Co’ Sang – Dinastia
Nel lustro 2005/2009, l’Hip-Hop italiano ha portato alla celebrità – quella vera, duratura – un buon numero di artisti, la maggior parte dei quali allevati nel perimetro dell’underground. Di quella fase, che per un gioco di sincronicità viene aperta e chiusa proprio dai due titoli che stiamo per citare, mi capita talvolta di riascoltare “Chi more pe’ mme” e “Vita bona”: non sono un fan in senso stretto dei Co’ Sang, men che meno delle traiettorie soliste di Nto’ (in realtà l’ho seguito distrattamente) e Luchè (ha toccato in più di un’occasione il ridicolo), ma nella sua pur breve storia il gruppo ha impresso un’orma difficile da trascurare e tanto più visibile oggi, con la scena musicale partenopea (e i suoi temi, il dialetto, le filiazioni da una tradizione così antica) tornata prepotentemente alla ribalta grazie a chi ha trovato la strada un po’ più agevole anche per merito dei Nostri. “Dinastia” significa appunto questo, c’è un filo conduttore che unisce i racconti, le immagini e il vissuto presenti in operazioni che poco o nulla hanno in comune, rappresentando generi diversi e non di rado agli antipodi; il gruppo rivendica dunque il ruolo che gli spetta di diritto, ponendo in risalto sia il percorso compiuto (discontinuo, umorale) che gli sviluppi, le possibili diramazioni, di quest’ultimo.
Fulcro del progetto è il duo medesimo, la cui interazione ha avuto periodi di forte asprezza in seguito all’annuncio di uno scioglimento maturato durante la realizzazione di quello che doveva essere il suo terzo disco. Non siamo interessati alle divergenze che determinarono quella decisione, ai dissing e ai motivi di una ricomposizione giunta ben dodici anni dopo – <<credevano ca era nu bluff, n’operazione ‘e business/Luchè, ‘sti sciemi n’sanno niente, ‘o facimmo pe’ nuj stess>> (“Nun è mai fernut”) sta a indicare che, com’è giusto che sia, gli unici a conoscere i fatti concreti siano loro; ai fini della recensione contano altri argomenti: le reciproche evoluzioni stilistiche, l’intesa recuperata o meno, la capacità di stare al passo coi tempi senza alterare la propria identità. Che da un esordio intriso di drammatica realtà (parole nostre dell’epoca) Nto’ e Luchè siano cambiati, non dovrebbe stupire; trascorsi due decenni, ampliata la gamma di esperienze, raggiunta una discreta popolarità, l’uno e l’altro hanno approcciato “Dinastia” da un angolo nuovo e per ovvie ragioni, non esclusa quella anagrafica, più consapevole, riducendo la poesia cruda e addentrandosi meno ind’ o rione – coerentemente, peraltro. Tutto ciò tra pregi e difetti che nelle dodici tracce in scaletta non tardano a emergere.
Cominciamo dai primi. Dalle liriche traspare una coesione, una naturale sintonia, che non avremmo saputo preventivare. Certo, Nto’ e Luchè hanno condiviso vita (prima) e carriera (poi), ma non entravano in studio assieme da tanto, troppo; quando si dice che una volta imparato a pedalare si sa stare per sempre in equilibrio su una bicicletta: i Co’ Sang hanno ritrovato la chimica delle origini senza far intuire forzature, le rispettive voci, i cambi di flow e la spiccata fisicità delle descrizioni, a prescindere da una scenografia rinnovata quasi per intero, suonano familiari e materializzano i frutti delle accresciute ambizioni. Come detto e già dal primo singolo rilasciato a inizio agosto, “O primm post”, parte di questo processo è stato speso per lasciarsi alle spalle errori e incomprensioni (<<m’aggio miso ‘o primm post/nun simmo maj stati ‘o primm post/ma simmo sempe stati ‘o primm post>>), indirizzando poi il discorso su questioni più di routine: successo (“Vincente”), autocelebrazione (<<si penzo aro’ so’ partuto forse manco j ce credo/è ‘na modella ma vo’ veré ‘e Vele primma ‘e j int’ a l’hotel/da comm s’è assettata sott’a gonna n’tene niente/si care Luchè stai sicuro che care allerta>> – “Carnicero”, con un impeccabile Marracash), soldi, opulenza, rivalsa, mischiati soprattutto nel minimalismo di “Nu cuofn ‘e sord” (<<meglio ‘o bene sincero ‘e nu frate/si ‘o bro’ tuojo è ciento, truovi nu tesoro/n’serveno a niente quanno arriva l’ora/all’esequie n’parcheggiano ‘e portavalore>>).
Il sound è moderno, spesso melodico, con leggere screziature Trap. Dat Boi Dee e Geeno (aka Guido O’ Nan) gestiscono il grosso dei suoni confezionando un album accattivante, a misura di un pubblico ampio, però mai sguaiato quando ammicca a Pop e mainstream; la dominante dei synth viene stemperata da un uso non marginale dei sample, secondo una logica compositiva che, schivando le trappole nostalgiche, coglie in pieno lo spirito dei Co’ Sang. Si tratti di un brano scorbutico e spigoloso come “Carne e ossa”, col gradito ritorno ‘ncopp ‘e produzioni di Peppe O’ Red (<<vaco truanno champagne pecché aggio vevuto fango/cà p’essere OG t’avasta n’essere muorto pe’ scagno>>), o di un episodio che evoca le atmosfere e la disperazione di “Chi more pe’ mme” (<<tieni troppa raggia ‘ncuollo, n’te pozzo dà tuorto/si accarezzanno nu cane randagio t’ha dato nu muorzo/si e’ chiesto a Dio n’ata vita e n’t’ha dato ‘o rimborso/si aropp’ ‘a scola e’ ricalcato ‘a sagoma ‘e nu muorto>> – “Comme na fede”), l’abbinamento tra strumentali, strofe e ritornelli – davvero numerosi – è accuratissimo, segnale ulteriore di un efficace lavoro di squadra.
Sul braccio opposto della bilancia, pesano invece anzitutto le barre che Luchè cant(icchi)a, peculiarità che riscontriamo fin dall’introduttiva “Nu creature int’o munno” – nulla che non sapessimo anche da prima di “Dove volano le aquile”, senonché speravamo di trovarne in dosi inferiori. Parimenti, ci saremmo aspettati un pizzico di coraggio in più per “Sbagli e te ne vai” con Liberato e “Perdere ‘a capa” con Geolier, nelle quali i Co’ Sang sembrano scivolare in un ruolo da comprimari: sonorità, trama (si parla di amore in entrambi i casi) e registro accontenteranno forse il folto seguito dei loro ospiti, lasciando tuttavia una punta d’amaro sul palato di chi avrebbe preferito combinazioni meno prevedibili. Infine, spiace che il buon featuring dei Club Dogo per “Cchiù tiempo” venga disinnescato da un beat del tutto privo di fantasia, andando a campionare “Rubber Band” dei The Trammps in maniera speculare a “Hate It Or Love It” (no, cari amici che scrivete di Hip-Hop, la fonte non è The Game stesso).
Uscita a cadenza irregolare, la trilogia dei Co’ Sang si compie attraverso una raccolta di hit che fa da ponte tra il passato e il potenziale futuro del duo di Marianella, emerso da strade cupe e minacciose con l’obiettivo dichiarato di affrancarsene. Ci sono riusciti, è oggettivo, conservando la bellezza degli accenti sbagliati, il legame col quartiere d’appartenenza e la fame sempre insaziabile; in scia ai precedenti due, con le sue imperfezioni, “Dinastia” è la degna chiusura del cerchio, perciò <<nun te commuovere, nun è nu piezzo triste/chisto è pe salutà chi c’ha vuluto bene/è musica, nun è memoria, ‘a tuocc ancor ch’e mane/t’aiuta p’a vittoria, scorre ‘int’e cose che faje>>.
Tracklist
Co’ Sang – Dinastia (Warner Music Italy 2024)
- Nu creature int’o munno
- Carne e ossa
- Nun è mai fernut
- Cchiù tiempo [Feat. Club Dogo]
- Sbagli e te ne vai [Feat. Liberato]
- Nu cuofn ‘e sord
- Carnicero [Feat. Marracash]
- O primm post
- Vincente
- Perdere ‘a capa [Feat. Geolier]
- Comme na fede
- Dinastia
Beatz
- Dat Boi Dee: 1, 6, 9
- O’ Red: 2
- Geeno: 3, 7, 10, 12
- Don Joe e Geeno: 4
- Dat Boi Dee, Geeno e Torok: 5
- Geeno e Torok: 8
- Luchè: 11
Bra
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