Chris Orrick – Out To Sea
La voce trema, fino a mostrare evidenti segni di rottura, riuscendo a posticipare il crollo verso la disperazione solo per un breve attimo. <<If I brought you down, thank you very much for showing me where I’m at. I guess I don’t really have much more to do>> è la frase che, a fatica, emerge da quello stato emotivo così marcatamente precario. Quanto suggerito dall’estratto vocale che introduce ai contenuti di “Out To Sea” raffigura una delle chiavi interpretative del nuovo disco di Chris Orrick: non è trascorsa che una semplice manciata di secondi, ma la breccia è già aperta, praticabile, pronta per essere esaminata ancora una volta.
A quale punto è giunto il suo tormentato percorso esistenziale? Quali sono le somme da tirare per un ragazzo bianco di trentadue anni, sovrappeso, fumatore, alcoolista, cresciuto con evidenti limiti economici e privo della necessaria stima di sé, ma che possiede la fortuna di essere titolare di un contratto discografico? Cercando le risposte da un lato meramente psicologico e attitudinale, non sembra essersi mosso un granché; l’umore non è certo drasticamente differente da quanto abbiamo comunque imparato ad apprezzare negli album precedenti, marchiati da un inguaribile pessimismo e un affogare quotidiano in tutte quelle cattive abitudini che pongono a rischio la longevità dell’esperienza terrena. Semmai, la differenza più marcata col passato è l’aver acquisito la capacità di sdrammatizzare le proprie paranoie sapendosi prendere in giro da soli.
Si riparte quindi da una navigazione approssimativa, ansiosamente alla ricerca di un approdo che possa definirsi confortevole per un animo perennemente in lotta contro se stesso, un concetto che curiosamente stride con la forte qualità che il protagonista continua a imprimere ai propri dischi, all’interno dei quali non si trova mai una barra utile solo all’appariscenza o una qualsiasi citazione che possa lontanamente ritenersi superficiale, alimentando dell’ottimo Rap senza mai toccare l’autoreferenzialità. Una prerogativa che, giunti a questo punto del percorso, non dovrebbe più nemmeno passare inosservata.
“Out To Sea” è l’ennesima costruzioe eretta su solide fondamenta concettuali, il tema visivo è spiccatamente marittimo e molte liriche offrono citazioni metereologiche equiparate agli stati dell’animo; la metafora su cui Chris modella la sua creta sonora lo vede intraprendere l’unica soluzione praticabile per fuggire all’eterna commisurazione con un’umanità la cui attenzione è catturata da sciocchezze di ogni genere, vale a dire un desiderio di solitudine utile a fugare quello scomodo senso d’inadeguatezza. Il problema, come spiega eloquentemente la titletrack, sta nel reperire un attracco sicuro.
I giorni non trascorrono certo differentemente rispetto a quanto raccontato a suo tempo in “Rap Game Cranky“, la noia e i cattivi pensieri continuano ad appesantire il fardello, ma all’artista va riconosciuto di aver imparato a utilizzare l’arma dell’ilarità; come nel caso di “Liquor Store Hustle”, edificata su un loop molto carino, brevi corde di chitarra e una batteria che sfila in mono, il cui testo pigia violentemente il bottone dell’automassacro individuale (<<waking up 6 AM, TV at a hundred still/lights on, crack of dawn, fuck man I’m hungry still/light bulb, great idea, pizza on the front porch/fuck you it’s cold enough, yes I’m gonna eat that shit>>).
Cadere troppo spesso nella tela dell’amara ricerca di commiserazione può apparire come il risultato della mancanza di forza mentale, ma nel caso dell’mc l’espressione della sua condizione di disagio estrae il meglio che il Nostro abbia da offrire a chiunque desideri dargli una chance. “A Dying Man” insegna che l’uomo, nella sua disperazione, può essere poeticamente geniale: ed ecco che prende forma uno dei testi maggiormente intrisi di mistero, un apparente colloquio tra il protagonista, la sua anima e i suoi avviliti tentativi di cancellare l’afflizione attraverso il vizio, arricchendo il suo già brillante fascino con l’intima melodia su cui poggia la struttura musicale. Tutto ciò genera un senso di frustrazione che “Spent A Lot Of Time” sussurra invece di strillare dinanzi al primo malcapitato; e altrimenti non potrebbe essere, vista la sensazione calmante che lo squisito intreccio Jazz tra piano e tromba riesce a donare alla mente.
“Daylight” – altro evidente riferimento al concept primario – cerca invece di tracciare un arduo confine tra il non poter e il non voler essere felici, mentre lo spirito di Dilla s’impadronisce per un momento di un Ill Poetic la cui musicalità dei beat si è già fatta apprezzare in passato da queste parti, cercando di aggrapparsi alle sicurezze fornite dall’isolamento per cacciare demoni destinati a ripresentarsi (<<spending all your energy on shade/been an enemy to daylight/fight that shine>>), una dimostrazione di matura ricerca interiore avallata pure da “Wallow Hard”, un pezzo che pochissimi colleghi riuscirebbero a scrivere per eccesso d’orgoglio e che vede invece Orrick – figura di certificata trasparenza e onestà – affrontare con impavido coraggio i tradizionali paradigmi Hip-Hop arrivando a comprendere il punto di vista di coloro che ne hanno criticato le pubblicazioni in passato, trovando nel contempo l’obiettività per ammettere che poter creare arte lasciando l’investimento ad altri è un privilegio che non tutti posseggono.
Pur tenendo conto della forte natura riflessiva dei dischi di Chris Orrick, nessuno dei suoi lavori può definirsi completo senza attraversare la sfera sociale e politica del momento. “America Online” punta ancora sulla delicatezza dei suoni, ma inveisce con forza contro leoni e leonesse da tastiera senza tuttavia risparmiarsi l’oramai irrinunciabile dose di autocritica (<<Instagram models, playing Facebook Aristotle/for adoring apostles, I’ll rather play opossum/most of my time spent online is feeling rotten/and I admit that I’m huge part of the problem>>), mentre il punto di forza di “Funny Things” è appunto la costruzione incentrata sul termine dettato dal titolo, qui utilizzato con criteri differenti sui quali spicca il saper delineare le note contraddizioni americane e l’eccessiva importanza destinata alle cose inutili, un quadro decadente ma assai realistico per chi sa come comprenderlo adeguatamente.
Le ultime remate portano così a “Flesh & Bone”, pezzo che chiude questa ricca mezz’ora di esperienza terapeutica, montato su un beat denso ed emozionale (tra i tanti ottimi e semisconosciuti contributi, Nolan The Ninja trova modo di distinguersi in veste di produttore), una stanza piena di cianfrusaglie dentro la quale Chris dà vita a un collage di pensieri confusi, inconciliabili, frammentati, che nella loro citazione apparentemente casuale nascondono invece evidenti connessioni, frutto delle elaborazioni di un uomo votato al negativo ma meravigliosamente complesso, che cerca il suo significato della vita nella solitudine del proprio mare infinito, perseverando nel coltivare una piccola speranza che il dolore – prima o poi – se ne andrà, senza rendersi conto dell’importanza di quanto, attraverso la sua musica, riesce a trasmettere verso l’esterno, sollevando chi magari prova le sue stesse sofferenze.
Tracklist
Chris Orrick – Out To Sea (Mello Music Group 2019)
- Out To Sea
- Funny Things
- Liquor Store Hustle
- Spent A Lot Of Time
- A Dying Man
- America Online
- Wallow Hard
- Daylight
- Flesh & Bone
Beatz
- S I M: 1, 2
- Man@Work: 3, 4
- Charlie Beans: 5
- Suhki Beats: 6
- Nolan The Ninja: 7, 9
- Alcapella with the additional production by Ill Poetic: 8
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