Intervista ai Banana Spliff (19/12/2017)

In ambito musicale, la mancanza di una solida identità artistica viene spesso colmata attraverso un atteggiamento adattivo, se non del tutto emulativo; fanno eccezione coloro che riescono a tracciare un percorso dotato di una sua precisa riconoscibilità, caratteristica che – volendo utilizzare un termine familiare – ci piace definire stile. E’ il caso dei Banana Spliff, la cui spontaneità è l’elemento distintivo di una carriera che in “XVI round” conserva intatta tutta la propria freschezza; abbiamo parlato di questo e di altro con Francesco (O.P.) e Davide (Irakeno)…

Bra: …anzitutto un dubbio sulla pronuncia. Sedici round o sedicesimo round?
Irakeno: sedicesimo round.
B: ok, “XVI round” corona circa sedici anni di attività in gruppo e arriva a sei anni da “Spaghetti nightmare”; come mai un’attesa così lunga e quanto è stato semplice – o meno – ritrovare quell’intesa che vi lega da inizio duemila?
O.P.: non è stato semplice, altrimenti non sarebbero passati sei anni. Il fatto è che dopo “Spaghetti nightmare” si è completato un certo tipo di percorso e noi non ce ne siamo resi conto subito. Avevamo raggiunto degli obiettivi molto importanti e c’eravamo spinti anche abbastanza avanti, avevamo degli americani sul disco… Poi a livello di tempistiche non è facile organizzarsi al meglio per arrivare a quel risultato ed era diventato impossibile fare qualcosa immediatamente. E, lo dico, abbiamo avuto anche dei cazzi nostri: potendo, li baratterei con altro, però siamo comunque riusciti ad arrivare a questo “XVI round”. Diciamo che sono tre anni di stallo e altri tre che abbiamo dedicato all’album. E’ stato un processo abbastanza lungo, anche perché all’inizio non sapevamo che direzione avremmo preso.
I: è partita coi pezzi nuovi, poi ovviamente più fai e più ti prende bene…
O: …e i tre anni comprendono i tempi tecnici, in totale sarà stato un annetto e mezzo di lavoro.

B: nessuno di voi, invece, ha mai pensato di muoversi anche sul fronte solista?
I: io ho ideato un progetto che si chiama Full Vacuum, nato come una cosa un po’ sperimentale – più che altro perché ascoltando tantissime cose mi piaceva esplorare robe nuove. Esperienza che, a livello personale, mi ha arricchito e non mi ha impedito di continuare coi Banana; anzi credo abbia apportato qualche piccola variazione, un contributo di esperienze aggiunte, alle nostre cose.

B: voi però siete legati a un suono abbastanza tradizionale, nonostante l’Hip-Hop italiano si muova in direzioni del tutto diverse abbracciando spesso soluzioni a confine col Pop o spingendo sul filone della Trap. Il vostro pubblico è per forza di cose quello – diciamo così – specializzato, o ritenete di poter raggiungere anche l’utenza più generalista, disabituata a ragionare in termini di sampling, legata a ritornelli molto orecchiabili e via dicendo?
O: a noi piace un po’ tutto, non siamo quel tipo di gruppo che spinge sull’oltranzismo, sul purismo… Non ce ne frega niente di ‘sta cosa, ci piace molto il Rap di un certo tipo, quello con cui siamo cresciuti, però non ci piace solo quello. Ognuno di noi spazia in tante cose diverse e rispetto all’Hip-Hop non ci siamo mai concentrati su delle ideologie, delle fazioni; ma neppure vent’anni fa, quando sembrava dovevi essere east o west… Per noi quella era una cazzata e lo è pure questa del purismo; te lo dico perché spero che da ciò che facciamo traspaia il nostro modo di vederla. E’ normale che portiamo il nostro, che poi è anche uno sviluppo di una versione se vuoi classica – anzi newyorkese – dell’Hip-Hop, però siamo per una visione più universale. Che ne so, prendi un produttore come Alchemist, che è tra i più potenti: lui fa pezzi di ogni tipo. Magari domani prendiamo un disco di Baglioni, lo faccio ricantare da Davide col sample più famoso, paghiamo i diritti e abbiamo una hit che piace anche alle massaie…
I: …solo che adesso voglio farlo!
O: è come ‘sta cosa della Trap oggi. Può piacere o non piacere ma è sicuramente interessante il fatto che utilizzino degli schemi che non sono proprio riproducibili, io ad esempio non riuscirei a farla così bene solo perché la faccio come loro.

B: in molti, per restare in tema, sovrappongono Hip-Hop e Trap come se fossero due facce della stessa medaglia. Voi come la vedete? Ovvero: a prescindere dai giudizi su un singolo artista o su un album, ritenete che la Trap italiana nel suo insieme esprima la Cultura Hip-Hop?
O: ma io faccio molta fatica a definire l’Hip-Hop…
I: …esatto, è così anche per me.
O: se parliamo di musica, possiamo parlare di tutto e per ore. E’ una questione di definizioni e quindi me ne chiamo fuori, mi ritengo io il primo ignorante. Forse bisognerebbe un po’ lasciarsi andare: ci sono talmente tante visioni sull’argomento che non è facile avere la propria senza farsi influenzare dalle altre. Anche perché c’è chi ne sa di più. Sentissi Guru – pace all’anima sua – dire cosa pensa di questo e quell’altro argomento, un po’ sarei influenzato dalla sua opinione, no? Ma anche rimanendo in Italia, non so cosa ne pensa gente che magari posso considerare tra i maestri, però forse neppure loro hanno tutti la stessa idea.

B: a proposito di maestri, quali sono le vostre figure di riferimento, quelle determinanti per il vostro approccio all’Hip-Hop?
I: sicuramente Tazio (Oskie, ndBra) e Drugo. Bazzicando gli stessi posti e avendo gli stessi interessi, le prime cose Rap fatte ad Ancona che ho sentito sono le loro, abbiamo sei anni di differenza per cui al tempo noi eravamo ragazzini e loro un po’ più grandi. Ma anche come definizione di uno stile, siamo partiti proprio da lì.

B: una cosa che ho notato, qui come in altre uscite, è che Ancona è presente nella vostra musica anche quando non viene citata in maniera diretta. Nel senso che, vuoi per un featuring, per un riferimento o per un certo timbro dato al sound, non è difficile riconoscere l’impronta della scuola marchigiana. Percepite quest’affinità artistica? E la ritenete casuale?
O: non è affatto casuale. Anche parlando del suono, in realtà è un fatto molto semplice: se si tratta di cercare dischi in giro per farci le basi, da queste parti – intendo la Riviera Adriatica – i posti dove andare sono quelli e la musica degli anni settanta è quella, quindi non si sfugge quando vai a chiudere determinate situazioni. Pensa a quelli grossi che producono, due/tre nomi diciamo delle parti nostre tipo Lato quando faceva le cose con Fibra o Disastro giù a Pescara: sono all’apposto, però c’è un tipo di ricerca che ha gli stessi riferimenti.
I: credo anche sia normale, se uno fa una cosa spontanea come la musica, che il posto dove hai trascorso un sacco di tempo t’influenzi. Soprattutto per la gente che frequenti, per le espressioni che usi e così via…
O: …ecco, per me l’Hip-Hop è la gente che incontri.
I: esatto, è la gente che ho beccato e che si è riunita intorno a ‘sta cosa.

B: “Hell’z Eye posse” rientra grosso modo in questo discorso?
O: nì. Lo è in parte ma è anche un discorso legato al nostro studio. Volevamo riunire più o meno tutti i ragazzi che venivano a registrare da noi, quelli con cui eravamo in contatto; però ad Ancona ce ne sono anche tanti altri molto bravi con cui magari avremo modo di collaborare. Quel pezzo è nato così e successivamente è entrato a far parte dell’album, ha un valore importante per noi perché diamo spazio a tanti ragazzi che riteniamo bravi.

B: a partire da “Il mondo a portata di mano” avete collaborato con diversi produttori, compresi nomi di un certo peso come Kaos, Dj Skizo, Squarta, Dj Argento; come siete riusciti a conservare un’identità musicale così integra?
I: credo dipenda dal fatto che con la maggior parte delle persone – e Dj Argento in particolare – ci si conosca anche umanamente, perciò a chi chiediamo la produzione più o meno sa di cos’abbiamo bisogno e ci passa roba di un certo tipo. Ovviamente conta molto il nostro gusto, sia nella scelta che nella produzione delle basi; di conseguenza abbiamo mantenuto una certa unità stilistica. A noi tra l’altro piace molto scrivere ad hoc, nel senso che ogni produzione diventa una canzone.
O: abbiamo collaborato con produttori molto bravi e soprattutto all’inizio eravamo forse un po’ indietro con le nostre produzioni, quindi è stata tanta scuola. Però devo spezzare una lancia a nostro favore: io riconosco che alle basi diamo qualcosa che è nostro, potremmo fare dei pezzi su diversi tipi di musica e avere comunque un risultato Banana. Infatti volevamo utilizzare anche la mazurca…
I: …prima o poi lo faremo.
B: non è una cosa da poco. A prescindere dal fatto che su un vostro disco ci siate voi più altri produttori, trovare una strada, essere riconoscibili; è un valore in più.
O: ma a noi è sempre piaciuta la sfida, incontrare qualcosa di nuovo. Quando abbiamo chiesto una base, quello che abbiamo ricevuto – ovviamente ci sono state anche delle proposte scartate – abbiamo cercato di farlo nostro, abbiamo pensato cazzo che base, dobbiamo riuscire a farci sopra qualcosa di particolare.

B: quindi come nasce un pezzo dei Banana Spliff? E scrivete sullo stesso beat che poi verrà utilizzato?
I: non c’è un processo fisso, ogni pezzo viene creato con delle metodologie diverse. Alcuni concetti nascono dall’idea di una sera, per altri litighi due giorni per decidere l’impostazione; oppure arriviamo con delle strofe scritte sullo stesso beat, però spaiate e allora è figo mettere tutto assieme. Diciamo che dove unisce il suono si aprono di conseguenza i concetti…
O: …quello che il suono unisce, il Rap divide!
I: ad esempio in Rasklatt ‘sta cosa è molto presente.

B: ecco, a questo punto vorrei sapere se i Rasklatt Cinque torneranno mai in studio di registrazione…
O: guarda, noi FFiume lo sentiamo spesso e anzi ne approfitto per chiedergli scusa perché dovevo passargli un remix e ancora non l’ho fatto. A parte questo, quando abbiamo deciso di rimetterci sotto l’intenzione era più o meno quella di rifare qualcosa alla Rasklatt Cinque, una cosa perfino più grossa cui non avevamo neppure dato un nome: pensavamo di fare un grande circo e avevamo chiamato il mondo per farlo. Volevamo fosse qualcosa di davvero particolare, poi per mille motivi si è rivelata infattibile; però non è detto che prima o poi… Rasklatt invece è nato su una prospettiva impostata da FFiume, che ha lavorato molto in termini di immediatezza: lui ha fatto un capolavoro del Rap italiano in soli due giorni, “Gli occhi” con L-Mare. Perciò non è una cosa così prossima da rifare, fermo restando che con lui ci siamo sempre trovati bene e infatti è stato un peccato che – per vari motivi – non ci sia una sua base sul disco nuovo. Io ero anche sul suo progetto con Irhu (“The Irhu experience”, ndBra), Davide era su “The Folto Caruso Ensemble”: lui ora è a Londra però prima o poi qualcosa la facciamo…

B: torniamo su “XVI round”. Sebbene non abbia un vero e proprio concept, si riconoscono facilmente diversi elementi comuni tra una traccia e l’altra. C’è anzitutto la passione per il Rap, ci sono le situazioni quotidiane della gente comune, c’è un forte spirito aggregativo; voi, in generale, cosa intendete offrire a chi ascolta “XVI round”?
I: guarda, uno dei motivi per cui sono molto felice di questo disco è che, come dici, siamo riusciti a scattare diverse fotografie. Ci sono tante variazioni di frequenza ed è abbastanza simile alla nostra vita, arrivi dappertutto ed è naturale che sia così.

B: tra i brani più significativi spicca senz’altro “10.000 A.C.”, sguardo critico sul presente ma alla vostra maniera, quindi senza essere pedanti né troppo scuri. Questa è una qualità che ho sempre apprezzato nella vostra musica: rimanete leggeri, ironici, indipendentemente dai contenuti affrontati; fa parte del vostro carattere o si tratta di una scelta precisa?
O: è quello che ci piace, il tragico e il comico.
I: è ovvio che in determinati pezzi magari sei un po’ più serio e l’ironia viene meno; anzi, cambia il tipo d’ironia e forse diventa più amara.
O: poi dipende anche dall’obiettivo che ci si prefigge. C’è anche un approccio che proviene da un determinato vissuto, esperienze e quant’altro, e risulta altrettanto incisivo. Il bello è appunto che ci sono diversi modi di impostare il Rap e possono funzionare tutti. A me quello che può dare fastidio è invece quando la situazione si fa contraddittoria, perché ad esempio il fighetto ti parla del mercato della droga e non funziona, non regge. Ma se ne parla una persona che ha una storia così, diventa qualcosa di molto profondo. Non è il nostro discorso, perché io dovrei parlarti della vita in ciabatte, quindi puntiamo su delle chiavi diverse…

B: in merito al video, concedete un po’ di spazio anche al writing. Ovviamente non è una scelta casuale…
I: ovviamente no. Tutti noi abbiamo fatto i graffiti, soprattutto Drugo e Tazio, poi abbiamo un sacco di amici che li fanno; a livello proprio di attitudine ci siamo sempre trovati in linea con questa cosa. Perciò quando si presenta l’occasione è naturale che venga fuori.
O: sì, non è che ci siamo detti mettiamoci un po’ writing
I: …ad esempio il ragazzo che dipinge nel video, Luca Shorde, che è bravissimo, è un nostro amico.

B: “Au revoir” è un po’ la traccia che non mi aspettavo; perché il beat ha un’andatura tutta sua – potrei sbagliare, ma credo ci siano delle parti suonate – e perché vi aprite ai sogni, ai saluti, ai ringraziamenti. E’ forse una delle rare parentesi che dedicate in senso stretto all’introspezione?
O: è un pezzo a sé, ma diciamo che fa parte dei pezzi a sé di cui è composto il disco. E’ il quindicesimo round, quindi come nei film di “Rocky” è un po’ quello più drammatico. Avevamo bisogno di una specie di outro e la base che ha mandato Deva è andata a pennello, perché ha ‘sto tono molto Country/Blues…
I: …molto desertico…
O: …sì, un po’ triste, allora abbiamo pensato d’impostare i saluti in quel modo. Ci siamo detti solo qua salutiamo, punto. E poi ognuno ha fatto la sua scelta, come nel discorso di prima: quello che è saltato fuori da quella base lì, da quello che ognuno ha sentito di farci sopra, sta assieme nel pezzo.

B: non so se siete d’accordo, ma a me il vostro stile sembra programmato per l’esibizione dal vivo, forse perché riempite il palco con uno show che mette al centro anzitutto le rime, l’mcing. Quando lavorate a un nuovo progetto ne preparate anche il live o vi affidate ai tanti anni di esperienza condivisa?
O: lo prepariamo continuamente e facciamo delle prove come i gruppi Rock; ci ritroviamo, proviamo delle cose e facciamo quello che poi portiamo in giro. Ora abbiamo preparato un live nuovo e ci saranno molte novità, sarà molto potente. Speriamo appunto di portarlo in giro il più possibile, anzi invitiamo tutti a contattare il booking (scrivete a booking@gloryholerecords.it, ndBra). Un paio di date le abbiamo già fatte e abbiamo avuto anche un riscontro oltre le aspettative, quindi le intenzioni sono più che buone.
B: prossimamente dove sarete?
O: a gennaio abbiamo una serata ad Ancona e una in provincia di Foggia. Poi in programma ne metteremo subito altre.

B: concedetemi una curiosità personale. Nella vostra musica c’è molto cinema, ma “Coppa Cobram” e “Prendo la vecchia” mi fanno pensare che “Fantozzi” sia tra le vostre principali fonti d’ispirazione…
I: anche questa è una cosa abbastanza naturale. La nostra è una generazione cresciuta con “Fantozzi” e quel tipo d’ironia, di umorismo che – come dicevo prima – è un po’ nero, con le nostre cose ci sta con tutte le scarpe. Anche perché siamo un po’ tutti appassionati di cinema, in vari campi.

B: prima di salutarci, volete aggiungere qualcosa che non vi ho chiesto?
O: prima di tutto dovrei lanciare qualche slogan di quelli del Drugo, però al momento non me ne viene in mente nessuno – perciò mi scuso perché qualcosa l’abbiamo tralasciata. A parte le trivialità, sul come e quando ancora non so ma faremo il vinile di “XVI round”, abbiamo un paio di novità già pronte e quindi sarà qualcosa in più rispetto al disco fuori ora. Per il resto, noi siamo abbastanza in forma.
I: come non mai.

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