Blacastan & Stu Bangas – The Uncanny Adventures Of Watson & Holmes
Ripensando agli ultimi dieci anni di Hip-Hop underground, quella di Blacastan si è rivelata una delle scoperte più piacevoli del periodo. Distintosi per la notevole dotazione di personalità e abilità tecniche, l’artista proveniente da Hartford, Connecticut, ha alle spalle una storia molto difficile dalla quale è riemerso con grande determinazione, sfruttando la sua permanenza dietro le sbarre a seguito di numerose violazioni di legge per studiare la Cultura Hip-Hop e mantenersi costantemente aggiornato sui dischi più forti in circolazione, perfezionando al contempo uno stile capace di erigersi dalla massa indistinta recuperando assai in fretta il tempo perduto per giungere a un buon compromesso nei confronti di un’esistenza molto complicata e degradata, che l’aveva sostanzialmente relegato a una fama decisamente tardiva.
Passato nel giro di pochi anni dall’essere una concreta realtà locale alla più che meritata esposizione fornita dalla cerchia Army Of The Pharaohs/Demigodz, ma soprattutto autore di due piccoli colossi dell’era moderna come “Blac Sabbath” e “The Master Builder Part II“, è intuibilmente divenuto logico porre un congruo peso di aspettative sulle spalle di un artista che di qualità fino a questo momento ne ha fornita parecchia, con la sola eccezione rappresentata dalla facilità con cui ci si è dimenticati della prima puntata del lavoro in coppia con Stu Bangas, “Watson & Holmes”, incapace di esaltare a dovere la gamma lirica del protagonista a fronte di una produzione spiccatamente metodica e limitata. Per questo motivo il termometro dell’attesa per l’uscita di quest’annunciato seguito segnava valori solo tiepidi, ma se non altro era cresciuta la speranza che proprio grazie al talento di Blacastan si sarebbe in qualche modo potuto correggere il tiro, nonostante i nostri presuntuosi (e ostinati) sospetti nei confronti del suo occasionale partner in crime.
Pur avendo ascoltato attentamente “The Uncanny Adventures Of Watson & Holmes” per rilevarne il maggior numero di spunti possibili, strada facendo non c’è stata possibilità di migliorare l’impressione ancora una volta negativa generata dal primo ascolto, trovandoci dinanzi a un altro progetto prodotto in maniera esageratamente convenzionale, realizzato senza porre la dovuta attenzione sulle potenzialità date dal concept (un vero peccato, conoscendo la creatività dell’mc in questione), trasformando il tutto in un elenco di beat noiosi e attrezzati di un tasso di fantasia praticamente vicino allo zero, sopra ai quali chi mantiene la gestione del microfono cerca di salvare il salvabile con la colpevolezza di auto-reprimere le sue stesse caratteristiche tecniche – perché in fondo abbiamo comunque di fronte un artista che in passato ha saputo affascinare con pezzi di storytelling (vedasi robetta memorabile tipo “Life Of A Tape” e “Shareef The Bank Teller“) di levatura niente meno che eccellente, materiale qui del tutto assente.
Ciò non sta a significare che le rime offerte pecchino di qualità, tutt’altro; parliamo pur sempre di un mc dotato di una voce ruvida e ben distinguibile, in grado di chiudere barre e azzeccare similitudini dall’alto tasso di costanza ed efficacia, tuttavia se oltre a una più ampia area tematica viene a mancare pure il supporto delle fondamenta musicali crediamo che il palco diventi molto difficoltoso da tenere in piedi. L’atmosfera ricalca difatti quella di innumerevoli altre produzioni fornite nella sua storia da Stu Bangas, le influenze sono sempre quelle del Prog Rock e degli abbinamenti tra tastiere, sintetizzatori e chitarre elettriche tipici della musica leggera di metà anni ottanta, un conglomerato di suoni allestiti tutti allo stesso modo proponendo in apertura di quasi ogni brano un esteso campione della melodia scelta per poi ridurre il medesimo sample a un pezzetto destinato ad essere posto in loop per il resto del pattern, dimenticando con preoccupante tranquillità di fornire aggiunte che possano determinare un qualche tipo d’imprevedibilità.
Il ragionamento è estendibile alla strumentazione nella sua generalità per evidenziarne i chiari limiti: non è certo necessaria la perizia di un luminare per comprendere l’estrema e frustrante somiglianza tra una sezione ritmica e quella successiva (un cambio di cassa di tanto in tanto sarebbe risultato gradito…), discorso che può coinvolgere l’assenza di mordente della maggior parte dei synth utilizzati, i quali non solo suonano quasi tutti alla stessa maniera, ma ricordano vecchi pezzi già forniti da uno Stu Bangas che a nostro personale avviso dev’essere pericolosamente convinto che tale formula funzioni davvero. Ascoltando peraltro i vari interludi inseriti in differenti parti del disco – ricavati da dischi d’annata allo scopo di ospitare alcuni dialoghi tra Holmes e Watson – nasce una riflessione ben precisa secondo la quale, con minimi accorgimenti, la monotonia compositiva delle sorgenti selezionate aveva la possibilità di essere spezzata – e chissà quanti buoni pezzi sarebbero potuti nascere da un’adatta coesione tematica tra testi, musica e concept.
Brani come “Rap Killin'”, ad esempio, tendono a funzionare se ci si limita a pensare alla riuscita coesistenza tra l’andamento della batteria e il centrato campione di Nas, ma dato che ci si accontenta del solito giro semplicistico di campanelli e dell’abusato basso sintetizzato – e parliamo della polpa del beat! – l’entusiasmo deraglia troppo presto. “Commando” è invece quanto di più prevedibile e soporifero si possa immaginare, persino il Rap del protagonista sembra cercare invano una grinta che non arriva da nessuna parte, sensazione perfettamente in linea a una “War Crimes” in cui la presenza di Tragedy non è così tangibile come potrebbe essere.
Pure “Blac-O-Teric”, singolo che avrebbe dovuto trainare con forza la promozione dell’album, mette in evidenza le capacità di Blacastan nell’adattare il suo flow al tempo della batteria mostrando un lavoro d’indubbia qualità, così come lo sono gli schemi a rime multiple; peccato la scarsità del beat permetta di concentrarsi sul vuoto di sostanza delle liriche, data la tendenza al non spostarsi dall’auto-referenzialità e la prestazione di un Esoteric assai poco ispirato, intrappolato in un flow che di recente gli abbiamo sentito proporre un po’ troppo spesso. Eso sembra addirittura disinteressato alla buona riuscita della traccia data la mancanza di espressività della sua strofa, probabilmente derivante dall’elementarità del giro di synth spaziali che qualunque principiante sarebbe in grado di assemblare: presenze potenzialmente accattivanti come la sua e quella di Apathy, co-protagonista di “Summa Cum Laude”, aggiungono molto poco forse perché continuare a riproporre costantemente la traccia liricamente gradassa in stile faraonico – con beat peraltro nemmeno avvicinabili a quelli del mega-gruppo – comporta una schematicità troppo predefinita per riuscire a celare la ridondanza della formula applicata.
Piuttosto, se proprio c’è un pezzo in grado di riassumere correttamente il potenziale dell’album il maggior indiziato è “Murder Mistery II”, impostato su archi e atmosfere che ricordano gli score dei film di Hercule Poirot: qui Blacastan fornisce la miglior prova dell’album immedesimandosi in un investigatore alla ricerca della risoluzione di un crimine e stendendo un testo finalmente creativo, dotato di proprietà di linguaggio e dizione cristallina. Tra gli episodi da ricordare inseriamo senza esitazione anche “Remington”, che risveglia con uno schiaffo dal torpore generale grazie all’indovinato giro di synth tesi e spettrali cui si abbina molto bene la pur spiccia minacciosità del testo (<<Hip-Hop reviews from niggas with no clues>> – è diretta a noi, Blac…?), effetto di assai breve durata tant’è che tocca subito a “Catchin’ Bodies” ricordare la mediocrità produttiva generale grazie all’ennesima costruzione prevedibile, che riduce il brano a un mero riciclo di vecchie idee del compare Vanderslice – e se avete pratica di pezzi come “Fight” (la trovate su “After All These Years” di Edo. G, con Mistachuck a corredo) dovreste avere perfettamente inteso ciò che stiamo tentando di dire.
Riassumendo il tutto mutuando i termini offerti dalla tracklist, di uncanny c’è pochissimo, di laude per niente; denotiamo solo tanta perseveranza nel non correggere gli errori commessi in precedenza e una crescente nostalgia per uscite alla “Blac Sabbath”, che poi tanto distanti nel tempo non sono…
Tracklist
Blacastan & Stu Bangas – The Uncanny Adventures Of Watson & Holmes (Brick Records 2017)
- A Glass Of Port (Intro)
- Lucifer’s Sickle
- Summa Cum Laude [Feat. Apathy]
- Rap Killin’
- Commando
- Blac-O-Teric [Feat. Esoteric]
- State Your Name (Interlude)
- Zone Out
- War Crimes [Feat. Tragedy Khadafi]
- Sin City
- Delete [Feat. Ill Bill]
- Murder Mystery II
- Remington
- Catchin’ Bodies
- Forgot To Say (Interlude)
- Circle Of Fire [Feat. Nutso]
Beatz
All tracks produced by Stu Bangas
Scratch
- Dj Slipwax: 3
- Dj 7L: 11
Mistadave
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