Blu and Real Bad Man – Bad News

Voto: 4

Il fascino di molte cose risiede nella loro semplicità, a patto che se ne riesca a godere contro gli affanni delle rincorse all’ultima novità e alla conformazione ai trend del momento: l’importante è saper cogliere quel famoso attimo e valorizzarlo nel migliore dei modi. Una ventina abbondante di minuti è una quantità di tempo più che sufficiente da potersi ritagliare in un qualsiasi momento della giornata e coincide con la durata del primo lavoro congiunto di Blu, icona dell’underground di Los Angeles, e la crew Real Bad Man, la quale prosegue con sartoriale precisione la sua personale avanzata nel beatmaking, iniziativa portata avanti con lo stesso estro con cui Adam Weissman si è fatto largo nel campo dei brand d’abbigliamento. Una percorrenza esigua, certo, ma consona a un’epoca in cui tutto corre come un vagone della metro e l’attenzione è distratta da mille e più faccende: di conseguenza, le playlist svettano sul singolo album senza che ciò sia necessariamente un male; anzi, spesso sono d’ausilio per individuare brani di qualche progetto di cui nemmeno si conosceva l’esistenza, proprio come nel caso di “Bad News“.

Un viaggio breve, ma al cui interno si possono cogliere tantissime informazioni, percependo un tasso di coesistenza tra liriche e produzione in grado di ripagare con gli interessi il prezzo speso per il biglietto. Il quadro argomentativo proposto da Blu è come sempre molto personale e intenso, dosando le proprie capacità grazie a un’intelligenza evoluta e al contempo letalmente delicata, in grado di ferire maggiormente quando la sua profondità si rivela indigesta alla massa. Se a ciò si aggiunge un allestimento musicale tutt’altro che secondario per la qualità complessiva nell’opera di taglio e cucito delle golose porzioni di sample estratte dalle fonti più variopinte, il successo di questa piccola ma densa operazione è presto decretato. Il tempo a disposizione è ridotto e allora il talentuoso rapper non lo spreca certo in indugi, ponendo in bella mostra sin da principio l’ampio arsenale lirico collezionato in anni di grandi esperienze. L’introduttiva titletrack accende il motore e inserisce fulmineamente le marce più alte, sottoponendo un granitico blocco di ventiquattro barre corrispondenti ad altrettanti carati dorati che ben riassumono ogni settore della capacità lessicale del Nostro, dal saper trasportare da una linea all’altra un disegno di rime sostanzialmente perfetto, ricco di termini differenti nella struttura ma sempre assonanti, all’elasticità dei giochi di parole e dei legami tra rime battagliere, un’esperienza che rende ogni passaggio degno di riascolto, a maggior ragione se combinato a una splendida sinfonia d’archi.

Oldie but goldie verrebbe da dire per l’impatto di “Aladdin”, edificata su uno stile molto vicino a quello di L’Orange (e quindi delizioso!), con chitarra ritmica e organo impolverato, per un testo che parrebbe giocare coi doppi sensi prendendo di mira le orde di giovinetti convinti d’incarnare delle divinità terrene senza mai fermarsi a pensare alla propria limitatezza umana, ma che potrebbe altresì essere interpretato come una sorta di metafora dell’imbottigliamento di un talento non adeguatamente riconosciuto. La padronanza del wordplay è uno dei piatti forti di casa Barnes, “All Praise Due” ne offre fortunatamente in abbondanza su un doppio loop di piano altamente godibile, esaltando astuzie create con la giusta piegatura delle parole (<<leave you squirting up blood when we serving up slugs/Blu busy boning ‘bout to birth more thugs>>) e riservando il residuo getto di farcitura nel ritornello (<<direct from the west/wrecking your set without using special effects>>); giusto un promemoria nei confronti di chi presume che South Central funga da residenza esclusiva per i thugs. L’amore e il rispetto delle proprie radici è una tematica essenziale, come asseverato da una “More Bad News” posta in chiusura proprio per lasciare quel pizzico di malinconia, priva di speranza per il destino di quella pericolosa zona di Los Angeles il cui quotidiano è amaramente ben descritto (<<you can find me in a Cadillac, flipping through tracks like an acrobat/battle raps back in my Los Angeles habitat/rat-tat-tat, next thing you know, you hear clapping back>>), in una fusione del tutto naturale tra la melodia del campione vocale pitchato e un giro di piano atto a sottolineare il velo di tristezza interiore causato dall’eccessiva violenza di quelle strade.

Il quartiere è ancora tra i soggetti di “The Hurt”, nella quale il gioco d’incastri tra flauto e trombe funziona fin troppo bene offrendo un tappeto ideale per raccogliere sprazzi di memorie personali, ricordando come il Rap abbia permesso al rapper di togliersi da incroci pericolosi e restringendo più concetti in poche righe, trovando ancora una volta nella sintesi un alleato determinante. “Hebrews”, al di là del credo di ciascuno, è una gemma letterale per come Blu riesca a ricamare più argomenti con lo stesso filo in maniera asciutta, racchiudendo ingiustizia sociale, teologia e senso dell’esistenza (<<God is deep, I used to be intrigued as a child/by the stories of a man who lives in the clouds/knows your every move when you lie, tell the truth/and he calculates it all in the end just to choose/if you should go to heaven or hell, had to see for myself>>); nella sua prima frazione, sirene Soul sembrano cantare dal fondo dell’oceano losangelino per poi lasciare spazio al beat switch che conduce dritto a Fresno, da dove Planet Asia affronta il tema pur virandolo verso sé, inscenando una serie di riferimenti storico/mitologici che vanno a comporre una strofa memorabile.

A conferma di un’accurata selezione di ospiti, “The Golden Rule” vede ricomparire C.L. Smooth in forma intatta, contestualizzando due vocalità differenti ma estratte da un tessuto ugualmente morbido, coppia di cerimonieri d’eccellenza al servizio della vera arte del microfono, peraltro con l’ottima l’idea della divisione in due di un beat che bilancia staticità e dinamicità in egual misura, facendo aderire armonicamente ogni componente dei numerosi sample utilizzati con notevole senso melodico. “Fall Of Rome” è infine divertimento puro, ogni assegnatario contribuisce con una strofa di livello omogeneo alla precedente e chi entra nel cerchio non sbaglia un colpo, manifestando un esercizio di stile fatto come Dio comanda su un gustoso beat di trombe.

Ventidue minuti di alta qualità, ricchi di riflessione, fine tecnicismo lirico e ottima produzione: “Bad News” è un manufatto di piccole dimensoni ma soddisfacente in pieno, la sua forza è nell’inversa proporzione tra estensione e qualità, facendone un ottimo principio per una cooperazione che speriamo si intensifichi, confidando in nuove cattive notizie altrettanto entusiasmanti per l’immediato futuro.

Tracklist

Blu and Real Bad Man – Bad News (Real Bad Man Records 2023)

  1. Bad News
  2. All Praise Due
  3. The Golden Rule [Feat. C.L. Smooth]
  4. Aladdin
  5. Fall Of Rome [Feat. Cashus King, Donel Smokes and Definite]
  6. The Hurt
  7. Hebrews [Feat. Planet Asia]
  8. More Bad News

Beatz

All tracks produced by Real Bad Man

The following two tabs change content below.

Mistadave

Ultimi post di Mistadave (vedi tutti)