonde di Aban (<<cura al mio dolore non ne vedo in questo medioevo/distrugge le certezze come l’ero/…/inciso sempre al collo il marchio se stringe il guinzaglio/perché ognuno fa lo schiavo ma non sa di farlo/tutti attenti a queste scie, al nuovo complotto/mentre in strada l’ignoranza conta un altro morto>>).
Ma passato vuol dire anche passioni, ovvero, nel caso di Ragoo, fumetti, giocattoli e limitrofi (<<da bambino, back in the past/giocavo con robot di plastica e die-cast/e odiavo Waldaster ed ero Tekkaman/ed ero un indiano e odiavo il generale Custer/non avevo sogni tipo l’astronauta/o andare a Castrocaro per fare la Pop star>>), leggere e tuttavia vissute calandosi pienamente nel ruolo di “Nerd Hop”, come ben sintetizzato dall’immancabile Suarez (<<puntavano il dito per la violenza/mentre io ho assorbito sacrificio, correttezza, carisma e coerenza/prendo coscienza dello schifo del mondo/voglio salvare quello di cui mi circondo>>). Interessi che comprendono ovviamente anche la musica e che hanno fatto nascere, crescere e consolidare, spontaneamente e rigorosamente off line, rapporti di amicizia talmente importanti e profondi da potersi definire “La mia scena” (<<non era un caso, questo era il mio destino/ne ero certo, l’ho scelto e l’ho tatuato perfino/e adesso a quarant’anni continuo/un percorso iniziato poco più che bambino/la mia gente me la tengo vicino/la mia scena mi tiene vivo come il respiro>>), legame che va oltre il tempo e la distanza che separa, non a caso valore cardine del featuring di turno, cioè Kento (<<se penso a dove sta chi mi ha insegnato tutto/chi ha successo, chi è depresso, chi la vita l’ha distrutto/vorrei chiamarli tutti e dirgli che stasera/combatteremo ancora insieme, schiena contro schiena>>).
C’è poi spazio anche per l’attualità, figlia degli anni trascorsi e che dunque continua a riservare scorie, che ci sia il buio (<<ora mi sdraio, luce spenta/in attesa di quello che la testa inventa/in allerta, perché una cosa certa so/che anche stanotte morirò nei miei sogni>> – “I miei sogni”) o tocchi mostrarsi alla luce del sole (<<depressione: io sono un’autorità sulla questione/…/fammi una perquisizione, c’ho le tasche vuote/e il vuoto dentro e il vuoto intorno/e non ho più la voce>> – “La fine”). Malessere che può essere combattuto – o almeno arginato – puntando l’intera posta sulla persona che vediamo tutti i giorni allo specchio (<<la guerra è finita ancora prima dell’inizio/senza darti un cazzo di indizio/fare il militante è limitante, eliminare ogni giudizio/smettere di millantare e rallentare, che c’è il precipizio/…/la mia rivoluzione è nello specchio/cambiare la mia vita finché ci riesco/e dovrei essere maturo, ma ancora cresco>> – “L’uomo con la mano sulla porta d’uscita”), su ciò che gli consente di stare meglio, come trasformare le proprie emozioni in parole (<<ho le certezze nelle tasche/sputo rime come rughe dietro maschere che non ho mai avuto/e non so fare come tutti quanti voi/stare zitto, fare il forte, andare oltre e poi sorridere/ma ho scelto di scattare in quattro quarti Polaroid/per non celare la tristezza che sta dentro l’iride>> – Don Diegoh in “Dimentica il mio nome”) o isolarsi in location tanto peculiari quanto salvifiche, ad esempio il Bioparco di Roma per interagire con delle “Scimmiette” (<<certo raga, ce so’ andato in fissa/le fisso, mi fissano e passa ogni fisima/ed in quei giorni in cui sto in crisi mi rianimano/…/e non è che sono loro che assomigliano all’uomo/è l’uomo che dovrebbe torna’ ad essere un bonobo>>) e con un amico di lungo corso quale Brusco (<<Chef, se beccamo alle tre dalla foca/perché condividiamo pure questa droga/animali e solo ganja, per noi niente coca/…/meglio sta’ in libertà/ma porta’ in libertà chi sta in cattività ‘nse po’ fa>>).
La chiusura di questo lungo e tormentato viaggio non può che essere “Sulla spiaggia”, quella con pochissima gente, mare mosso e tanto vento (<<amore, adesso ferma, ti faccio una foto che ci preserva/salva tutto nella scheda/non ti chiedo niente, un po’ di presente che si riveda/…/le memorie mi hanno strattonato nel novecento/perché il presente è un carro armato/e il passato invece è un carro andato/e il futuro è amaro e a mano a mano noi ci avviciniamo>>), una fine che però diventa necessariamente un nuovo, ennesimo inizio.
Versante produzioni, da segnalare l’ottimo supporto fornito dai tre macchinisti coinvolti, ossia Ugly Shoes, Little Tony Negri e Ice One (non dimenticando però I Cani nell’azzardata ma riuscita “Le botte e le strade”, bel pezzo che riesce a emulsionare sacro – aka Danno – con profano, cioè l’indie Pop di Contessa & soci), autori di un’intelaiatura musicale varia e ricercata, un sound atipico nel senso che viene difficile etichettarlo in maniera univoca, assoluta, avendo il gran pregio di non rubare l’orecchio ma, al contrario, di riuscire ad assecondare al centimetro gli altalenanti stati d’animo di Chef Ragoo.
In conclusione, “Novecento” è un gran bel disco, non semplice né immediato e che di conseguenza necessita di più ascolti per essere assimilato e digerito in toto. Caratteristica che, oltre ad allontanarlo decenni luce da tutto ciò che si ascolta nel quotidiano, lo rende ancor più interessante, apprezzabile e, in definitiva, consigliatissimo
Tracklist
Chef Ragoo – Novecento (Time 2 Rap 2021)
- Novecentro
- Novecento
- Le botte e le strade [Feat. Danno e I Cani]
- Nerd Hop [Feat. Suarez]
- Ritmocabrio [Feat. Lucci]
- I miei sogni
- Guerra persa [Feat. Aban]
- L’uomo con le mani sulla porta d’uscita
- La fine
- Tre passi nel delirio [Feat. Cannas Uomo e Nobridge]
- Scimmiette [Feat. Brusco]
- La mia scena [Feat. Kento]
- Dimentica il mio nome [Feat. Don Diegoh]
- Sulla spiaggia
Beatz
- Ugly Shoes: 1, 4, 5, 8, 9, 10
- Little Tony Negri: 2, 6, 11, 13, 14
- I Cani: 3
- Ice One: 7, 12
Scratch
- Dj Craim: 1, 10
- Dj Shot: 4
Gabriele Bacchilega
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