Intervista a Jampa AK (16/07/2024)

A fine maggio, intervistando Hvgme, venivamo a conoscenza – off the record – di un nuovo EP Stakanov Boys in programma per la stagione più calda, “Estate pesa” con Jampa AK. Ricevuto il pre-ascolto e considerata l’intensa attività del rapper classe ’91, abbiamo colto l’occasione per fissare una chat su Zoom e fare qualche domanda a Gianluca, che non ha risposto con la bandana d’ordinanza in viso, ma sfoggiando una maglia logata Death Row Records…

Bra: andando un po’ a memoria, credo di averti sentito per la prima volta in un brano di “The equinox” di Lil Pin, “Angeli e demoni”. Era il 2014, avevi quindi poco più di vent’anni: a che età hai cominciato a fare Rap e cosa ti ha spinto a farlo?
Jampa AK: ho iniziato intorno ai diciassette anni, quando un mio amico writer mi ha girato ‘sta chiavetta con dentro della roba pazzesca. Conoscevo già l’Hip-Hop, le robe basilari che passavano su MTV e che tutti più o meno hanno ascoltato; grazie a lui, però, ho scoperto Lord Bean, gli Otierre, i Sangue Misto, Neffa, Asher Kuno… Da lì mi si è aperto un mondo, il Rap italiano, che in TV non girava ancora come oggi. L’input è stato quello, m’è venuta voglia di provare a scrivere le prime rime – che oggi mi sembrano imbarazzanti… – e un po’ per volta ho conosciuto anche altra gente che rappava, nonostante in giro da queste parti ce ne fosse poca.

B: ecco, della scena di Bergamo non sappiamo molto. Nella tua esperienza artistica, che ruolo ha avuto l’ambiente in cui sei cresciuto e in che misura il riferimento è stato invece la vicinissima Milano?
JAK: nel Rap, Bergamo non è mai stata molto competitiva, né ha avuto una figura capace di alzare il livello della città. Rispetto ai centri più grandi – Milano, Bologna, Roma, Napoli – manca di un personaggio storico forte, pensa a quello che rappresentano Inoki, Guè o Stokka & MadBuddy per le scene da cui provengono. Si è sempre fatto il freestyle, con le battle e gli eventi, c’era già un gruppo di ragazzi più grande di me che organizzava robe, avevano qualche pezzo e via dicendo, ma nulla che uscisse dalla provincia, perciò non mi sento così legato all’Hip-Hop di Bergamo, non mi ha cresciuto. Sicuramente guardavo più verso Milano, in quel periodo lavoravo tanto con Fabio, Retraz, che mi portava spesso in giro e grazie a lui sono entrato in contatto con un po’ di gente, gli Spregiudicati, gli MDT… Erano quegli anni lì e le cose che uscivano a Milano, vuoi o non vuoi, tracciavano un solco per tutti. La verità è che oggi vorrei diventare io quel punto di riferimento che in città non c’è, non è facile ma sto lavorando per questo, per dare una voce a Bergamo, per dire ci siamo anche noi.

B: dal punto di vista della scrittura, invece, senti di aver attinto in particolare da qualcuno, nel dare forma al tuo stile?
JAK: quando inizi, per forza di cose somigli a qualcuno, prendi ispirazione dagli ascolti e dai rapper che ti piacciono di più, poi lavori per trovare una personalità. Per dirti, quando – come ti raccontavo – ho cominciato ad ascoltare i Sangue Misto, Bean, Kaos, la Dogo Gang, è chiaro che ho studiato tanto la loro roba, affinando quello che imparavo e soprattutto trovando una dimensione tematica mia, perché se ti parlo della sparatoria sotto casa sto dicendo una cazzata, non è il mondo da cui provengo. Poi piano piano, provando, esci tu, esce il tuo modo di impostare le cose.

B: prima di entrare in Stakanov Boys, sei stato per un po’ lontano dal Rap. Cosa ti aveva spinto a mettere da parte questo percorso e cosa invece ti ha convinto a riprendere in mano il microfono?
JAK: quando ho deciso di smettere, ero sicuro non avrei più ripreso. Non ho mai smesso di essere un ascoltatore, un appassionato, ma a un certo punto ho fatto proprio fatica a riconoscermi nell’ambiente, mi pesava anche che a Bergamo non ci fosse quasi nulla e nelle rare occasioni a disposizione ti mettevano pure i bastoni tra le ruote. Aggiungi che avevo dei progetti personali che mi tenevano parecchio impegnato, mi allenavo molto e ho deciso di chiudere col Rap. Tempo dopo ho avuto un problema ai tendini della mano, mi sono dovuto operare e, parlando con un caro amico che lavora nel mondo della musica e che poi in effetti mi ha aiutato a pubblicare le cose sul web, mi sono lentamente convinto a riprendere a scrivere, ho provato, gli ho fatto sentire le prime robe su dei beat che aveva recuperato e così è ripartita. Ero un po’ arrugginito, però il Rap sapevo già farlo e non c’è voluto molto per lanciare il mio primo nuovo singolo, “Push up”, poi “Type R”, “Bricks”, “Fuori città” e via a seguire, racchiudendo tutto in “8”. Si trattava soprattutto di rimettere in moto le cose, ma sapevo già di volermi muovere in un’altra direzione e con un determinato tipo di sound. Intanto, ho capito che funzionava, che volevo fare il Rap, con molte persone con cui collaboravo in passato sapevo di non poter fare altra roba nuova ma, tra gli altri, sui social ho conosciuto Antonio, Terrasanta, grande fan di Lil Pin che infatti sapeva già chi fossi, abbiamo fatto “Kerry King” e in questo modo ho incontrato una realtà che aveva le caratteristiche che cercavo.

B: da fine 2023, sei stato attivissimo. Hai cominciato con “Stakanov Boys anthem”, sorta di posse con Hvgme, Montenero, Pessimo 17, Davide Bates, Rotsy Tiem e Terrasanta, poi hai preso parte al progetto “Adamantio”: qual è il legame che ti unisce al collettivo?
JAK: allora, la premessa è che – sembrerà una paraculata, ma è vero – un rapper che ho sempre seguito tanto, di cui posso dire di essere un vero fan, è Montenero. Il suo modo di raccontare le cose mi ha influenzato tanto, ma da prima che si sviluppasse questo filone. Quando c’è stato il live di Make Rap Great Again al Legend di Milano, sono andato a beccare Pin perché non lo vedevo da tanto: lui mi ha subito proposto di parlare con Monte, di provare a fare qualcosa assieme; in quel momento non se n’è fatto niente e per un po’ ho continuato a pubblicare singoli, quando però le strade si sono incrociate, lui ha ascoltato le mie cose, gli sono piaciute, abbiamo iniziato a sentirci e ci siamo subito presi benissimo. Mi sono riconosciuto tanto in quello che facevano ed è stato abbastanza spontaneo farne parte, una volta registrati i primi pezzi assieme.

B: a marzo pubblichi “Outfit”, realizzato con Carlo Ragazzo. Potremmo definirlo un disco generazionale, che cita un’epoca abbastanza precisa e ha un taglio musicale altrettanto lineare, pescando qualcosa anche dagli anni ’80: raccontaci com’è nato il tutto e come si è svolta la lavorazione.
JAK: è partito tutto dalla mia passione quasi maniacale per i cappellini Von Dutch. Stavo pubblicando un singolo dietro l’altro, appunto, e volevo farne uno intitolato “Cappellino Von Dutch”, non c’era neppure il beat ma avevo in mente le prime quattro barre e la copertina, ne ho parlato coi miei amici – che di Rap non sanno niente, però hanno vissuto le stesse mode – e abbiamo cominciato a elencare altri marchi, si poteva fare qualcosa su Rams, poi abbiamo pensato a Kelto, a Monella Vagabonda… E niente, a quel punto mi sono detto faccio un concept album e parlo di quell’epoca, una roba per certi versi malinconica, che citasse quel modo di vivere e quei ricordi, quando c’erano gli SMS, le Total 90 e i motorini truccati, in pratica gli anni della mia adolescenza. Con Carlo Ragazzo, intanto, ci eravamo sentiti perché a lui era piaciuto il mio pezzo “Do Nascimento”, mi aveva girato dei beat e quella versatilità, il fatto che potesse darmi sia un mood da cannetta al parco che una roba che ti ascolti prima di andare a litigare con qualcuno, unito a un’intesa naturale, perché è di due anni più grande di me e quindi conosce a sua volta quel periodo, ha fatto sì che riuscissi a trovare l’abbinamento giusto per ogni marca che volevo citare. La strumentale di “Felpa Lonsdale”, ad esempio, mi ha proprio fatto ricordare le cose che poi ho scritto, i fuochi d’artificio, la tipa che si appoggiava e mi sporcava la felpa… E’ stato veramente figo fare quel disco.

B: a maggio è la volta di “Pollo & ostriche”, con Montenero. In questo caso l’immaginario è quello più spigoloso di un certo tipo di underground, nonostante a prevalere sia ancora la dimensione narrativa, lo storytelling: com’è stato lavorare spalla a spalla con Monte e da quale spunto siete partiti?
JAK: al di là dell’enorme stima nei suoi riguardi, come ti dicevo, con Monte è nata in primis un’amicizia, ci sentiamo spesso, abbiamo un certo tipo di rapporto e oramai non lo considero più solo un artista con cui collaboro. Il progetto prende il via mentre stavo realizzando “Outfit”, mi mancavano forse un paio di tracce: lui mi passa dei beat e mi propone di fare un doppio singolo, ovviamente ho subito accettato e, confrontandoci, abbiamo scoperto di avere un modo di lavorare simile, nel senso che siamo molto rapidi, quando arriva la cartella ci mettiamo sotto e scriviamo in un paio di giorni – veri stakanovisti! Chiudiamo i due pezzi e a quel punto abbiamo visto che funzionava, perciò siamo andati avanti, abbiamo ascoltato altri beat e alla fine è venuto fuori un EP chiuso in pochissimo, una settimana circa, con quello spirito lì se vuoi un po’ leggero.

B: un mese più tardi, a giugno, è la volta di “Estate pesa”, realizzato con Hvgme. Non è il classico disco estivo, per dirla con un eufemismo: come da titolo, il concept è nostalgico, cupo; spiegaci questa scelta.
JAK: secondo me d’estate tendiamo a vivere diversamente i problemi, c’è il sole, vai al mare e in qualche modo puoi smorzare quelle riflessioni che in inverno, invece, ti buttano direttamente giù. Ma i problemi non vanno via, rimangono comunque lì. “Estate pesa” è questo. Credo sia anche il mio progetto più profondo e introspettivo, ci sono dentro emozioni, amori finiti, storie che lasciano cicatrici… Magari non si nota, ma l’ispirazione arriva tanto dalla musica italiana degli anni ’70 e ’80, oltre al Rap ascolto Vasco come Califano, quel mondo lì, il cantautorato, e quel lato è molto presente nell’EP, pur suonando Hip-Hop al 100%. Volevo anche scrivere qualcosa che facesse un minimo pensare, durante l’ascolto, che funzionasse bene in auto e nel quale potersi riconoscere. Non è il disco per le feste in spiaggia, è chiaro.

B: terminiamo questo fitto excursus con “Raheem”, brano uscito la settimana scorsa per il marchio di streetwear Zero Blasterfirm (gli stessi che avevano già realizzato gli short con MxRxGxA – ndBra), sempre con te, Montenero e Hvgme. E’ il segnale che Stakanov Boys abbia potenzialità anche al di fuori della sua nicchia di riferimento?
JAK: certo, sì. Prima parlavamo di versatilità: Stakanov Boys è versatile. Possiamo fare cose più crude alla “Pollo & ostriche”, come anthem che giocano col classico immaginario Hip-Hop, pescando tra cinema, basket e vestiario. Possiamo spaziare senza problemi, anche perché ognuno di noi ha un gusto suo.

B: dopo tutte queste uscite, pubblicate in un lasso di tempo così ridotto, sei più stanco, sazio o motivato a continuare con questo ritmo?
JAK: ah, io son sempre motivato! Bene o male, cerco di chiudere una traccia a settimana, anche perché ho la fortuna di registrare qui a casa. Per me è così: se arriva il beat che mi piace, scrivo, registro e chiudo. In questo periodo, da quando ho ripreso e ho trovato delle persone che condividono le mie stesse idee, sono molto gasato: ho fatto tanto, sì, e penso anche di averlo fatto bene. La gente si sta accorgendo che ci sono anch’io, la risposta è positiva e, finché posso, continuo a martellare. Anzi, ti anticipo che dopo l’estate usciranno altre cose, ho pronto qualche pezzo nuovo con Monte e ho fatto da poco due sessioni con Carlo e Antee.

B: e allora non resta che continuare a seguirti. Prima di salutarci, vuoi aggiungere qualcosa?
JAK: ci siamo detti più o meno tutto, grazie per l’intervista.
B: grazie a te!