Hex One – Words Worth A Thousand Pictures

Voto: 4,5

L’epoca in cui stiamo attualmente vivendo è contraddistinta da incoerenza e superficialità, due espressioni di malessere sociale nemmeno tanto sorprendenti dato che la presunta progressione tecnologica domina oramai le esistenze di ciascuno inducendo l’individuo a pensare come la massa anche quando la teoria proposta rappresenta quanto di più contraddittorio possa esistere. Se il dettame in voga suggerisce che apparire è molto più determinante rispetto a ciò che permetterebbe una netta distinzione di quel che è sopra e quel che è sotto la media, allora non ci si dovrebbe sorprendere più di tanto nel notare che alcuni fattori qualitativi non sembrano rivestire più l’importanza di un tempo, considerazione che – a parere personale – non discende affatto dal non sapersi adattare ai tempi moderni, bensì attiene al saper ragionare ancora con un minimo di logica, senza farsi influenzare dalle tante sciocchezze assortite.

Se produrre arte richiede ancora talento, allora ciò non dovrebbe essere alla portata di tutti, un pensiero che ci sembra più adatto di altri per presentare il nuovo lavoro solista di Hex One, la cui devozione alla causa rappresenta quanto di più rinfrancante si possa reperire come contropartita a tutti quei momenti in cui tocca assistere alle illustri uscite di chi utilizza il cervello quale optional da pagare a parte, le quali alimentano l’infame teoria secondo la quale il cosiddetto lyricism avrebbe perso rilevanza all’interno delle economie dell’Hip-Hop.

Hex One, già attivo da una decade abbondante sia con gli Epidemic che in veste solista, sarà pure un ragazzo dei tempi d’oggi (classe ’89) ma è fortunatamente uno di quelli che quel lyricism di cui sopra lo ritiene ancora determinante, col risultato di riuscire a trasformare “Words Worth A Thousand Pictures” nel palcoscenico ideale per illustrare gli evidenti risultati ottenuti in tutti questi anni dedicati alla costruzione del suo bagaglio tecnico. Addentrarsi in quest’album significa essere inesorabilmente attratti da un vortice che vede cessare i suoi poderosi effetti solo all’ultimo secondo della dodicesima traccia in scaletta, merito di un progetto denso nell’esposizione, prolifico negli spunti creativi e curatissimo nella realizzazione.

Non è un talento che ci si ritrova davanti nella quotidianità. La controprova è data dal fatto che esaminando un pezzo qualunque spicchi costante la notevole varietà nello sviluppo di intricati percorsi metrici che appaiano rime interne e multi-sillabiche, la scioltezza nel balzare da un’assonanza all’altra collegando le vocali in tutte le posizioni immaginabili di una barra infarcendola col maggior numero di sillabe possibile, senza riuscire a reperire alcunché di casuale o di assoggettato ad astuzie da pochi centesimi: ogni rima – oltre a suonare dannatamente musicale! – tiene ben presente il senso logico di ciò che viene esposto e la qualità delle strofe è tale da fornire un adeguato livello d’intrattenimento per tutti quei passaggi in cui non si sente il bisogno di avvalersi di un ritornello.

Se davvero quanto qui offerto non fosse più rilevante, significherebbe che pezzi di pura inventiva non avrebbero più senso d’esistere. Il compito di brani come “Sallyble Mux-ip” è esattamente quello di spazzare via ogni dubbio in merito tramite l’elevata elasticità verbale, il trucco è quello di enunciare una strofa invertendone alcune vocali per poi eseguirla nuovamente ma in maniera corretta, concept che non tutti possono permettersi di sviluppare con costrutto. Episodi come “Extraterrestrials” si avvalgono efficacemente della figura retorica per trasferire su un altro soggetto un determinato significato, denotando una multi-dimensionalità avvalorata ancora dal saper trasmettere la poetica capacità d’introspezione di “Leave It All Behind” (<<my optics coldly show me its lowly contents>>), percorrendo la propria esistenza a ritroso e osservandola attraverso la lente del disagio passato, scomodo ma determinante nel formare la mentalità raggiunta nel presente, un concetto che anche l’autobiografia spittata in terza persona su “My Story” contribuisce a consolidare.

Hex One dà l’impressione di possedere idee molto chiare e di sapere come ampliare la sua già vasta dotazione di talento. Essere capace d’inchiodare schemi metrici complessi e far coesistere una simile quantità di tecnicismi non significa essere già arrivati al traguardo, né sapersi sobbarcare undici tracce di tale qualità lirica – gli unici aiuti esterni arrivano da Skyzoo nella possente “Peep The Steez” e dal compare epidemico Tek-nition nella conclusiva “Energies” – vuol dire ignorare i propri limiti e le proprie paure, un atteggiamento ben riassunto su una “Flava For Ya Mind” profonda nell’esaminare onestamente la propria condizione artistica vivendo perennemente sul filo del contrasto tra sicurezza e dubbio (<<flow is deadlier than blades and pistols kid that ain’t the issue/it’s that nobody cares my wildest fear is to put/a lot of years in my career but never reach nobody’s ears>>).

Conoscere precisamente ciò che si desidera si trasla in una direzione artistica definita, arrivando a selezionare un comparto sonoro volto a un glorioso passato che Hex One non ha vissuto per questioni anagrafiche, però dimostra di aver saputo ugualmente amare. I nove produttori impiegati offrono un pacchetto chiaramente ispirato dal miglior boom bap d’annata, ottenuto attraverso l’utilizzo di elementi principalmente Jazz e usufruendo della classica combinazione tra piano e trombe, queste ultime stese su differenti misure e svolte su sezioni ritmiche rotonde e squisitamente spalmate di grasso. Verrebbe la tentazione – e ci lasciamo andare giusto per un attimo – di isolare “My Story” e “Yes Y’All” per il loro ruolo di esplicito omaggio a Pete Rock, “Peep The Steeze” per il suo rappresentare un banger di effetti tellurici comprovati o la classe oscura di “Extraterrestrials”, tuttavia significherebbe sminuire il grande valore globale di una produzione che sarà pure nostalgica, ma è perfettamente in grado di colpire al centro in ogni singolo frangente.

Le conclusioni tratte dalla nuova opera del nativo di Barranquilla, Colombia, rimarcano l’indissolubilità dei veri canoni di giudizio dell’Hip-Hop, una lezione che si dimostra acquisita anche dalla mentalità della nuova generazione di talenti underground. Vivere alla giornata coltivando valori autentici vale molto di più dell’ignobile combinazione tra ricchezza e idiozia che domina non solo la musica, ma anche molto altro: dischi come questo non se sono che l’ulteriore conferma.

Tracklist

Hex One – Words Worth A Thousand Pictures (Mic Theory Records 2017)

  1. Intro
  2. Yes Y’all
  3. Where I’ll Go
  4. My Story
  5. Sallyble Mux-ip
  6. Back To The Boom
  7. Extraterrestrials
  8. Leave It All Behind
  9. Flava For Ya Mind
  10. I’m Gone
  11. Peep The Steeze [Feat. Skyzoo]
  12. Energies [Feat. Tek-nition]

Beatz

  • Chief: 1
  • Figub Brazlevic: 2, 6, 12
  • Klaus Layer: 3, 4
  • Emune: 5
  • Drippy: 7
  • Typeraw: 8
  • Devaloop: 9
  • KLIM Beats: 10
  • Planet Ragtime: 11

Scratch

  • Dj Proppo ’88: 4
  • Dj PhiLogic: 5
  • Loot Fattig: 8
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