Intervista a Il Lato Oscuro della Costa (Marzo 2010)

Bra: cominciamo letteralmente dal principio, cioè dalla fusione tra A.S. Click e Delitto Perfetto (mi pare fosse il 2003) nel Lato Oscuro. Raccontateci questo passaggio, le ragioni che vi hanno spinto a unire reciprocamente le forze…
Il Lato Oscuro della Costa: abbiamo iniziato praticamente tutti insieme, anche se alcuni di noi avevano esperienze precedenti in altre formazioni, quando i due gruppi si sono formati abbiamo fatto i live in coppia per un sacco di tempo. Dove c’era A.S. Click, c’era Delitto Perfetto e viceversa. Il progetto Lato Oscuro era un’idea di Moder per radunare le realtà Hip-Hop più interessanti della scena ravennate e delle zone limitrofe, tutto questo si è poi riassunto con la fusione dei due gruppi, per creare un’unica band che fosse una vera e propria potenza sul palco.

Riccardo Orlandi: la scelta, coraggiosa, di concepire un modo di fare Rap alternativo e controcorrente è sicuramente ammirevole. E’ una strada che avete intrapreso per esigenze e gusti personali o pensate sia una possibile direzione che, se sfruttata anche da altri, possa portare a risultati nuovi? In altre parole: auspicate che il Rap italiano si orienti in tal senso o è semplicemente il modo in cui voi sentite opportuno farlo?
LO: non vogliamo essere alternativi a tutti i costi. A dire il vero, il concetto stesso di alternativo non ci piace molto. Definire il proprio modo di fare musica alternativo lascia trasparire una certa arroganza di fondo, caratteristica che non si addice a noi come esseri umani. Non c’è un’esigenza di fare le cose in maniera diversa a prescindere, la nostra musica è quello che siamo, non è un suono deciso a tavolino, è tutto estremamente spontaneo. Quindi non credo che sia ammirevole tutto ciò, semmai non è ammirevole il contrario. La verità è che siamo molto influenzati da quello che ascoltiamo, che leggiamo e che vediamo. Tornando alla domanda, non pensiamo che il Rap italiano debba seguire il nostro esempio, ci sono realtà musicali totalmente diverse ma comunque molto valide e interessanti.

B: continuando su questo tema, proprio pochi mesi fa, intervistando i Groovenauti, Psycho vi citava tra quanti fanno parte di una scena di confine che sta nascendo dal basso, ovvero un microcosmo, se così vogliamo chiamarlo, all’interno di un insieme comunque non troppo esteso che è l’Hip-Hop italiano. Premesso che a mio avviso è l’utenza a creare delle categorie entro cui poter isolare gruppi e (sotto)generi musicali, non viceversa, voi vi rivolgete solo ai backpacker più incalliti o ritenete di poter raggiungere un pubblico quanto più ampio possibile? E quale delle due strategie è più semplice?
LO: tra “Artificious” e “Amore, morte, rivoluzione” sono passati poco più di tre anni, anni che hanno segnato tanti cambiamenti che ovviamente hanno influenzato il nostro modo di fare musica. Le nostre esperienze musicali e personali si sono come fuse nel nostro ultimo disco. Non crediamo molto nei sottogeneri e nei microcosmi, cerchiamo di fare buona musica che possa arrivare a chiunque, senza seguire per forza formulette predefinite. L’idea di avere un pubblico di riferimento può inconsciamente orientare alcune scelte musicali e questo limiterebbe o incanalerebbe il potenziale espressivo. La prima cosa che abbiamo deciso, lavorando a quest’album, è stata quella di fare un disco di gruppo, affidandoci unicamente alle nostre forze e a quelle dei nostri collaboratori/amici più prossimi. Non abbiamo affrontato strategie di nessun tipo e il risultato aveva il sapore di “Amore, morte, rivoluzione”. Visto che l’hai citato, salutiamo Psycho e i Groovenauti, sono grandi amici!

RO: da un punto di vista tecnico, è evidente che avete evitato di seguire con eccessiva ortodossia lo schema classico dei pezzi Rap, ad esempio attraverso il tradizionale schema strofa/ritornello. Qual è il vostro rapporto con la scrittura? I tentativi di trovare nuove soluzioni sono molti e arrivano anche a mettere in dubbio la tecnica fondamentale: mi riferisco, ad esempio, alla seconda strofa di “Come voi”, in cui le rime non sono a fine verso. Quello che intendo è: come scrivete? La potenza suggestiva delle immagini è effettivamente più appagante del virtuosismo tecnico fine a se stesso?
LO: sulla scrittura, abbiamo tutti idee diverse. C’è chi la orienta maggiormente sulla tecnica e le metriche complesse, chi sulle rime potenti, chi sul testo originale. In “Come voi”, ad esempio, le rime sono presenti ma molto allontanate attraverso l’uso della tecnica dell’offbeat. In sostanza, possiamo dire che non esiste una vera e propria scuola Lato Oscuro: scrivere e cantare con uno stile simile l’uno all’altro non ci interessa. Riguardo alla formula strofa/ritornello, è stato naturale cercare altre strade, soprattutto perché erano le strumentali a chiederlo.

RO: tra l’altro, nella presentazione di “Amore, morte, rivoluzione” citate, come fonti di riferimento per la scrittura, Dick e Vonnegut. Potreste spendere qualche parola in più per approfondire l’argomento?
LO: Philip Dick e Kurt Vonnegut sono solo due degli autori a cui ci ispiriamo. I film, la letteratura e la musica, oltre naturalmente alla vita di tutti i giorni, sono le fonti da cui attingiamo quando scriviamo. Detto questo, non vogliamo essere citazionisti o intellettualoidi, i nostri testi parlano principalmente di ciò che siamo, perciò è naturale che certe letture, ascolti o visioni che ci hanno colpito entrino poi in quello che scriviamo.

RO: perché proprio l’amore, la morte e la rivoluzione? Da cosa è dettata la scelta di questo trittico e la riduzione tematica a questi tre argomenti centrali?
LO: sono tre argomenti fondamentali per un essere umano. Sebbene il concept dell’album sia riassunto in tre parole, abbiamo cercato di approfondire gli argomenti, non banalizzarli, focalizzarli anzi al massimo. L’amore può essere distruttivo, mentre la morte, vista solitamente come la fine della vita, può portare invece a un cambiamento, alla rivoluzione appunto, non necessariamente politica, ma anche personale.

B: complichiamo le cose. Se vi chiedessi di indicare una rappresentazione grafica per l’amore, la morte e la rivoluzione attraverso altrettante opere artistiche (classiche, contemporanee, avanguardiste; quello che vi pare), voi cosa scegliereste e perché?
LO: la domanda è complicata ed è complicato rispondere. Quando abbiamo iniziato quest’ultimo lavoro avevamo puntato su un singolo che parlava dell’urlo come sfogo o come arma di ribellione. E’ venuto istintivo legarci all’opera più importante di Edvard Munch, “L’urlo”. Come questo quadro ha segnato nella storia dell’arte la fine di un’epoca (fine del 1800), così “Munch”, una delle tracce principali di “Amore, morte, rivoluzione”, segna la fine di “Artificious” e l’inizio di una nuova avventura e di nuovi stimoli. Le emozioni collezionate durante la realizzazione di quest’ultimo lavoro sono decisamente paragonabili a “L’urlo”, che racchiude col suo significato artistico e culturale i tre concetti chiave dell’album.

RO: i brani che fanno riferimento alla rivoluzione (penso in particolare a “L’onda”) sembrano definire una concezione lontana da tanto Hip-Hop militante, peraltro, a parer mio, oramai fuori moda, oltre che ideologicamente discutibile. In altre parole, mi sembra che non parliate di una rivoluzione per così dire attiva e violenta, ma più che altro di una presa di coscienza dell’individualità della persona. E’ così o si tratta solo di una mia impressione?
LO: non volevamo inneggiare alla rivolta, il nostro presente è pieno di violenza sottesa, una rabbia senza nome e senza scopo non come quella operaio/padrone o militante/Stato. Siamo lontanissimi dall’Hip-Hop militante perché siamo la generazione degli ideali uccisi. Non volevamo inneggiare alla rivolta politica o di classe ma a una rivolta personale, quasi individuale. La piazza è solo il luogo in cui distruggere ciò che ti ingabbia. Nell’onda c’è l’impiegato che si toglie la camicia per non appartenere più alla vita che si è costruito e che l’ha reso schiavo, c’è chi è sceso in piazza pronto allo scontro con la Polizia e capisce troppo tardi che non sarà così che cambierà la propria vita, chi invece cerca lo scontro per vendicarsi di tutta la merda ingoiata. Non appartengono a un partito o a un ideale condiviso, sono solamente uomini pronti a tutto. E poi? Come si conclude la rivolta? I personaggi entrano e se ne vanno senza lasciare il segno. Sono piccole apparizioni nel filmato dello scontro dei nessuno e di cui nessuno sentirà la mancanza.

B: di solito, nel commentare un disco viene automatico indicare delle fonti di ispirazione, dei termini di paragone che ne chiariscano, quantomeno per sommi capi, il tipo di sonorità; per quel che riguarda Dj Nada, però, non è affatto semplice, l’originalità delle sue produzioni e l’uso di strumenti che non siano solo campionatore e sequencer complica ogni tentativo di valutazione, perciò vorremmo sapere dal diretto interessato quali sono i musicisti che lo hanno influenzato maggiormente e, se possibile, come si è articolata la fase di composizione di “Amore, morte, rivoluzione”, durata ben tre anni.
Dj Nada: la scrittura delle musiche è riconducibile a un periodo ben definito della mia vita. Ho cercato di mettere in musica quelle sensazioni. Quando riascolto le strumentali di “Amore, morte, rivoluzione”, riaffiorano immagini, persone, situazioni di vita vissuta. La musica per me è come un diario, alcuni suoni, alcune melodie, descrivono il mio mondo molto meglio di quanto lo facciano le parole. Mi hanno influenzato il Prog e il Jazz di certi anni nella ricerca delle immagini sonore, i Mars Volta mi hanno illuminato sulla costruzione e distruzione delle strutture, El-P mi ha mostrato come rendere solido un suono. Mi affascinano le ricerche di Prefuse73 e Burial, le chitarre di Dan Auerbach, le colonne sonore di Santaolalla e Badalamenti, l’uso magistrale dei campioni di Madlib, le soluzioni Pop di Danger Mouse e Kanye West, le ritmiche storte di Flying Lotus, il suono metallico dei Nine Inch Nails, la dolce malinconia dei Notwist e dei primi Tiromancino, l’Elettronica concreta di Squarepusher e tutto l’immaginario alterato dei Pink Floyd.

B: rispetto ad “Artificious” (ma anche a “Doublethinkers” e “Grand Guignol”), mi sembra appunto di notare un insieme di spunti musicali ancora più eterogeneo, possiamo dire che “Amore, morte, rivoluzione” segni un punto di arrivo definitivo per Il Lato Oscuro della Costa o il vostro percorso rimane in progress?
LO: qualcuno prima di noi ha detto che il punto d’arrivo per chi vive è la morte. Davvero non sappiamo che cosa faremo musicalmente domani. Più che un punto d’arrivo, quest’album è una tappa fondamentale della nostra vita, ma abbiamo nuovi stimoli e nuovi progetti da realizzare. Di definito, c’è solo la voglia di fare musica.

B: se volessimo tracciare un piccolo bilancio della vostra carriera musicale, tutt’altro che breve dato il discreto numero di pubblicazioni, quale sarebbe? Avete raggiunto più o meno degli obiettivi che vi eravate prefissati qualche anno fa?
LO: principalmente, abbiamo preso coscienza di parecchie cose che riguardano il mondo della musica e di noi stessi. Questo si può considerare un obiettivo raggiunto. Nell’immediato, crediamo che il vero lavoro inizi ora che il disco è uscito e speriamo tra qualche mese di poterci prendere qualche (meritata) soddisfazione.

B: una curiosità, avete anche un lato non oscuro?
LO: a livello umano, di oscuro c’è ben poco, siamo ragazzi socievoli e allegri. Ci piace parlare con la gente, interagire con le realtà presenti nei posti che visitiamo durante i concerti. Del resto, Il Lato Oscuro della Costa lavora nel buio per venire alla luce, non il contrario…

RO: proviamo a puntare i riflettori nell’altro verso. Vorrei un vostro giudizio sulla scena italiana; non sto parlando degli artisti, ma del pubblico. L’impressione di chi, come voi, ha maturato una forte esperienza live è di certo significativa per esprimere un’opinione sul livello di competenza e serietà di chi segue l’Hip-Hop in Italia. Proviamo ad abbozzare un identikit?
LO: è grazie al pubblico Hip-Hop che esistiamo e dobbiamo molto a chi ha creduto in noi e ci ha supportato. Prima di essere musicisti, siamo noi stessi pubblico; apparteniamo fieramente a quel gruppo di superstiti che continuano a seguire e supportare la musica, sia nei negozi che dal vivo. Del pubblico in italia si è detto di tutto, esiste, non esiste, ma crediamo che senza troppe sovrastrutture il pubblico esista dove esiste qualcuno che voglia parlare. Se organizzo il concerto di Eminem ma lo scrivo in tre siti specializzati e mando due messaggini agli amici, non basta per raggiungere un buon risultato, figurarsi se poi si parla di progetti underground. Aggiungi il fatto che il pubblico è formato da persone, le persone all’interno di un gruppo sono molto poco identificabili da fuori ed ecco spiegato il perché spesso si parla di pubblico frammentato. Come già detto, i grandi movimenti sono morti ed è finita (purtroppo) anche l’epoca in cui ci si faceva 200 km per andare a supportare qualsiasi cosa avesse a che fare con l’Hip-Hop: oggi suoniamo nei club e li chiamiamo concerti, purtroppo non capita più tanto spesso di ritrovarsi a una Jam. Crediamo nel live perché il rapporto con chi ti ascolta è diretto, indipendentemente dalla casa discografica, dalla pubblicità e dalla notorietà.

B: ultima domanda. Come si svolgerà la promozione di “Amore, morte, rivoluzione” e quali saranno i principali canali utilizzati?
LO: ci concentreremo particolarmente su Internet, ma non ci fossilizzeremo. La nostra etichetta discografica e il nostro ufficio stampa stanno lavorando molto bene per cercare di promuovere e dare il massimo della visibilità al nostro disco. Inoltre, cercheremo di toccare molte città con il nostro tour che si farcisce di date di settimana in settimana.

B: grazie e in bocca al lupo…
LO: grazie a voi e a tutti quelli che, in un modo o nell’altro, ci hanno aiutato e sostenuto.

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