Intervista a Dj Illegal (10/04/2017)
L’opportunità d’intervistare gli Snowgoons era particolarmente interessante, perché non sono americani e hanno un background differente dal solito – pur essendo profondamente connessi con la realtà del sottosuolo Hip-Hop statunitense. Di seguito il resoconto della nostra piacevole chiacchierata con Dj Illegal, rivelatosi molto gentile e disponibile nel rispondere a ogni nostro quesito con interesse.
Mistadave: ciao Illegal, grazie davvero per quest’opportunità!
Dj Illegal: ciao, per me è un piacere.
M: come va?
DjI: direi tutto molto bene, siamo nel bel mezzo del Goon Bap Tour e abbiamo un paio di giorni di pausa. Attualmente sono a casa, in Germania, perché essendo vicino alla Svizzera (dove si era tenuto l’ultimo concerto al momento dell’intervista, ndMista) la strada da fare era davvero poca, quindi per questi due giorni ho deciso di rientrare. Preferisco dormire nel mio letto…
M: come sei venuto a contatto con la cultura Hip-Hop?
DjI: ho conosciuto l’Hip-Hop da ragazzino grazie a delle cassette registrate da mio zio, all’epoca non conoscevo molto la musica e lui ascoltava tanti generi. In mezzo alle varie canzoni c’era “The Message” di Grandmaster Flash & The Furious Five, un pezzo che catturò parecchio la mia attenzione nonostante non sapessi nemmeno che quella era musica Hip-Hop. Per un motivo o per l’altro, era il brano che ascoltavo più di tutti, poi crescendo mi sono reso conto che quel genere musicale era proprio l’ideale per me. Da lì in poi sono cresciuto assieme alla Cultura Hip-Hop: per me non si è mai trattato di un hobby, tutto quello che mi sta attorno è Hip-Hop e non riuscirei mai a vedere la mia vita senza.
M: io sono solo un ascoltatore di Hip-Hop, ma mi sento esattamente così. Qual è stato il primo disco che hai comprato?
DjI: il mio primo disco è stato il vinile di “Raising Hell” dei Run-DMC. Tieni conto che all’epoca non avevo molti soldi a disposizione, quindi andavo sempre in negozio con un mio amico che condivideva i miei gusti e compravamo i dischi che ci piacevano maggiormente. Quando presi “Raising Hell” ricordo che lui acquistò invece un vinile di Ice-T, li ascoltavamo a ripetizione per giorni per poi scambiarceli fino a non ricordare più quali dischi fossero di uno o dell’altro, una condivisione che ci permetteva di avere sempre due album al prezzo di uno.
M: quali erano i tuoi artisti preferiti in quel momento?
DjI: prima di rispondere, ci tengo a dire che quelli erano veramente tempi differenti da oggi, non c’era internet a disposizione e non c’era tutta questa possibilità di accedere alle uscite. Tutto quello che avevi come fonte d’informazione era la copertina di un disco. Oggi c’è lo streaming, che non è necessariamente una cosa brutta, ma allora potevi toccare tutto con mano, vedere una foto, lo stile grafico, leggere dettagliatamente i crediti, qualcuno aveva anche i testi all’interno e se il tutto ti piaceva, ne approfondivi la conoscenza. Riguardo agli artisti, stiamo parlando di fine anni ottanta, per cui i miei preferiti erano Run-DMC, Ice-T, Eric B & Rakim, mentre il disco che mi ha maggiormente fatto desiderare di diventare un dj fu quello di Cash Money & Marvelous (“Where’s The Party At?”, ndBra), un lavoro molto poco conosciuto e basato sulla performance ai piatti: sentire quegli scratch mi faceva letteralmente impazzire.
M: ricordo anch’io quel tipo di sensazioni e le varie gite al negozietto che fortunatamente avevo vicino casa, nonché il fatto di dover spiegare a qualcuno senza successo cosa stavo ascoltando…
DjI: esatto. D’altra parte, ripeto, non c’era la possibilità di cercare musica online né c’erano riviste specializzate, la situazione europea era particolarmente difficoltosa perché era dura trovare determinati titoli.
M: com’è cominciata la tua carriera?
DjI: sostanzialmente ho cominciato come dj negli anni novanta e quindi facendo mixtape che poi vendevo alle jam. All’incirca nel ’97 incontrai Det Gunner, il mio partner negli Snowgoons, il quale mi approcciò per comprare una delle mie cassette e, siccome ne voleva acquistare anche altre in futuro, gli diedi il mio numero di telefono di casa dove vivevo con mia madre – all’epoca nemmeno avevamo i cellulari! Quando mi chiamava parlavamo esclusivamente di Hip-Hop e scoprii che aveva una sorella che si era trasferita negli States e che a sua volta gli mandava dei mix provenienti da lì. Continuavamo a scambiarci materiale con facilità, anche perché abitavamo a due ore d’auto l’uno dall’altro, fino a che decidemmo che avremmo realizzato un tape assieme e avremmo cercato materiale sempre più esclusivo, per quanto duro fosse trovarlo, perché eravamo pur sempre degli europei che non avevano ancora registrato nulla. Iniziai comunque a produrre per divertimento e realizzai diversi remix, non di quelli dove sovrapponi base e a-cappella, ma con beat completamente nuovi. Gli Snowgoons hanno iniziato così la loro storia, non avevamo nemmeno intenzione di realizzare album ma solo di produrre buona musica, l’idea di un disco arrivò solo quando avevamo accumulato così tanto materiale da rendere logica l’idea.
M: qual è l’influenza principale che sta dietro al tipico sound degli Snowgoons?
DjI: principalmente tutto ciò che riguarda gli anni novanta, anche se non abbiamo mai fatto l’errore di voler per forza suonare come Dj Premier o Pete Rock. Quando io e Det iniziammo a comporre beat, ci rendemmo conto che ad entrambi piaceva molto la melodia, come sai molti nostri lavori hanno una forte componente melodica ed emozionale, ci piace abbinare batterie dure a strumenti come i violini.
M: in effetti vi distinguete per dei suoni di tipo epico.
DjI: sì, sono i nostri suoni più conosciuti, ne abbiamo parlato proprio di recente ai concerti, i fan conoscono molto bene pezzi hardcore come “The Hatred” basati su elementi orchestrali, ma giudicando il nostro sound più approfonditamente ci si accorge di come già dal primo album alcuni pezzi hanno un feeling differente, improntato sulla melodia. Di solito per ogni quindicina di brani che picchiano duro (usa l’eloquente termine straight to your face, ndMista) ce ne sono una manciata di più lenti, più emozionali, ma osservando la nostra transizione dal primo disco, “German Lugers”, fino a “Goon Bap”, mi sento di dire che siamo più bilanciati di un tempo. Non intendo però dire che abbiamo ammorbidito il nostro sound, perché non abbiamo mai ascoltato le influenze dettate dalla massa: i dischi li facciamo in base alle nostre sensazioni di quel particolare momento. Un esempio è il disco che abbiamo realizzato con gli Onyx, “#WakeDaFucUp”, che suona davvero hardcore perché corrisponde alla loro attitudine, mentre il nostro progetto con Reef The Lost Cauze (“Your Favorite Mc”, ndMista) si è sviluppato diversamente perché lui è un mc molto narrativo, che possiede grande varietà di argomenti, abbiamo quindi adattato i beat a emozioni di altro genere.
M: con quale artista statunitense siete entrati in contatto prima?
DjI: le prime registrazioni le abbiamo realizzate con Virtuoso, che è di Boston, ovvero la stessa città dove vive la sorella di Det e dalla quale ci mandava i mixtape provenienti dalla stazione radio dell’università di Boston College. Grazie a ciò abbiamo imparato moltissimo su quella scena underground arrivando appunto a conoscere artisti come Virtuoso, Mr. Lif, l’Esoteric del periodo precedente agli Army Of The Pharaohs e ci siamo affezionati al loro sound, che è molto simile a quello newyorkese. Tornando alla domanda, Virtuoso ci ha invitati a raggiungerlo negli States per una session in studio, era circa il 2000 o il 2001 se ricordo bene, siamo rimasti lì per una settimana e lui ci ha presentati a molti suoi conoscenti aprendoci diverse porte, dato che ancora non erano così diffusi i social.
M: avete lavorato con tantissimi artisti in carriera. Nominami un mc della vecchia scuola e uno attuale che vorresti sentire su un vostro beat.
DjI: riguardo la Old School sono un grande fan di Rakim, per cui la mia scelta non può che ricadere su di lui; e ce n’è pure un altro che al momento non posso nominare, un altro grandissimo di quella scena con cui siamo riusciti a fare un pezzo che uscirà a breve. Per quanto riguarda l’attualità, stiamo provando a connetterci con Joyner Lucas, che a nostro parere ha molto talento, poi c’è un ragazzo che si chiama Token. Lucas, che se ricordo bene dovrebbe aver goduto dell’approvazione di Busta Rhymes, è molto abile nello storytelling e abbiamo iniziato a parlare di collaborazioni, ma al momento è molto occupato, ha milioni di views su YouTube e il suo tipo di sound è molto moderno, per cui stiamo ancora impostando il tutto.
M: nella vostra storia avete dimostrato una relazione molto speciale con Reef The Lost Cauze. Ce ne parli?
DjI: se mi passi il paragone, credo che il nostro rapporto con Reef sia come l’aver trovato l’amore della tua vita. Ci siamo trovati benissimo sin da subito passando un sacco di tempo assieme, condividendo i tour, è incredibile come siamo così simili provenendo da due luoghi tanto lontani tra loro e avendo storie di vita completamente diverse, è qualcosa di magico. Reef mi piace perché può fare di tutto, può tirar fuori il sentimento, può spaccare un beat duro, può raccontare una storia, così come può parlarti di suo figlio. Lui è un po’ come noi, possiamo produrre lui come gli Onyx con stili differenti, possiamo prendere un nome a caso come quello di Black Thought e sostenere che non avremmo nessun problema a fare un disco con lui sorprendendo tutti, credo che parte della nostra bravura stia nell’adattarci all’artista senza perdere la nostra natura. Ti faccio l’esempio di “We Don’t Fuckin Care” (presente su “#WakeDaFucUp”, ndMista), dove appare A$ap Ferg, il quale è un artista abituato a un altro tipo di sound che non è certo il nostro: abbiamo accettato di lavorare con lui a patto che non volesse un beat Trap e che fosse lui a seguire i nostri canoni. Ha rimato molto bene su quel beat e finché il risultato è quello, non m’importa di ciò che lui fa di solito.
M: “Your Favorite Mc” ha dimostrato che gli Snowgoons erano maturati a livello di sound. Sei d’accordo?
DjI: certamente, soprattutto per i pezzi che conteneva. Ad esempio “Your Brain On Drugs” era un offbeat non certo tipico che avrà spiazzato molti nostri fan, ma l’intento era di dimostrare che non siamo monodimensionali. Devi poi considerare che l’arrivo nel gruppo di Sicknature (nel gruppo dal 2011 assieme a J.S. Kuster, ndMista) ha fatto evolvere ancora il nostro sound e anche con lui, come nel caso di Reef, si è creato un abbinamento perfetto.
M: com’è nata l’idea di realizzare un intero album con un solo artista?
DjI: è accaduto tutto molto naturalmente, nulla è stato predeterminato. Con gli M.O.P., ad esempio, siamo partiti con la volontà di fare solo una traccia assieme, così tramite l’etichetta Babygrande ci siamo connessi, da una cosa è nata l’altra ed ecco arrivare “Sparta”. La stessa cosa è accaduta con gli Onyx: ci siamo incrociati in un paio di date mentre eravamo in tour proprio con gli M.O.P. e abbiamo fatto sentire loro qualche beat da scegliere per inserire un loro pezzo nel nostro album successivo. Quando è successo avevamo già metà dei beat che sarebbero poi finiti su “#WakeDaFucUp”, tre o quattro giorni dopo il nostro contatto Fredro Starr ci ha risposto via mail dicendo che voleva assolutamente fare un intero disco con noi, una cosa che ci ha elettrizzati.
M: è lo stesso procedimento naturale che vi ha portati a collaborare con una leggenda come PMD?
DjI: esattamente lo stesso, il presupposto è identico. Tutto è nato da un tour con Sean Strange e il desiderio di fare un beat per PMD, senza nemmeno accorgercene ci siamo ritrovati in studio a registrare ogni idea che nasceva – ed era la prima volta che usavamo questa modalità – durante le pause dei tour e sfruttando il fatto che fossimo praticamente a casa mia, a Karlsruhe, e che avevamo anche quattro o cinque giorni consecutivi senza concerti. Dopo il primo pezzo sono seguiti a ruota tutti gli altri, il progetto Goondox è nato così.
M: qual è il concept di “Goon Bap”?
DjI: è indubbiamente dedicato agli anni novanta, ma non è stato studiato a tavolino – nulla per noi lo è. Abbiamo terminato un paio di pezzi e poi compreso la direzione da intraprendere, l’unica differenza è rappresentata dal fatto che il pezzo “Goon Bap”, dove rappa anche Sicknature, era stato già composto due anni fa. Lui aveva avuto l’idea per il ritornello, che originariamente ripeteva boom bap; siccome suonava troppo scontato, l’abbiamo cambiato in goon bap, una cosa semplice ma allo stesso tempo in grado di descrivere tutto in maniera completa.
M: un video che mi ha particolarmente colpito è quello che avete girato per “We Won’t Die”, dove il tema horror prevale grazie a quello zombie…
DjI: è un altro di quei brani che esisteva già ancor prima di concepire l’album, era grossomodo l’estate del 2015. Eravamo in tour in Canada e dei nostri amici (della compagnia Reelwolf, ndMista) si sono offerti di realizzare un video per questa traccia, ma non avevamo ancora in mano il concept definitivo. Al tempo pensavamo d’inserire una scritta all’inizio del video per far sapere che il mondo era stato infettato dall’Hip-Hop commerciale e che ogni persona malata si sarebbe trasformata in uno zombie le cui sembianze dovevano ricordare quelle tipiche dello swag rapper: la missione degli Snowgoons doveva essere quella di curare tutte queste persone a suon di real Hip-Hop. L’idea era buona, ma di difficile realizzazione. Poi le nostre priorità sono cambiate e abbiamo momentaneamente messo in secondo piano il progetto per concentrarci sull’album, la Reelwolf era occupata a creare nuovi lavori per La Coka Nostra e Necro, quindi abbiamo ripreso in mano tutto l’estate scorsa, abbiamo dato al pezzo il nostro tipico sound epico giusto per ricordare chi siamo e per non registrare un album che ricordasse solo gli anni novanta, infine siamo andati nuovamente in Canada per registrare nuove parti del video a seguito della revisione del concept di base, perché non ci accontentiamo dei soliti clip da strada, vogliamo che ogni video contenga un messaggio al suo interno. Il resto è merito di Reelwolf, una compagnia davvero professionale e creativa.
M: più di qualche vostro video alla fine prevede un to be continued…
DjI: sì, cerchiamo di mettere tutto assieme nel miglior modo possibile, siamo pur sempre in Europa per la maggior parte del tempo e non abbiamo accesso diretto a tutti gli artisti che si esibiscono nei nostri dischi, è già tanto per noi riuscire ad avere una strofa da loro. Capita che ci si incroci durante qualche tour, ma non si può certo pretendere di bloccare un artista per due giorni per realizzare un clip, molti non sono attori e bisogna quindi accontentarsi di ciò che riescono a fare e ricordare sempre che lo fanno per rispetto nei nostri confronti. Poi a noi piace aggiungere una storyline, essere creativi nei limiti delle possibilità economiche che abbiamo. Ho iniziato anch’io a girare dei video, soprattutto perché non sempre abbiamo la possibilità di riunire tutti gli artisti che compaiono in un singolo pezzo e avere a disposizione qualcuno che li filmi professionalmente, sono partito dalla passione per la fotografia e ora sto imparando non solo a filmare ma anche a editare. Il 18 aprile uscirà un nuovo video girato da me e tratto dall’album con gli Onyx, il pezzo è “Hustlin Hour” e sarà un mini movie di oltre otto minuti, avrà una storyline pazzesca ed è senza dubbio la clip di cui sono più orgoglioso. Tra qualche giorno lo vedrete sul nostro canale ufficiale!
M: che ne pensate di Chris Rivers? Può diventare uno dei grandi, come suo padre?
DjI: assolutamente sì, il talento c’è tutto, deve solo trovare la direzione giusta da percorrere. L’abbiamo conosciuto tramite Sean Strange, somiglia davvero molto a suo padre ed è ancora molto giovane, spero che si connetta con la gente giusta perché il solo talento non conduce matematicamente al successo; anzi, di solito sono i più scarsi a elevarsi, proprio perché hanno le conoscenze giuste…
M: oggi c’è troppa confusione tra cos’è Hip-Hop e cosa non lo è. Sei d’accordo?
DjI: sì, odio il mumbling Rap! E’ colpa principalmente dei media, che creano questa confusione appositamente. Un giorno in hotel stavo guardando la TV e sono capitato su una puntata di “The Cleveland Show”, il tema era la presa in giro dei rapper connessi agli Illuminati. La cosa pazzesca è che si riferivano a queste persone come stelle dell’Hip-Hop e sai chi erano? Il capo era Kanye West e ci può stare, ma gli altri erano Nicky Minaj, Questlove – che è un musicista, non di certo un rapper – e, sorpresa delle sorprese, Bruno Mars! Nulla contro di lui, perché è davvero bravo, ma è una Pop star! Quindi la colpa è esclusivamente dei media, che vendono Drake e Lil Wayne come Hip-Hop quando chiaramente non lo sono, persino gli award dedicati all’Hip-Hop non riguardano più il genere. Non voglio passare per un hater, ma dovrebbero creare una nicchia, un sotto-genere, e smettere di chiamare quella roba Hip-Hop, dato che non sanno nulla di graffiti né di b-boying. Qualsiasi cosa si senta oggi che presenti rime e un beat Techno in uptempo è chiamato Hip-Hop: non va bene.
M: sono peraltro beat che si somigliano tutti…
DjI: certo, variazioni zero, tutti con il clap, l’808 e la melodia sintetizzata. L’Hip-Hop vero è molto più versatile, oltre al clap puoi utilizzare sample di violini, fiati, chitarre, casse pesanti o morbide: un sacco di cose differenti.
M: su quali progetti siete al lavoro come Snowgoons?
DjI: con “Goon Bap” ci siamo concentrati molto sugli artisti degli anni novanta e intendiamo seguire questa ispirazione, lavorando contemporaneamente con mc’s nuovi o poco conosciuti come Big Kurt e Intell, che trovate già su “Goon Bap”. In aggiunta voglio creare la mia piccola compagnia cinematografica e continuare a lavorare sui videoclip.
M: trovo apprezzabile l’inclusione di gente come Dres, Psycho Les, Ras Kass e DoItAll nel vostro album. E’ gente che ha fatto storia e merita di essere conosciuta dalle nuove generazioni.
DjI: assolutamente. Stiamo anche lavorando a un sequel del pezzo dove appaiono loro, “The 90’s Are Back”, il beat sarà identico ma la traccia ospiterà altri mc’s degli anni novanta che, per un motivo o l’altro, non siamo riusciti a includere nell’originale. Probabilmente metteremo fuori il brano in free download o ci faremo un 12” in edizione limitata, per quest’estate dovrebbe essere pronto.
M: nominami tre album che stai ascoltando in questo periodo.
DjI: la mia playlist attuale include Westside Gunn, il progetto Warporn con Everlast, infine Ren Thomas, di cui ho appena comprato il disco per ascoltarmelo in tour.
M: qual è la prossima data del tour?
DjI: riprenderemo mercoledì (12 aprile, ndMista) da Winterthur, in Svizzera, per poi toccare Helsinki e quindi tornare in Germania. Mancano date solo in Polonia e in Italia.
M: in Italia dobbiamo migliorare il booking. Credo che Svizzera, Olanda e Germania ci siano perennemente davanti.
DjI: abbiamo comunque dei contatti per venire in Italia in occasione della seconda parte del Goon Bap Tour, dopo l’estate. Il vostro cibo mi piace un sacco!
M: speriamo di vedervi in azione, allora. Buon proseguimento di tour e grazie del tuo tempo!
DjI: grazie – e buonanotte! E’ stato un piacere parlare con voi.
Mistadave
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