Intervista a Zona mc (Dicembre 2014)
Da poco uscito con il suo ultimo lavoro, “Porconomia”, Zona mc è uno di quei personaggi che fa bene incontrare e conoscere, sia per la mole di cose che è in grado di dire in una semplice conversazione che per la sua capacità di unire spesso alto e basso (culturalmente parlando), cosa che emerge anche nei suoi concerti, autentiche esperienze per chiunque si trovi per caso a passare di lì. Proprio in virtù di questa grande quantità di cose venute fuori (e che sono solo una percentuale di tutto ciò che è stato detto), interrompo subito ogni premessa e vi rimando alla nostra chiacchierata!
Jonathan: ciao Zona, detto Mula, per chi non ti conoscesse diciamo subito che sei un nome abbastanza noto in un ambito che è quello della musica alternativa (pessimo termine, ma ci siamo capiti), mentre magari non rientri negli ascolti abituali di chi è solito ascoltare l’Hip-Hop propriamente detto. Trattandosi RapManiacZ di un sito letto anche e soprattutto da questi ultimi, ti va di presentarti nuovamente? Magari parlami del momento in cui dal Rap vero e proprio sei passato al progetto attuale, Zona mc così come lo conosciamo ora.
Zona mc: guarda, c’è un problema, non esiste una data specifica in cui si possa individuare il passaggio di cui parli. Forse c’è un evento, o meglio un anno, e si tratta dell’anno in cui ho scoperto la musica dei Uochi Toki – e si tratta del periodo precedente a quello della pubblicazione dei miei dischi on-line. Il rapporto con l’Hip-Hop e le sue origini è invece parte di un discorso più complesso e lungo: il fatto è che non c’è una data precisa nemmeno per quello, semplicemente qualsiasi cosa fosse rappata mi entusiasmava; bada, sto parlando di Rap, avendo iniziato con cose come Jovanotti e la colonna sonora di “Space Jam”, che conteneva anche alcune tracce Hip-Hop (vedi la presenza di figure come Method Man) che però non riuscivo ancora a comprendere. Quindi, l’incontro con l’Hip-Hop risale proprio al periodo dell’infanzia, ma ho preso coscienza della cosa solo anni dopo, ascoltandone di italiano e straniero per un periodo di almeno quindici anni. Comunque, la prima cosa che ho scritto risale a prima che avessi dieci anni…
J: ok, quindi hai un rapporto con la scrittura Rap che risale a vecchia data e usi l’appellativo mc, qualcosa di così intrinseco alla cultura Hip-Hop, pur offrendo spettacoli decisamente diversi sia per tematiche che per atteggiamento (a volte irriverente verso certi dogmi, ancora mi ricordo i tuoi leggendari freestyle in favore dei vigili del fuoco e le incitazioni a tirare giù le mani!). E’ strano, se si pensa che in fondo sei una figura che, assieme appunto ai Uochi, ha rappresentato uno dei principali fautori di una rottura con l’Hip-Hop più tradizionale, non trovi?
Z: partiamo da un dato storico. Se consideri l’mc come appunto il maestro di cerimonia inteso quale sorta di protesi del dj nelle feste, che incita il pubblico, quello è stato superato molto prima di me (che ovviamente non ho inventato nulla, da quel punto di vista), grazie a figure americane che si sono approcciate all’aspetto più riflessivo e mentale fin dai primi anni novanta. In quegli anni si è passati dalla concezione del dj come braccio del sound system al suo affrancamento da tale concezione, fino a ritenerlo il performer principale e addirittura uno scrittore, un autore. Partendo da questo discorso posso quindi dire di non costituire un elemento di rottura, ma forse l’estremizzazione di questo affrancamento, essendo i miei live costituiti in larga parte dal freestyle, per quanto inteso in maniera personale. Ad esempio i Uochi, coi quali per un certo periodo mi sono sovrapposto, costituiscono un elemento molto più di frattura nei confronti della tradizione; più che altro per quel che riguarda l’estetica: l’Hip-Hop con loro viene asciugato di tutto ciò che è l’aspetto black e conciliante, con me avviene altro e in una direzione differente. Però sì, ribadisco, credo di essere una continuazione dell’Hip-Hop classico più che il suo ribaltamento. Ma questo è un discorso relativo al mio ruolo nell’Hip-Hop, mentre per quanto riguarda la questione delle tematiche la differenza è più marcata e come tale semplice da individuare: la cosa che più mi allontana dai rapper è il fatto di occuparmi spesso di antichità, di far riferimenti che sono diretta conseguenza dei miei studi in filosofia e, più in generale, della voglia di comprendere la realtà attraverso una ricerca storica. Comunque, non mi considererei un artista Hip-Hop nella stessa misura in cui un mc non si definisce un musicista Funk, portando all’estremo una cosa la si supera (pur rispettandone magari le origini). A tal proposito, mi spaventa parecchio la chiusura di molti rapper verso questo tipo di superamento, o apertura, solo verso un’idea ingannevole di esso.
J: ecco, venendo alla tua posizione apocrifa, toglimi una curiosità. Capita mai di trovare forme di integralismo e ipercriticità nei confronti del tuo atteggiamento? Quando succede ti irrita?
Z: be’, è successo proprio ieri! Su un forum di economia un utente ha lamentato la mancanza di pause nel mio Rap, adducendo come motivazione una mia incapacità (parlava appunto di dover imparare a fare pause), senza considerare l’ipotesi che magari fosse parte della mia cifra stilistica. Non è che queste cose mi irritino, mi lasciano più che altro perplesso. Mi sorprende più che altro che si noti una mia caratteristica e la si faccia passare per difetto, quando invece si fatica a capire gli aspetti più disarmanti del cosiddetto Rap canonico. Ora che mi ci fai pensare, però, forse una cosa che mi irrita c’è: l’idea che si consideri quello che faccio come una fase sperimentale che necessariamente debba avere quale esito felice il ricongiungimento con la tradizione, creando un ideale compromesso. Ecco, io non trovo che questo sia necessariamente auspicabile.
J: e quando invece si parla del tuo percorso, immagino che anche lì si possano trovare forme di integralismo… Voglio dire, credo che quest’ultimo lavoro e in qualche modo anche il precedente abbiano portato un sensibile cambiamento nel tuo modo di creare canzoni. In che maniera sono stati percepiti dagli estimatori di “Ananke” o “Caosmo”? E come ti rapporti a eventuali detrattori ma soprattutto ad affezionati nostalgici?
Z: sì, capita di incontrare persone che mi chiedono di fare ad esempio un altro “Ananke”, ma sinceramente credo che ciò sia una sorta di rallentamento all’interno di un movimento creativo che in realtà dovrebbe innovare… E’ una cosa che vorrei evitare, per questo preferisco innovare anche e soprattutto me stesso, è indicativo di ciò anche il fatto che io abbia scelto di passare dalla filosofia all’economia.
J: in effetti, sei passato dall’autoreferenzialità tipica del Rap dei tuoi esordi ai riferimenti alti, per poi giungere ora a parlare di qualcosa di fortemente attuale…
Z: certo, in realtà però non userei l’aggettivo alti, piuttosto antichi. Ma per quel che riguarda l’aspetto di cambiare direzione tematica, direi che mi trovi sicuramente d’accordo. Più che altro dovevo trovare il modo di passare dalla critica dell’opinione sull’attualità effettuata in maniera distaccata a parlarne in maniera più personale, affrontando sì in maniera polemica l’argomento, ma anche provando a imitarne la grammatica principale. Sono partito come ogni volta dalla cosiddetta banalità/attualità, che però è banalità nel modo di trattare un argomento e non nell’argomento in sé (prova solo a pensare alle monete che hai in tasca, la moneta è un oggetto fisico ma è portatore di un significato complesso che molti di noi non conoscono), e ho voluto parlarne andando in profondità, non più definendo semplicemente l’attualità come un corpo tumorale pieno di opinioni, ma spiegando perché la vedo così, mostrando appunto quelle opinioni. “Porconomia” è un po’ un riferimento riassuntivo di tutta l’attività divulgativa e d’informazione che chi mi segue su internet ha avuto modo di osservare, era giunto il momento che quest’attività confluisse anche nel mio lavoro musicale. Ho però cercato di evitare di parlare unicamente delle mie opinioni, limitandole alla prima traccia e dedicandomi a quelle altrui nelle rimanenti. Potrebbe risultare magari supponente, come qualcuno mi ha fatto notare, ma lo scenario del disco è qualcosa a metà tra la parodia della realtà e la creazione di un mondo a sé.
J: in alcuni casi, però, i riferimenti sono abbastanza attinenti alla realtà e la ferocia è innegabile. Considera ad esempio “I bei ragazzi”.
Z: ecco, quello forse è l’unico vero errore del disco, di cui mi assumo piena responsabilità. Credo che il brano risulti feroce in maniera esagerata, più che altro perché prendo in considerazione una tendenza (il consumismo) che poco o nulla attiene al concept dell’album… Ho espresso critiche che magari potevo esprimere di persona a determinate persone, ma sono elementi che non si concatenano col tema di tutto questo disco. Magari sarebbe stato meglio mettere in rima il rapporto che le famiglie hanno con le banche e parlare di debito privato (elemento che poi viene rappresentato proprio in copertina: il grafico descrive il debito privato estero), sarebbe stato un modo per avere un disco molto più coerente.
J: parlando invece di un brano che mi ha colpito moltissimo, soffermiamoci sulla reinterpretazione dei Uochi del penultimo brano.
Z: sì, è stato davvero interessante affidare questa cosa a loro, soprattutto perché è un brano non nelle loro corde, in particolare quelle di Napo, che finora non ha mai parlato di macroeconomia. Se ci aggiungi, poi, che lui è molto bravo a fare i vari dialetti e gli accenti stranieri, mi sembrava il brano ideale per metterli alla prova. Napo si è dimostrato comunque davvero rigoroso, quello era un testo scritto in un semplicissimo 4/4 e lui è riuscito a riadattarlo completamente cercando di farlo suonare in maniera adatta per il beat di Rico, che a sua volta ha preso una mia strumentale e l’ha stravolta. Il risultato è straniante, un po’ com’è successo a me quando ho partecipato al disco di Marina Rei, volevo capire come potevo suonare in un ambito così distante dal mio.
J: finiamo nel più classico dei modi. Cosa vorresti fare e non sai se farai?
Z: sicuramente un disco solista Breakcore. Poi un disco tamarrissimo, roba House o quello che è, che vorrei fare sotto falso nome. Infine, sarebbe bello fare un bel disco di cantautorato, il mio riferimento è De André, credo sia stato il miglior interprete e autore nel suo genere e sarebbe bello applicare quell’eleganza a un disco riferito all’attualità, magari di genere Pop/Elettronico. Vedremo!
Jonathan
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