Dalek – Abandoned Language

Voto: 5

Basta perdersi negli oscuri anfratti sonori degli oltre cinque minuti della strumentale “Lynch”, per comprendere lo scenario nel quale Will (Dälek) Brooks e Alap (Oktopus) Momin hanno girato il loro quarto film (se si conta anche l’assurdo “Derbe Respect, Alder” in combutta con i mitici Faust), “Abandoned Language”. Entrare dentro questo disco è proprio come guardare un lungometraggio del regista del Montana; la trama appare sconnessa, illogica, occulta, con comparse che vanno e vengono, attimi bui e momenti silenziosi che ti rapiscono e ti lasciano sconvolto, frastornato, ma voglioso di capire.

Il duo del New Jersey (Dj Still ha lasciato il gruppo nel 2005) ha da sempre un evidente gusto per i tappeti sonori dalle tinte fosche e badalamentiane, le batterie pesanti, i bassi lancinanti e sia per il Rap ruvido dei primi Mobb Deep sia per quello sibillino di Tricky, che più che mai viene fuori in “Abandoned Language”. Questo disco è il naturale seguito del folle kraut-hop di “Derbe Respect, Alder”, ne conserva l’imprevedibilità, i momenti di tensione orchestrale che contrastano con le cupe digressioni ambientali e le sfuriate verbali e sonore improvvise. E’ difficile distinguere quando una traccia inizia e quando un’altra finisce, “Abandoned Language” è più di un semplice disco di pezzi Hip-Hop, è uno scorrere continuo di synth e campionamenti (oltre che di strumenti suonati in studio) che travolge e viene travolto dalle ondate di parole taglienti e dai cambi d’umore repentini di Brooks.

Il lavoro dei Dälek sembra provenire direttamente da una fabbrica sotterranea, dove macchinari mastodontici emettono bassi violentissimi e suoni stridenti (“Abandoned Language”: <<they pass manilla folders and 100,000 die/they built the public schools with factory workers in their eyes/since we don’t manufacture now they don’t need men/it’s easier to start wars than it is to feed kids>>; “Relentless Paragraphs”), dove il ritmo di lavoro di migliaia di operai sporchi e senza volto è scandito da cantilene alienanti (“Bricks Crumble”: <<melancholic lyrics became the mundane in this maze/await my cohorts with verbal tirades>>; “Isolated State”), dove la macchinosità delle azioni quotidiane è scandita dal ripetersi dei suoni (vedi “Relentless Paragraphs” e “Corrupt”) e dove durante le rare pause riecheggia il Jazz stridulo e malato di “Starved For Truth” e i violini scratchati di “Tarnished” (<<ok nigga why you even mic this?/Most the rest of world don’t even like us/ink flow from pen to raw papyrus/12 straight hours doing work ain’t even tired/tried and hung from sycamor/cause i attempt to play Picasso for the poor/no one wants to hear this lion’s roar>>).

Spesso mi riesce difficile parlare in concreto di dischi che appena poggiati sul piatto o inseriti nel lettore sanno raccontarsi da soli, “Abandoned Language” è uno di questi e anche se probabilmente userà centinaia di giri di parole prima di aprirsi completamente a voi, vale la pena starlo a sentire.

Tracklist

Dälek – Abandoned Language (Ipecac/Daymare 2007)

  1. Abandoned Language
  2. Bricks Crumble
  3. Relentless Paragraphs
  4. Content To Play Villain
  5. Lynch
  6. Stagnant Waters
  7. Starved For Truth
  8. Isolated Stare
  9. Corrupt (Knuckle Up)
  10. Tarnished
  11. (Subversive Script)

Beatz

All tracks produced by Oktopus

Scratch

  • Motiv: 1, 2, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 11
  • Rob Swift: 3, 10
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