Jaysaun – Kill Ya Boss

Voto: 3,5

Pur in assenza di un curriculum solista numericamente consistente, Jaysaun è una delle figure pionieristiche più prominenti dell’intera scena Hip-Hop di Boston, dapprima in qualità di elemento imprescindibile dei Kreators e in secondo luogo assoldato per esercitare il suo talento negli Special Teamz, condividendo l’onore di esibirsi col suo mentore di sempre, Edo. G. Affrontando un’adeguata lettura dei fondi di caffè lasciati dalla molteplice consumazione di “Kill Ya Boss“, prima pubblicazione su lunga distanza firmata da Jason Rosenwald negli ultimi dieci anni (l’unica altra sua uscita era difatti “Game Of Breath“, in compagnia di Dj Revolution), emergono chiaramente tutte le cause di tale frammentarietà, delineando un quadro decadente, peggiorato dallo stress di un divorzio, dalla dipendenza dalle droghe, dalle costanti lotte contro la depressione e dalla voglia di porre un termine a tutto ciò escogitando varie modalità con cui farla finita.

Le motivazioni per una più che pachidermica gestazione risiedono tutte qui, dando conseguentemente vita a una tracklist assai estesa, adeguatamente dimensionata per svuotare la mente sfruttando la musica per curare i propri mali esternando diversi sfoghi, attrezzando ciascuno dei diciassette pezzi – oltre che i due remix – con liriche sprezzanti, violente, risentite verso tutto quanto lo stomaco si sia trovato faticosamente a digerire in quei giorni di buio, mentre il cervello si librava in voli pindarici con l’illusorio sollievo fornito dalla roba, dando così vita a un lavoro acre al pari della personalità che l’ha realizzato.

“Kill Ya Boss” si presta a numerose considerazioni, talvolta contrastanti tra loro, pur risultando senza dubbio soddisfacente sotto tutti i punti di vista. La lunga durata non lo rende certo facile da assorbire con pochi ascolti, ma nel contempo fornisce un’ideale misura per comprendere le capacità metriche di un soggetto perfettamente capace di caricarsi una simile mole di lavoro senza risultare stilisticamente noioso, merito di un indubbio carisma e di un tono vocale ben distinto, minaccioso, dotato di un’apprezzabile gestione di un flow che ospita spesso rime brevi e consonanti le quali arricchiscono una medesima linea, completando il piatto con una saltuaria ma adeguata offerta di allitterazioni.

L’altro lato della medaglia, meno evidente ma in ogni caso presente, vede invece Jaysaun sfruttare troppo poco l’arma dell’ampiezza argomentativa, cadendo periodicamente nella prevedibilità; fattore appesantito da una costruzione generica del brano che tende a scivolare nella ripetitività, visto il costante intervento di ritornelli – la maggior parte dei quali allestiti senza troppa inventiva – nella divisione tra strofe, includendo nel ragionamento una produzione che risiede comodamente nella media dei canoni del boom bap odierno, abbinando la durezza delle batterie alla pulizia dei loop. Una strada sicura, ma già percorsa da tante altre scarpe.

All’interno di un lavoro di tale ampiezza i passaggi di maggiore interesse sono proprio quelli che vedono il tema portante del lavoro, l’autoterapia, quale materia prima. L’ambiziosa “Depression” campiona la più grande hit mai scritta dagli Scorpions pitchandola a livelli chipmunks, creando un pezzo rischioso ma appagante, le cui liriche psico/drammatiche marciano secondo un ritmo scandito in maniera ferrea; “Suicide”, inclusa anche in una versione musicalmente riveduta da Confidence, analizza la precarietà della propria condizione avvalendosi di un’efficace suddivisione argomentativa delle strofe; “Divorced”, i cui contenuti sono più che intuibili, si rivela anch’essa temeraria ricreando la leggendaria tastiera di “The Final Countdown”, ma la poca brillantezza del risultato sfocia soltanto in una manche persa.

Per una maggiore amplificazione di spunti è necessario attendere la sezione centrale del disco, un solido susseguirsi di tracce convincenti sulle quali spicca la datata ma concreta “Karma”, ove la rabbia viene incanalata verso le istituzioni mirando a un bersaglio diverso a ogni cambio di strofa; “Strawberry” vede quindi Jaysaun vestire i panni del pimp, impostando una cruda storia dal finale ben inscenato; infine in “Kings” e nel suo preventivabile assemblaggio – opera di Statik Selektah – è contenuta tutta la riverenza verso eroi che oggi non ci sono più. Tutte gradite deviazioni rispetto alle numerose citazioni di armi, droghe e sproloqui gangsta che pervadono l’album.

Un altro punto di forza è chiaramente espresso dalle fasi collaborative, con affiancamenti quasi sempre pertinenti nel sorreggere la spessa quantità di autoindulgenza qui infusa. “Voltron”, piacevole reunion degli Special Teamz già edita da oltre un anno, meritava ugualmente l’inclusione, se non altro perché propone uno dei beat nettamente migliori tra quelli scelti – particolarmente coinvolgente il ritornello scratchato – permettendo a zio Edo di porgere incastri incisivi manco piovessero, una bontà esecutiva dallo stesso replicata in una “It Don’t Matter” atta a ospitare quanto di meglio Boston abbia da elargire (c’è anche Reks…), allestendo un pacchetto lirico in grado di viaggiare alla grande, a differenza di quel beat colpevolmente insipido e contrariamente a una “Anything” dove Jay e Slaine si scambiano ruvidezze su un gustoso boom bap fornito dal sempre ottimo Marco Polo.

Episodi come “3 Letters”, classica contingenza utile solo a fornire esposizione al paio di conoscenti di turno, non riescono invece a presentare un simile grado di appeal, così come alcuni brani sono semplicemente bloccati dagli stessi limiti dei relativi autori, si vedano “Bad Luck”, rigonfia nello stile ma del tutto priva di sostanza (Wais P sa parlare di una sola cosa al mondo – e non lo scopriamo certo oggi…), o l’ennesima composizione demotivante griffata Stu Bangas – “HITG” – nella cui banalità affoga purtroppo anche il testo.

Pur comprendendo l’evidente necessità di mettere per iscritto un cospicuo numero di pensieri e di erigere la propria mascolinità per rispondere a tono alle avversità affrontate, l’opinione finale su un lavoro di fattura comunque consistente è direttamente correlata al bisogno di sintesi che avrebbe certamente reso “Kill Ya Boss” un disco migliore di quanto in sostanza non sia. Ne consegue in ogni caso una promozione abbondante, anche se nei nostri giudizi ciò rispecchia solo in parte il bagaglio artistico che Jaysaun ha mostrato in tutti questi anni di apprezzata attività, costruendosi una fama che l’ha meritatamente promosso tra gli mc’s più rispettati del verde quadrifoglio bostoniano.

Tracklist

Jaysaun – Kill Ya Boss (5th & Union 2018)

  1. Anything [Feat. Slaine]
  2. Kill Ya Boss
  3. Depression
  4. Bad Luck [Feat. Wais P and Larry Cheeba]
  5. HITG
  6. Strawberry
  7. It Don’t Matter [Feat. Reks and Edo. G]
  8. Karma
  9. Voltron [Feat. Edo. G and Slaine]
  10. Suicide
  11. Boston, CT, Philly [Feat. Blacastan and Reef The Lost Cauze]
  12. Part Of The Game
  13. Divorced
  14. DMS
  15. Kings
  16. 3 Letters [Feat. Freddy Madball and Hoya Rock]
  17. Part Of The Game (Remix) (Bonus Track) [Feat. Craig G. and Larry O]
  18. Suicide (Remix) (Bonus Track)
  19. Opinions (Bonus Track)

Beatz

  • Marco Polo: 1, 6
  • Teddy Roxpin: 2, 9
  • Lingo: 3
  • Nox Beats: 4
  • Stu Bangas: 5
  • Supa Dave: 7
  • ATG: 8
  • Falside: 10
  • Dave Gunckel: 11
  • Skipp Whitman: 12, 17
  • The Audible Doctor: 13
  • Dontebeats: 14
  • Statik Selektah: 15
  • Damo: 16
  • Confidence: 18
  • Ayatollah: 19

Scratch

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