Corsi e ricorsi storici, ovvero l’Hip-Hop italiano degli anni ’90 che a volte piaceva e a volte no…
Mi viene in mente incrociando la cover del mixtape che sancisce il ritorno di Sab Sista dopo non so più quanti anni di latitanza (tanti, considerando che in ordine cronologico l’ultimo dei 19 brani proposti, fatta eccezione per l’inedito, è datato 2002…), ma in realtà spesso se n’è parlato tra amici maniaci: sarà l’ondata di ristampe in vinile degli ultimi anni, spesso andate a ruba, o l’assestamento dell’Hip-Hop tra i generi musicali masticati dalla generalità del pubblico italiano (se ciò sia un bene o un male è tutt’altro tema, perciò qui non aggiungo altro), fatto sta che di fianco ai numeri – nei mesi recenti meno impressionanti – raggiunti dalle uscite mainstream, si è progressivamente assistito a una serie di rivalutazioni, riscoperte e ritorni che bisognerebbe ponderare con maggiore attenzione. Detto da dei nostalgici quali orgogliosamente siamo – il che non vuol dire che nel frattempo non siamo andati avanti, altrimenti avremmo già chiuso i battenti da parecchio… – può sembrare strano, eppure questa tendenza mi sembra puzzi un po’ di buonismo, forse addirittura di revisionismo. Insomma, io in quegli anni lì c’ero, ho recensito l’album di Sab Sista (l’unico pubblicato dalla female mc, non date retta a chi scrive usando le discografie di Wikipedia), nel prossimo aggiornamento parlerò degli A.T.P.C., eppure se dovessi dirvi che era tutto bello, tutto imperdibile, tutto da avere ad ogni costo nella vostra collezione, mentirei spudoratamente! L’Hip-Hop italiano degli anni ’90, col quale sono cresciuto e che ancora ascolto con immenso piacere, aveva pregi e difetti, classici e non, artisti coerenti e meteore più che dimenticabili, quindi condivido il sano proposito di raccontarlo a chi non l’ha vissuto né conosciuto (e lo faccio in prima persona grazie a RapManiacZ!), tuttavia mi aspetto che ciò accada con spirito critico, trovando le giuste misure tra la propria passione e i fatti concreti. Anche perché c’è un cono d’ombra che il più delle volte non viene raccontato, quei primi anni del duemila in cui tanti abbandonarono – forse per ragioni personali, forse perché capirono che il successo non era esattamente dietro l’angolo – e l’Hip-Hop italiano rischiò seriamente di sparire… Ecco, io preferisco celebrare chi, invece di eclissarsi e poi riapparire, scommise su se stesso e su un genere che sembrava spacciato, calcando assi di legno inchiodate male, registrando strofe e dischi che ascoltavano in pochi e cominciando ad abituarsi a un mezzo, la rete, che stava modificando radicalmente e rapidamente il mercato musicale globale. <<Qui ci s’identifica con chi l’ha fatta la storia/poi se la modifica e formatta la memoria>>; non occorre aggiungere altro.
Bra
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