Dave East – Hoffa

Voto: 3,5

Lo scettro dell’Hip-Hop newyorkese è costantemente oggetto di contesa e da tempo Dave East sta confermando di possedere il talento necessario per affrontare questa prestigiosa competizione. Nonostante non sia rimasto troppo lontano dalle scene, gli premeva comunque farsi sentire (e, già che c’era, tornava a interpretare Method Man in “Wu-Tang: An American Saga”); in fondo, la concorrenza ci ha oramai abituato alla molteplice pubblicazione anche all’interno della stessa annata solare e il momento pareva propizio pure per una ragione più sottile, riconducibile alla quasi concomitanza della nuova manifestazione di disagio emanata dal Re – che è pure un mentore del Nostro – e nei confronti del quale era importante affermare la posizione acquisita sul piano a quadri della scacchiera.

Serviva una manovra ambiziosa e sulla carta c’erano tutti i presupposti affinché l’accostamento figurativo a un personaggio come Jimmy Hoffa potesse risultare perfettamente utile agli intenti. Il possibile parallelo tra il rapper e il sindacalista americano scomparso senza lasciare tracce nel 1975 (di recente raccontato da Martin Scorsese in “The Irishman”) si abbinava con naturalezza alla necessità di spiegare la propria sparizione – seppur momentanea – dal campo musicale, così come le presunte connessioni mafiose addossate al medesimo fornivano l’assist per cercare di vestire simbolicamente i suoi panni, scopo manifestato tanto attraverso alcuni dei testi qui proposti, quanto dall’estetica esplicitamente espressa per alcune clip sinora realizzate per promuovere il lavoro.

E’ quindi un peccato che un’intuizione di tale portata non abbia potuto fruire di un perimetro più significativo, dal momento che dopo l’introduttiva “The Disappearance” non sia in sostanza possibile riscontrare altro materiale altrettanto affine all’ipotetico canovaccio di fondo. Quello che dovrebbe essere il fil rouge del progetto diviene così un mero spunto iniziale che contrasta con la doppia veste esibita dall’artista, quando in realtà ne sarebbe bastata una soltanto da abbinare ai numerosi intrecci tematici connessi al suo vissuto – che, a parere personale, costituiscono l’effettivo elemento d’interesse dell’intera operazione. Non a caso, se letto da quest’ultimo punto di vista “Hoffa” muta significativamente il suo grado di attrattiva; e non solo per quanto sia tecnicamente ben eseguito.

La musica de Harry Fraud dà il meglio nella prima frazione dell’album, luogo d’incontro dell’ottima “Diamonds”, la quale rivela un montaggio dei loop vincente grazie a chitarra e flauto atti a puntellare il campione pitchato, conducendo dritti all’esaltazione pura di una seconda strofa impostata su passaggi sentiti, autoterapeutici, riflessivi di quell’aura maldicente che attornia tutte le avversità passate (<<they told me life is what you make it, I’m an architect/cocaine in my mother apartment, I wasn’t talkin’ yet/seen fiends noddin’ off, I wasn’t even walkin’ yet/lyin’ to herself, she said she kicked the habit each year/I watched her from a beach chair, Nikes on my ten toes, I’m genuine/I had a cousin overdosed when Diddy put out benjamins>>). Ottimo è altresì il gusto moderno di “Just Another Rapper”, ennesima dimostrazione di scorrevolezza metrica di prim’ordine che si relaziona al beat come il cacio s’interfaccia ai maccheroni, offrendo un brag Rap ricco di riferimenti personali su bassi devastanti. La musicalmente eccelsa “The Product”, superba esemplificazione metrica espressa con flow torrentizio ed energici schemi in costante variazione, fa pensare che voce e personalità possano domare qualsiasi tipo di beat venga gettato loro addosso, parte della ragione per cui le sonorità tendono a soddisfare in diverse misure le esigenze dei club e la tradizione locale, seppure quest’ultima mai sia richiamata in maniera così esplicita.

“Go Off” offre un intenso intreccio tra chitarra e voce femminile per delle liriche distese su strutture sillabiche ad accoppiamenti multipli a fine barra e assonanze sviluppate, momentaneamente lasciate, poi riprese con versatilità. Molto valida è pure l’intermittenza pensata per i loop che formano l’architettura di “60 For The Lawyer”, la traccia più classica del lotto, mossa da rotazioni di immagini che viaggiano tra vissuto, guardaroba costosi, viste sull’oceano e digestione del proprio dolore attraverso un rammarico diretto ma consapevole (<<you sold drugs to make it happen, I respect you/know some parents might neglect you, never treat you like you special>>). Ancora, “Uncle Ric” preleva corde armoniose abbinandole a un flauto crescente, sopra cui l’oramai immancabile Benny dispensa lezioni di stile divertendosi ad accendere micce a ripetizione (<<still on the pavement, the hood gon’ cheer for the gangsters/a miracle I made it, three albums up and six zeroes later/I’m still goin’ up, but what I get for doin’ y’all heroes favors?/Nothin’, the same shit I gave federal interrogators/…/ask your label where is your advance – where it’s at?/Sittin’ here on my hands – it’s right here, nigga/y’all niggas just trash or y’all got terrible fans>>), costringendo simbolicamente l’attore principale ad accomodarsi di lato per prendere appunti.

Per quanto il lavoro lirico rimanga qualitativamente soddisfacente, ciò non basta però a salvare la seconda parte del disco da un’evidente flessione creativa. Il rapper dimostra di poter evoluire con disinvoltura su ritmiche Trap come quelle proposte da “Count It Up”, episodio mortificato dalla frivolezza argomentativa oltre che dalla discutibile competenza di French Montana, confondendosi presto nella genericità dei troppi brani del tutto simili proposti dalle radio. Sia chiaro, scrivere qualcosa ivi destinato non è un peccato capitale, a patto che sia eseguito a dovere e non proponga ritornelli ai limiti dell’osceno come accade invece in “Dolla And A Dream”, evitabile ammiccamento alle tendenze più in voga. Impalpabile è l’aggettivo che più calza per l’aria Disco/Funk di “Money Or Power”, stessa sensazione evocata dal contributo di Jim Jones, mentre “Red Fox Restaurant”, luogo collegato alla biografia di Hoffa, vede East e Curren$y produrre strofe completamente disgiunte a livello tematico. Intensi sono invece i riflettori che abbagliano il personale proscenio del protagonista, i pensieri di “I Can Hear The Storm” – costruita su un estratto non troppo originale della “Strangelands” di Alan Hawkshaw – prendono naturalmente forma in uno stato di quiete solitaria, gettando lo sguardo in quel buio nel quale i traguardi raggiunti si sono troppo spesso legati a emozioni amare.

Pur apprezzando le qualità che “Hoffa” indiscutibilmente propone, attendiamo quindi Dave East a una prova più concentrata sull’obiettivo da raggiungere, conforme alla sensazione di grandezza che un personaggio dal talento così cristallino sta esprimendo da tempi non sospetti.

Tracklist

Dave East – Hoffa (FTD/SRFSCHL 2021)

  1. The Disappearance
  2. 60 For The Lawyer
  3. Diamonds
  4. Just Another Rapper
  5. Go Off [Feat. G Herbo]
  6. Uncle Ric [Feat. Benny The Butcher]
  7. The Product
  8. Money Or Power [Feat. Jim Jones]
  9. I Can Hear The Storm
  10. Dolla And A Dream [Feat. Steven Young]
  11. Count It Up [Feat. French Montana]
  12. The Win [Feat. Cruch Calhoun]
  13. Yeah I Know [Feat. Kiing Shooter]
  14. Red Fox Restaurant [Feat. Curren$y]

Beatz

  • Harry Fraud: 1, 2, 3, 6, 7, 8, 11, 12, 13, 14
  • Harry Fraud, Westen Weiss and Needlz: 4
  • Harry Fraud and Henny Track: 5
  • Harry Fraud and Tony Seltzer: 9
  • Harry Fraud and A Lau: 10
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