Conway The Machine – God Don’t Make Mistakes

Voto: 4

C’è voluto un bel po’. Quanti saranno, ormai? Grosso modo direi quasi tre anni – mese più, mese meno. A spanne è l’arco di tempo durante il quale abbiamo sentito Conway – e il resto della famiglia di Buffalo – nominare di tanto in tanto questo “God Don’t Make Mistakes”. Anzi, lasciamo anche fuori il questo; perché se è vero che già nel 2019 l’album in oggetto lo raccontavano come pronto almeno per otto dei suoi decimi – e poi c’è comunque voluta tutta quest’attesa – allora chissà quante volte deve aver cambiato forma e colore prima di arrivare a poter finalmente fluire nelle nostre cuffie.

Poco importa, però, quali avrebbero potuto essere i bivi alternativi. Conta infine solo ciò che Conway ha deciso di imboccare e percorrere. E una volta spazzati via gli eventuali dubbi che quella firma con la Shady Records di Eminem poteva portare in dote (o, meglio ancora, sbriciolati dal passaggio di un macigno griseldiano chiamato “WWCD”), restava da capire come il signor Price avrebbe deciso di sfruttare a fondo il potenziale di portata che quegli amplificatori gli mettevano a disposizione. E alla fine ha prevalso la coerenza; non (solo) nella continuità del modus operandi, quanto (e più) nelle intenzioni di fondo. Questione di rischi e benefici; di correre i primi per ottenere gli ultimi.

L’etichetta dell’ex biondino l’aveva fatto a suo tempo con 50 Cent, un rapper sulla cui faccia l’industria discografica aveva tracciato una grossa croce col pennarello indelebile. Un precedente che è stato il catalizzatore dell’accordo siglato dai fratellini “Hall N Nash”. Dall’indelebile alla biro; la penna sopra i rischi. E se la Shady ora se ne prende di nuovi mettendosi in casa due come noi, perché non dovrei fare lo stesso io? Non è, ovviamente, una citazione letterale, ma sono abbastanza convinto che Conway si sia posto una domanda del genere. Specie dopo l’eccesso di compromessi che aveva intaccato il nucleo di “From King To a GOD”, livellandolo verso il basso.

God Don’t Make Mistakes” è un punto d’equilibrio tra il rapper glaciale dei mille cadaveri di “Reject 2” e Demond Price, un uomo che le cicatrici del suo passato non le porta solamente sul volto. Quei segni di guerra – che, in ossequio a qualche bislacca legge di strada, possono anche fare curriculum per un rapper – dentro ne lasciano altri, radicati in profondità. Quasi sommersi. Che non si rimarginano mai del tutto. Ti guardi allo specchio e vedi che non sei più uguale a prima. Lo vedono i tuoi figli. Lo vede tua madre. Ed è una mazzata… Come se fosse in corso una guerra nella tua testa. Queste invece sì, sono parole sue, affidate a un’intervista. E sono la direttrice di un disco che vede Conway, per la prima volta in assoluto, fare la conta (e i conti) con le sue ferite davanti a tutti, dissipando così quella cortina di nebbia che da sempre cela e deumanizza i lineamenti della Macchina. Ma ciò non vuol dire che lo ritroverete sdraiato sul divanetto dell’analista per tre quarti d’ora abbondanti, né tantomeno che il nostro rinunci a esprimere i propri tratti genetici.

Non lo fa certo in John Woo Flick, brutalizzando secondo le usanze di famiglia – col cartello al gran completo – una entrée in riduzione di malevolenza sfornata a quattro mani dal fedelissimo Daringer con la complicità di Kill. La tetra Piano Love è altrettanto letale; a lenta combustione: la cadenza dell’mc scivola di rima in rivolo sulle ottave dell’Alchimista. E poi l’attacco a due punte con Beanie Sigel che apre la scaletta in Lock Load; un duetto ruvido (<<I get to trippin’, get the blick and this AR in my hand/every bullet in the cartridges land/the stick look like a guitar in my hands/drummin’ like I’m part of a band>>) di voci appesantite dal piombo. Sono le storie che amiamo ascoltare, ma sono pure quelle che già conosciamo. Il discorso cambia del tutto quando si arriva a Stressed o alla titletrack, oltre l’algido strato. Là troviamo un Conway che non avevamo mai avuto occasione di conoscere. Sempre duro, ma umano. Vulnerabile. Eppure è proprio a questo punto che il peso delle sue rime si impenna: <<niggas don’t understand depression is real/people stressin’ ‘bout real life shit, you stressin’ your bill/and not too long after my cousin hung his self/I never told nobody, but I lost a son myself/imagine bein’ in the hospital, holdin’ your dead baby/and he look just like you, you tryna keep from goin’ crazy>>.

“God Don’t Make Mistakes” è un crocevia per Conway The Machine; segna il momento in cui ha trovato la forza di scrollarsi di dosso i demoni che l’attanagliano da una vita. Una fase diversa del suo percorso, che però rimane il medesimo. Non si limita più a rappare per sfoggiare i muscoli. Oggi ha una storia da raccontare: la sua. Anche quella è parte del percorso, ciò che lassù hanno tracciato per lui. Quello su cui quaggiù probabilmente nessuno avrebbe scommesso. Ma, si sa, errare (e il titolo dell’album, di riflesso, ce lo ricorda) è una specialità tutta nostra.

Tracklist

Conway The Machine – God Don’t Make Mistakes (Shady Records/Drumwork Music Group/Griselda Records 2022)

  1. Lock Load [Feat. Beanie Sigel]
  2. Tear Gas [Feat. Lil Wayne and Rick Ross]
  3. Piano Love
  4. Drumwork [Feat. 7xvethegenius and Jae Skeese]
  5. Wild Chapters [Feat. Novel and T.I.]
  6. Guilty
  7. John Woo Flick [Feat. Benny The Butcher and Westside Gunn]
  8. Stressed [Feat. Wallo]
  9. So Much More
  10. Chanel Pearls [Feat. Jill Scott]
  11. Babas [Feat. Keisha Plum]
  12. God Don’t Make Mistakes [Feat. Annette Price]

Beatz

  • Daringer and Beat Butcha: 1, 8, 11
  • Cosmo Beats: 2, 10
  • The Alchemist: 3, 12
  • Daringer: 4
  • Hit-Boy: 5
  • Bink!: 6
  • Daringer and Kill: 7
  • J.U.S.T.I.C.E. League: 9
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