Brother Ali & unJUST – Love & Service

Voto: 4 +

Il lungo intervallo tra gli ultimi due tasselli della discografia di Brother Ali ne dimostra la necessità di non forzare i tempi e non programmare scadenze precise, esigenza che con tutta probabilità nasce dalla forte intensità che l’artista di Minneapolis riesce a inserire e manifestare in ciascuno dei suoi lavori. Ogni suo disco è infatti pensato con la massima concentrazione e dedizione, portando con sé un forte potere emozionale derivato da una componente spirituale che svetta su ogni altra, richiedendo quindi un ingente dispendio di risorse. D’altro canto, mai Ali ha dato dimostrazione di agire senza dirigersi verso un’ispirazione ben precisa attorno alla quale costruire qualcosa di concreto, né ha mai trasmesso l’idea di dover essere forzatamente presente – anzi, è più probabile che voglia esserne dissociato – in un mercato oltremodo giunto a saturazione, nel quale l’originalità è spesso sacrificata dal bisogno di mettersi in mostra seguendo i passi di altri.

Love & Service” è dunque il raccolto di un quinquennio fatto di nuove esperienze, del noto attivismo utilizzato per portare avanti lotte e convinzioni personali, nonché l’ennesimo tassello qualitativamente brillante di un’esperienza longeva e ricca di significati. Passano gli anni, ma non varia l’approccio: Ali conferma infatti di non voler accantonare l’attitudine alla progettualità condivisa con un solo produttore per volta, convocando per l’occasione unJUST, il quale mette a disposizione la sua fama di veterano abbinata a realtà come Hieroglyphics, Chosen Few e Rap Noir al fine di addivenire a una realizzazione ricca di chimica reciproca. Allestito con un sound del tutto singolare, estratto da vari video educativi per bambini degli anni settanta e ottanta, l’album riesce in ogni caso a trasmettere quell’aria tipicamente respirabile nelle precedenti registrazioni fornite dal rapper, ponendolo in agio grazie ad atmosfere a volte mistiche, in altre semplicemente richiamanti quell’oriente che ne ha innescato il credo religioso, dando luogo a manufatti a bassa fedeltà davvero deliziosi, tanto per la diversificazione nella strumentazione posta in loop, quanto per la polverosità complessiva che il risultato finale porta con sé.

E’ una mezzaluna assai fertile, nella quale Ali elabora i suoi testi pronunciandoli senza sforzi particolari, aumentando il carico di rime interne e assonanze, mantenendo la solita, esemplare gestione di un flow duttile, che dà l’idea di venire espresso da una mente inequivocabilmente predisposta al freestyle e all’esercizio di memoria, reso ancora più sorprendente dalla complessità di molti dei passaggi qui contenuti. La varietà tematica è, come già accaduto in passato, una delle maggiori motivazioni di attrazione e intrattenimento, originata da quella capacità di spaziare tra argomenti scomodi sui quali vengono purtroppo puntate poche attenzioni, se non quelle di pura convenienza, e riflessioni sul mondo moderno, sulla storia, su una spiritualità che ha perso gradualmente peso nella vita di tutti i giorni, come su un vissuto doloroso e traumatico, che non manca di sottolineare una condizione fisica senz’altro più fragile rispetto all’inesauribile forza intellettuale che Ali sistematicamente dimostra.

La sua è un’autoreferenzialità inoffensiva ma carismatica (per quanto ascetico, stiamo pur sempre parlando di un rapper che non ha certo dimenticato la competizione…), frutto di una spiccata intelligenza nello stilare duplici significati e alta varietà contenutistica, come comprovato da una “Ottomans” semplicemente prosperosa, la quale cita il trasferimento di residenza in Turchia giocando magistralmente a parole con l’autorità statunitense, tirando una gomitata ai decerebrati giusto per il tempo che serve (noi offensivi lo siamo, sorry), evitando accuratamente di essere confuso per un predicatore, pur facendo spesso riferimento al timore del giudizio divino. “Worthy” vive su un armonioso giro di piano cui ci si affeziona senza particolari difficoltà, ricorda quasi una produzione di Ant, per un’efficace dimostrazione d’intricatezza lirica tale da confermare che qui si viaggi a livelli superiori (<<ain’t no escaping the math/things are known by their opposites/the context isn’t always obvious/I had tossed a bottle in the Bosphorus/with hand-written documents/with my hypothesis scribed inside of it/traveled ‘round the continents/seas and the nautical environments/to reach the one that receives the bars I spit>>); “Nom De Plume” è altrettanto eccelsa per vivacità lirica, per l’estetica da session ad alto grado di complessità esecutiva, per la capacità di tessere infinite trame verbali a occhi chiusi, mentre il beat avvolge donando sensazioni contemplative, gettando i presupposti per un futuro classico del catalogo del Nostro, che mai difetta nel far trasparire ogni emozione che lo pervade con estremo senso di vulnerabilità.

Tale caratteristica viene affrontata a cuore aperto nella delicatissima “Inside”, un’esplorazione essenziale del proprio io densa di riflessione, autenticità e stati emozionali puri, ma viene messa a disposizione pure quando il quadro cui ci si riferisce è negativo, come nel caso della magistrale “Cadillac”, uno storytelling carico di tinte Blues e ispirato a una drammatica vicenda vissuta in prima persona assieme al suocero, utilizzato per esternare l’ennesimo segno di protesta contro le forze dell’ordine, gestendo con estrema sapienza regia, tempi del racconto e il sunto delle percezioni provate, conservando un tono calmo, desolato, ma perfetto per far immergere l’ascoltatore nella trama. “The Collapse” fa addirittura venire i brividi lungo la schiena grazie a un Folk modellato sulla congiunzione umorale/tematica del testo, una musica drammatica, che accompagna parole pregne di rabbia e tristezza, di presa di posizione contro il maggior male che si conosca, la guerra, mentre le sirene si insinuano naturalmente nella direzione presa dalla strumentale, confondendosi con essa, con le parole che delineano scenari che fanno sanguinare il cuore (<<they only knew the power to devour and possess/they raided and invaded their spaces and their flesh/called them terrorists when they resist/their own violence they called defense/fear was at the center of their lens/so the more people they kill the more horrified they’d get>>).

Un altro dei pilastri di Ali, il pensiero sociale, non manca di timbrare il cartellino per mezzo di liriche d’intensa forza figurativa (<<the spaceship we’re thinking we’re home on in/til our Visa run out and we’re deported>>), tratte da una “Awaken” sorretta da flow e dizione impeccabili, loop di flauto, violini, suoni rimembranti un oriente che col tempo è diventato stile di vita e scuola di pensiero, contornando un messaggio di pura coscienza dedicato al sonnambulismo comunitario che avvolge i tempi moderni. Gli stessi sono richiamati dall’utilizzo della tecnologia odierna di “Ghosts”, ove tutto gira attorno al cellulare, sviscerando nel contempo la paura di rimanere soli, di sentirsi sbagliati nei confronti di qualcun altro e di quanto labili siano diventati i rapporti umani nonostante la maggior facilità nella reperibilità di qualsiasi contatto, ospitando un Quelle Chris che pare però poco adatto al contesto, per quanto sia chiara l’eterogeneità nella ricerca delle collaborazioni. E, a tal proposito, è davvero sorprendente la decisione di porre a referto nientemeno che Roc Marciano, appaiando due entità artistiche poste agli antipodi ma perfettamente in armonia nel contesto creato per “Gauntlet”, plasmata da unJUST attraverso un sassofono che regala quel fatalismo tipico dei dischi del pimp per antonomasia, tant’è che potrebbe essere inserita in uno qualsiasi di questi.

Ideale per chi ricerchi profondità e prolificità di osservazioni coscienziose, “Love & Service” restituisce alla scena un artista che non si risparmia mai nel trasmettere messaggi che possano allietare la prospettiva del prossimo e nel criticare il capitalismo guerrafondaio e l’apatia sociale, una posizione attenta e ponderata nelle varie considerazioni che emergono, espresse con un armamentario tecnico da manuale. Sono stati cinque lunghi anni di attesa, sì, ma ne è valsa assolutamente la pena.

Tracklist

Brother Ali & unJUST – Love & Service (Travelers Media 2024)

  1. Chapter 1 [Feat. Rakaya Esime Fetuga]
  2. Ottomans
  3. Awaken
  4. The Collapse
  5. Manik [Feat. Casual and Aesop Rock]
  6. Nom De Plume
  7. Cadillac
  8. Gauntlet [Feat. Roc Marciano]
  9. Howlin’ Wolf
  10. Ghosts [Feat. Quelle Chris]
  11. Love & Service
  12. Worthy
  13. Inside

Beatz

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