Apathy and O.C. – Perestroika

Voto: 4

L’aria divisiva respirabile nell’atmosfera politica statunitense ha prevedibilmente provocato reazioni da ambo i lati della spaccatura attualmente esistente tra i differenti tessuti sociali che compongono l’eterogenea popolazione dei cinquanta stati. In un’epoca in cui la sopportazione per abusi e soprusi nei confronti delle diversità etniche ha ben oltrepassato il limite, l’Hip-Hop si è schierato nella stessa parte della barricata di sempre, continuando un’azione di denuncia da sempre insita nella propria natura; perestroika, invece, è un termine che la mente associa con immediatezza alla Guerra Fredda, alla tensione tra Unione Sovietica e Stati Uniti, parola – notoriamente utilizzata da Michail Gorbačëv per inquadrare le priorità del suo Governo – che significa ristrutturazione, ricostruzione.

Sono considerazioni apparentemente non legate, ma che in realtà spiegano con chiarezza quale sia il concept di fondo di quest’atteso album di congiunzione tra Chad Bromley e Omar Credle, i quali – nonostante abbiano vissuto traiettorie artistiche differenti – sono uniti dall’appartenenza alla schiera conservatrice della Cultura, la medesima che ancora oggi utilizza un’unità di misura determinante per valutare un disco, anteponendo l’ispirazione e la struttura a tutti gli altri elementi. La perestroika, traslata nel contesto Hip-Hop, è dunque intesa come la naturale conseguenza della propria dimensione etica, dalla quale deriva il sapersi mettere periodicamente in discussione al di là di uno status artistico ben definito, ed è altresì un’occasione trasversale per rendere pubblico il proprio schieramento nei confronti degli scenari attualmente offerti dagli Stati Uniti, basando un intero progetto su citazioni e riferimenti del tutto antagonistici alle stelle e alle striscie.

Presupposti concettuali, quelli appena elencati, in grado di fornire già un primo elemento di giudizio positivo verso un lavoro che rispecchia in maniera esauriente le premesse fornite su carta, un fatto avvalorato da una realizzazione tecnica che veleggia tanto grazie alla combinazione delle forze quanto per il valore di una produzione assolutamente vincente. L’asse portante dell’album è senza dubbio rappresentato dall’allineamento tematico che i due protagonisti mantengono di pezzo in pezzo, bilanciandosi vicendevolmente grazie alla loro diversità stilistica laddove Apathy colpisce con grande determinazione grazie a punchline a sfondo politicamente scorretto, mentre O.C. sottolinea i suoi interventi con grande eleganza espositiva e una profondità descrittiva da sempre riconosciutagli quale talento principale, generando quell’equilibrio su cui poggia tutto il progetto.

<<One wrecks, the other destroys>> dicevano gli EPMD dei tempi d’oro e il dettame viene qui replicato attraverso consoni criteri. Linearità è la parola chiave di passaggi come l’accattivante “Live From The Iron Curtain”, la quale edifica le sue fondamenta di pezzo da battaglia infarcendole di richiami al concept primario e combinando stuzzicanti allacci figurativi tra barre e finezze tecniche a getto continuo; “Globetrotters” raccoglie di comune accordo il bilancio tra soddisfazione e stress generati dalla vita in tour, senza dimenticarsi di abbracciare simbolicamente ciascun dedito fan (<<world tours feel hard core as World War One/family members see the pictures and think that it’s all fun/but nights with no sleep and shitty food to eat/and 12 hours drives got me emotionally beat>>); “Gorbachev” vede Apathy assaltare frontalmente nella sicurezza della copertura fornita dal suo commilitone, il quale cavalca a suon di rime basate su termini militari un sottofondo coerentemente epico.

All’interno di un contesto prestazionale sistematicamente alto, ognuno dei principali protagonisti vive momenti particolarmente ispirati mettendo in risalto le proprie peculiarità. Ecco quindi O.C. spiccare letteralmente il volo grazie a parole capaci di creare immagini istantanee nell’eccelsa “Tomorrow Is Gone”, dove ognuna delle parti coinvolte assolve il compito di parlare dei propri dintorni d’origine, e Apathy presentarsi in formato Source Hip Hop Quotable offrendo una creatività determinante per navigare su acque già tante volte affrontate da altri (“Soviet Official”: <<trust me it ain’t safe, I can’t even aim straight/I pray the ricochet and your face will meet in the same place/y’all be smoking that crack with Lamar Odom/scratchin’ your scrotum and hackin’ NASA with a dial-up modem>>) o ispirarsi a Rambo per creare una sorta di metafora stesa su doppie assonanze pressoché costanti (Covey Leader To Raven”). Discorso assimilabile pure per gli invitati esterni: Marvalyss è difatti letale nell’inventare giochi di parole e offrire dizione di prima fascia ponendo la classica ciliegina sulla già squisita torta che compone “Winter Winds” (<<peel the lymph on ya, Hodgskins, loosin’ is not an option/perestroika salutin’ the cold soldier, bi-polar/I even give my shadow the cold shoulder>>), ma guai a dimenticarsi del bombarolo Celph Titled, che ha sempre a portata di mano accendino e miccia innescando la viziosità estrema di “Stompkillcrushmode”.

Dal capitolo produttivo, poi, Apathy esce ancora una volta con una vittoria a mani basse grazie all’esperienza accumulata negli anni nel proporsi in veste di duplice minaccia; da firmatario di dieci delle dodici proposte non sbaglia un singolo colpo, sviluppando un comparto musicale come sempre attento a tener presente gli elementi più preziosi del canonico boom bap. Il particolare riferimento va alla rotondità delle batterie, alle indovinate sezioni di trombe e fiati, a centrate sovrapposizioni tra sample di differente estrazione e sempre in grado di stupire positivamente per la loro armonica convivenza; non a caso, alcuni dei momenti maggiormente memorabili colpiscono per l’originalità dei campioni vocali e per come i medesimi interagiscano col beat (“Perestroika”, la già citata “Winter Winds”).

Interessante, in dettaglio, la massiccia selezione di archi e il differente utilizzo che ne viene fatto per creare particolari atmosfere attorno al pezzo, espedienti da cui nasce il gusto vintage di un’incantevole “Tomorrow Is Gone”, graziata dal profondo cantato del fido Kappa Gamma e dal delizioso fruscio del vinile sottostante, mentre altrove lo strumento serve per accentuare quelle sensazioni di cupezza e tensione che pervadono tracce come “The Broadcast”. Non manca, infine, una cospicua dose di banger di stampo classico destinate a spezzare non solo le vertebre cervicali, ma pure le dorsali tutte, talmente alto si dimostra il tasso d’infettività di brani quali “What It’s All About”, interessante disamina della società moderna, o “Live From The Iron Curtain”, il cui hi-hat a sostegno porta in dote un gradito sapore golden age.

Il favoloso tag team formato da Apathy e O.C. assolve con grande successo al compito di dare una svolta a un duemiladiciassette particolarmente avaro – a parere del sottoscritto – di grandi soddisfazioni discografiche, in una fase caratterizzata da troppi dischi (e includiamo il nostro caro mercato underground nella lista) che tendono a riciclare idee senza particolari ispirazioni. “Perestroika” ci ricorda invece che l’originalità sta ancora alla base di tutto.

Tracklist

Apathy and O.C. – Perestroika (Dirty Version Records 2017)

  1. Live From The Iron Curtain
  2. Tomorrow Is Gone [Feat. Slaine and Kappa Gamma]
  3. Soviet Official
  4. Winter Winds [Feat. Marvalyss]
  5. Covey Leader To Raven
  6. No More Soft Shit
  7. Gorbachev
  8. The Broadcast
  9. Perestroika
  10. Stompkillcrushmode [Feat. Celph Titled]
  11. What It’s All About
  12. Globetrotters [Feat. Jus Cuz]

Beatz

All tracks produced by Apathy except tracks #3 by MoSS and #12 by Illinformed

Scratch

  • Chumzilla: 4, 7
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