Intervista a Dj Argento (18/03/2017)
Pubblicato lo scorso febbraio e accolto subito da numerosi apprezzamenti, “Argento” è l’esordio solista del barese Dj Argento, affiancato da un parterre de rois che restituisce centralità alla scena underground. Ne abbiamo parlato col diretto interessato…
Bra: ti abbiamo intervistato nel gennaio del 2012 assieme ai SottoTorchio, coi quali avevi appena fatto uscire “I segreti della casta”. Cos’è successo, artisticamente parlando, in questi cinque anni?
Dj Argento: l’inizio della lavorazione di “Argento” è quasi coincisa con l’ultimazione de “I segreti della casta”, negli ultimi due anni ho dato lo sprint finale ma è stato un processo molto più lento, cominciato quasi per gioco. Non mi sono detto ora faccio un disco intero, ho dato la base di “Canale zero” al Colle, cui piacque – il Danno scrisse infatti subito la sua strofa – pur non rientrando nel mood del loro disco nuovo, che nel frattempo ha avuto parecchie rivoluzioni. La cosa rimase allora lì, accantonata, tant’è che proposi a Simone di completare il pezzo in qualche modo, magari scrivendo una seconda strofa; lui mi suggerì di farlo entrare nel progetto Good Old Boys, che a sua volta non è uscito più (ma non è escluso che verrà ripreso in futuro), Kaos era al lavoro sul suo EP, il Colle voleva iniziare a chiudere le sue cose e il pezzo rischiava ancora di rimanere solo un file. A quel punto cominciai a mettere da parte un po’ di beat e prepararne altri, maturando l’idea di fare qualcosa di più impegnativo.
B: la tracklist conta un intro, quattordici brani e due remix non tuoi…
DjA: …ci tenevo ad avere dei produttori. Anzi avrei voluto averne anche altri, mi piace questo scambio tra beatmaker, le reinterpretazioni…
B: …possiamo dire che il risultato finale, per quantità e qualità, corrisponda esattamente a ciò che ti eri prefissato?
DjA: in realtà la mia visione era più ampia; se avessi avuto tutti gli artisti che ho chiamato avremmo avuto un disco molto più lungo. Non puoi programmare tutto né puoi protrarre e trascinare il lavoro per così tanto. Non ho pressato nessuno e non ho placcato i rapper per dirgli ogni giorno chiudi la tua strofa; hanno fatto tutto con le loro tempistiche e le loro modalità, solo verso la fine ho dato un colpo di reni perché il materiale raccolto era soddisfacente. Se poi leggi la tracklist ti rendi comunque conto che è impressionante e la cosa bella è che non coinvolgendo qualcuno è successo che ho coinvolto e riscoperto altri che mi hanno sorpreso: Claver Gold ad esempio non lo conoscevo, la Tannen mi chiese di lavorare su “Melograno” per il vinile e dopo averlo sentito l’ho voluto sul mio disco, ha un modo di scrivere da romanziere!
B: mi incuriosisce appunto il ruolo della Tannen Records, realtà che gli appassionati di Hip-Hop italiano hanno imparato a conoscere grazie alle ristampe della serie Vinili Doppia H. Per “Argento” era presente fin da subito o è sopraggiunta?
DjA: ho cominciato a collaborare con loro per il master di “Fastidio” e furono molto felici del risultato, poi infatti mi hanno proposto anche “Anima e ghiaccio”. Hanno trovato in me una figura che ha contatti con gran parte della scena che hanno sott’occhio per i titoli da ristampare e un parere tecnico anche per le tirature, essendo io un collezionista. Nel frattempo a me, per “Argento”, capitava di chiedere consigli, pareri e preventivi a Riccardo Orlandi (fondatore di Tannen, ndBra), gli proposi una sponsorizzazione per il video e mi ha detto ti produco tutto il disco! Considera che lui conosceva i nomi che partecipavano e gli facevo ascoltare i pezzi che chiudevo, perciò non investiva su qualcosa di completamente nuovo.
B: il disco è tra l’altro disponibile in un’edizione molto curata, in vinile, CD e digitale. Considerato il tuo passato di writer, per l’artwork hai dato delle linee guida?
DjA: a un DeeMò non puoi dare delle linee guida! Io mi diletto anche a livello grafico, pur essendo distante anni luce dalla sua professionalità; gli proposi, quando il disco si doveva chiamare in un’altra maniera…
B: …ovvero come?
DjA: si doveva chiamare “Canale zero”, poi Kaos mi ha aiutato a desistere da quest’idea – ma “Argento” era già tra le scelte papabili. Tornando all’artwork, gli proposi un concept quasi pronto che si rifaceva a quel titolo e DeeMò mi disse ok, vai subito in stampa. Poi, cambiando nome, ci siamo mossi diversamente: stavo facendo dipingere mio figlio, l’avevo portato in campagna e stava facendo un graffito, mi chiama DeeMò e a proposito di questa cosa parliamo del mio passato di writer. Così lui si fa questo viaggione mentale e abbina l’argento, che è il mio nome ma anche il colore, a una serranda abbassata, un modo se vuoi anche per incuriosire – in copertina non c’è neppure il nome; volevamo discostarci da quest’immagine troppo colorata, come dei negozi di vestiti dove pare si sia spostato ora l’Hip-Hop: noi il negozio l’abbiamo trovato chiuso e abbiamo crossato la serranda con un bel super fat argento! Abbiamo lasciato un segno, il nostro, su qualcosa che a sua volta dicono stia lasciando un segno.
B: entriamo più in dettaglio nell’album. La scena barese è ristretta ai soli SottoTorchio e Danko, coi quali vanti un lungo sodalizio: come mai loro e nessun altro?
DjA: perché avevo oggettivamente troppo da mettere dentro e ho scelto le persone che rappresentano meglio la mia visione dell’Hip-Hop. Con i SottoTorchio e Danko c’è un percorso molto lungo e abbiamo fatto tante cose assieme; ci potevano essere anche altri artisti, ma ne volevo qualcuno che li rappresentasse tutti: gli unici erano loro. Certo, a livello di cuore e di amicizia avrei voluto anche altri e infatti mi sono ripromesso che in un eventuale futuro progetto potrebbero esserci diversi nomi di Bari che qui non ci sono. Mi dispiace se qualcuno si è sentito offeso, però la prima scelta era obbligata.
B: torniamo su “Canale zero pt. 1”, che ha scatenato gli appetiti ancor prima di passare all’ascolto. Danno, Bean, Paura e Kaos, ovvero Roma, Milano, Napoli e Bologna; come si è articolato il lavoro sull’abbinamento delle singole strofe e, se ipotizzassi una pt. 3, chi troveremmo al microfono?
DjA: sai che non l’avevo vista dal punto di vista geografico? Comunque una parte tre è esclusa, dopo le prime due il discorso credo si sia esaurito – sarebbe un ribadire concetti già ampiamente esposti. Essendo nata prima la strofa del Danno, agli altri rapper ho passato la base col suo provino; il primo è stato Paura, poi Lord Bean e infine Kaos, che si è messo al lavoro dopo aver terminato “Coup de grâce” e la parte promozionale che accompagnava il disco.
B: in mezzo a tanti volti noti, spicca la presenza dei più giovani Romanderground – che affianchi anche in “Amor&odio”. Come siete entrati in contatto e da chi nasce l’idea di omaggiare Primo Brown?
DjA: i Romanderground mi chiesero un beat addirittura prima che iniziassi a lavorare ad “Argento”, fine duemiladodici, perciò il pezzo in sé esiste da molto. E’ in seguito che decisi di averli nel mio disco, perché mi ricordavano per certi versi il Colle all’esordio e perché sono bravi. E hanno tirato fuori un bel brano anche per il loro album, “La mia preghiera”; anzi, inizialmente io volevo fosse questa a entrare nel disco, loro però ci tenevano ad averla in “Amor&odio”. Primo era invece tra i nomi cui avevo proposto una strumentale, poi purtroppo le cose sappiamo come sono andate e allora si è pensato di omaggiarlo, anche se non si tratta di un pezzo interamente su Primo Brown: si cita un rapporto con qualcuno che è fonte d’ispirazione in generale, una celebrazione che comprende per ovvie ragioni anche Primo perché ha influenzato la scena Hip-Hop tutta e quella romana in particolare.
B: hai fatto convivere l’hardcore dei DSA Commando e dei 16 Barre con l’introspezione di Don Diegoh, Claver Gold, Blo/B e Lord Madness. In questo senso possiamo dire che “Argento” sia un disco completo, capace di variare timbrica e atmosfera; come hai deciso a chi assegnare una certa strumentale invece che un’altra?
DjA: io mi faccio influenzare in maniera positiva dalla musica che ascolto – e ascolto pochissimo Rap, pur collezionandolo. Nel mio telefono, perché nel quotidiano riesco a mettere un po’ di musica soprattutto nel tragitto tra lavoro e casa, trovi tanto Rock, Funk e Blues, cose astratte, musica folkloristica giapponese, musica Pop/Trash italiana anni ottanta… Di tutto. Il disco forse ha tutte queste sfaccettature perché corrispondono ad aspetti caratteriali miei e quindi puoi trovarci la roba più dura e cruda o quella morbida, Soul; ma non è nulla di voluto, è istintivo. Il resto lo fa una bravura particolare – o forse è culo, non lo so! Riesco a capire quale timbrica sta bene su quali suoni, sento la voce di un determinato artista sulla base che ho prodotto e in base alle disponibilità la cosa va in porto o meno. In pratica a tutti i rapper ho proposto esattamente la base su cui poi hanno cantato, sono sensazioni, intuizioni, dietro non c’è un ragionamento logico.
B: Il Turco è l’unico ad aggiudicarsi due partecipazioni e nella traccia che chiude il disco lo ritroviamo su dei suoni forse inusuali per lui, un lento Blues realizzato con spazzole e chitarra. Possiamo dire che è tra i tuoi collaboratori più fidati?
DjA: con lui sento di avere un buon rapporto perché condividiamo da molto tempo la musica, come il fatto di essere entrambi cuochi. Poi questo è uno degli esempi in cui gli ho dato la strumentale e ho detto è questa, la sentivo adatta alla sua timbrica profonda, lui l’ha ascoltata e ha risposto subito ok! L’ho voluto due volte sul disco non soltanto per questioni di stima e fiducia, non mi andava che una persona col suo talento venisse limitata in un ritornello, preferivo si esprimesse molto di più. E infatti “La fine” è uno dei brani che mi piace di più.
B: in concreto, come realizzi i tuoi beat e che macchini usi?
DjA: utilizzo solo il computer. Non vengo dalla generazione che produceva col campionatore esterno e non ho avuto neppure la fortuna di avere influenze in città da parte di amici che ne avessero uno: ho iniziato intorno al novantanove e chi mi ha spronato a farlo usava il computer, quindi io ho fatto lo stesso. Ho avuto la curiosità di provare un 950 ma è durata molto poco, perché mi sentivo limitato – ma anche chi oggi ripropone i suoni della 808 non usa mica le stesse macchine di allora. Per me il mezzo è relativo, conta quello che riesci a trasmettere musicalmente. Per il resto è tutto molto istintivo, l’ispirazione può nascere da un campione, da un giro di batteria, da un pezzo che ho sentito in un film…non ho una metodologia precisa.
B: quanto spesso ti capita di utilizzare un dato campione perché richiesto espressamente dal rapper con cui collabori? E in “Argento” è successo?
DjA: capita difficilmente. Quello di Dania, ad esempio (si riferisce a “Solitudo”, ndBra), me l’ha fatto scoprire Shagoora, perché il padre collezionava dischi abbastanza improbabili, autoproduzioni italiane e cose del genere, l’ho ascoltato e quindi ho comprato il vinile – anche perché il pezzo in sé è bellissimo! Nel disco però nessuno mi ha suggerito dei sample: c’erano, li ho trovati, mi sono caduti addosso in qualche modo e li ho utilizzati; anche perché, come detto, avendo suggerito io i beat agli artisti era già tutto pronto.
B: in genere di ogni produttore è possibile individuare le principali ispirazioni. Nel tuo caso, però, è difficile proporre dei paralleli precisi, perché hai uno stile abbastanza personale e uniforme nel tempo; tu a chi ti ritieni più affine, in ambito U.S.A. o meno?
DjA: ora che me lo fai notare, io non posso dire di avere un produttore preferito. Rimanere a distanza dall’Hip-Hop, non per scelta ma per gusto personale, forse mi influenza meno rispetto a quanti vanno alla ricerca del sample utilizzato da quel produttore, le sue batterie e così via: io mi faccio influenzare dalla musica in generale, da tutti i miei ascolti. Se vai a pescare sempre nello stesso stagno non puoi aspettarti di tirar fuori uno squalo, saranno sempre gli stessi tre/quattro pesciolini; dato che c’è un mare di musica, riferirsi o ispirarsi a qualcuno in particolare può essere limitante. Significa fare le batterie non quantizzate come J Dilla e sentirsi originali.
B: ti faccio una domanda cattiva. Prepari un beat per un mc, ti viene fuori come lo volevi, lui ti manda la sua strofa e – brutta sorpresa! – ti fa cagare… A quel punto che succede? E ti è mai capitato?
DjA: sì, è successo. Però io faccio il mio; non è che me ne sciacquo le palle, se ti do qualcosa e mi giri una schifezza io tolgo il pezzo chiunque tu sia – se ci tengo possiamo fare una seconda prova, già una terza la vedo difficile… Perché mi piace che gli altri ci mettano il mio stesso impegno, è una banale questione di rispetto reciproco. Poi subentra anche una questione di gusto personale, quello che a qualcuno può sembrare una cagata per altri magari non lo è. La mia responsabilità, diciamo così, termina al beat…
B: …anche se a volte ci sono dei beat che sembrano del tutto sprecati…
DjA: lo so. Però se un pezzo trasmette questa sensazione significa che c’ha perso la controparte, ha sprecato una cartuccia: se il tuo non è all’altezza del mio, cazzi tuoi.
B: se non sbaglio, “Argento” non è stato ancora presentato live. Avete in mente qualcosa o, dato il numero di collaborazioni, non siete riusciti a trovare una soluzione che vi soddisfi?
DjA: faremo delle date, anche se ci stiamo ancora lavorando sopra, concentrate nel periodo di luglio/agosto.
B: immagino Roma non potrà mancare, considerato che è la città più rappresentata…
DjA: è tra le tappe, sì. La data è da confermare e se la line up rimane quella dovrei avere una decina di mc’s o forse anche qualcuno in più: io faccio la chiamata e chi vuole venire viene, a me piace molto la situazione jam intesa come ritrovo di amici.
B: facciamo un piccolo bilancio della tua carriera. I primi anni li trascorri a stretto contatto con la scena barese, poi nel giro di pochi mesi affianchi Kaos e il Colle, quindi ti vediamo partecipare a un numero sempre maggiore di progetti. Quali sono le tue soddisfazioni più grandi, a che punto ritieni di essere arrivato e cosa dobbiamo aspettarci per il futuro?
DjA: diciamo anzitutto che è Turi, nel duemilaquattro, ad avermi aperto diverse porte, introducendomi alla scena nazionale grazie all’interludio “Notte d’argento” (su “L’amico degli amici”, ndBra). E’ come un cerchio: dopo quello skit c’è il pezzo con Kaos, poi c’è anche il Danno, quindi conobbi il Colle il quale mi chiese un remix per “Anima e ghiaccio” e così via. Turi una volta mi ha detto sei entrato dall’ingresso principale – ed è così. Io sono felice di tutto ciò che ho fatto e non lo dico per essere gentile nei confronti degli altri, non rinnego niente e non ho nulla da nascondere sotto il tappeto. Anche perché, avendo dei ritmi di lavoro lenti e non compulsivi, le cose fatte col contagocce si dosano e non mi trovi dovunque. Sul futuro è presto per capire a cosa lavorerò, anzi non ti nascondo che con “Argento” pensavo di chiudere la faccenda, non di aprirla ulteriormente. Era questa la sensazione in corso d’opera e non so dirti se sarà così o se da qui a un anno produco dieci beat che mi esaltano e ricomincio a contattare di nuovo tutti. Prima però devo smaltire il lavoro occorso per questo disco; in questo momento sono sazio e non mi va di parlare di cibo…
B: chiudiamo con una curiosità personale. Ti chiami Dj Argento in omaggio a Dario Argento: qual è la colonna sonora dei suoi film che preferisci e perché?
DjA: sicuramente, perché ero piccolo e la ascoltavo da bambino, “Suspiria”. Mio zio mi faceva degli scherzi e la metteva a tutto volume, cercava di spaventarmi ma il problema è che non ci riusciva perché è insito nella nostra famiglia questo gusto per l’horror, per il macabro… Poi anche “Profondo rosso”, è chiaro, ma sono capolavori che non scopro certo io.
Bra
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