John Princekin – John Princekin

JohnPrincekin2015500Primo album solista per John Princekin, componente dei 16 Barre (con Benni, Jack Burton, Dj Bicchio e Manto) a loro volta tutti presenti nell’esordio in questione. Bicchio, infatti, si occupa degli scratch, Manto e Jack Burton del profilo strumentale (ad eccezione di “JPK” prodotta dallo stesso John Princekin e “Laser rain” a cura di Sunday dei DSA Commando), Benni – insieme a un altro socio dei DSA, Mac Myc – compare come ospite tra i featuring. Che dire, chi conosce la storia del gruppo può facilmente immaginare l’aria che tira nell’omonimo disco del rapper rodigino: atmosfere cupe e a tratti surreali à la David Lynch che si uniscono a quelle post-apocalittiche di “Fallout” (che non a caso è un riferimento preciso della tracklist) o “Bioshock”.

Uno dei punti di forza del lavoro, però, è proprio un certo allontanamento (minimo, ma evidente) dal percorso intrapreso dai 16 Barre. Di conseguenza, “John Princekin” può fungere – e qui è il pregio di cui parlo – da trampolino per eventuali nuovi ascoltatori che magari, dopo aver avuto modo di assimilare questo genere di Rap, potranno decidere di avventurarsi nell’area più ruvida del quintetto. Oltre alla solita scarica di schiaffi in faccia all’Hip-Hop che c’entra fin troppo col Pop – il trittico formato da “Laser rain” (curioso il fatto che sia concettualmente uguale a “Raggi laser” di Fabri Fibra), “Demoni” e “JPK” – ci viene offerto un interessante inno panteista misto a una riflessione su quanto l’immateriale influenzi la materia in “Infinito”, una bellissima ode alla libertà in “Eraserhead 2” e un’altrettanto bella storia d’amore ambientata nel mondo di “Fallout” in “Love never changes”, per finire col Rap motivazionale di “Melancholia” e il vero pezzo forte dell’album, la storia che si sviluppa come ghost track alla fine di svariati brani in scaletta.

E’ quest’ultima che permette a JPK di mostrare la padronanza raggiunta nella scrittura e seppure si colga qualche forzatura in metrica qua e là, il parere non può che essere positivo. Parere che, comunque, non può estendersi oltre: le pecche dell’album, per quanto siano fondamentalmente un paio, sono abbastanza importanti. Anzitutto, le tracce dell’album peccano un po’ di presa: è un discorso probabilmente molto soggettivo, ma devo ammettere che nessun brano mi ha trascinato, colpito al punto tale da doverci tornare continuamente – per quanto ne conti tre/quattro che mi sono piaciuti davvero molto. Come dire… Belle, sì, ma fine. Secondo problema (intrecciato al primo): le basi. Incredibile a dirsi, per un disco figlio dei 16 Barre, ma è così. Manto e Jack Burton – escludo Sunday e lo stesso Princekin perché autori delle uniche basi da ricordare – commettono uno sgarbo a loro stessi e alla loro storia con un gigantesco buco nell’acqua: c’è tantissimo boom bap ma è tutta roba già sentita e, anche in questo caso, che non scuote.

In conclusione, reputo il lavoro compiuto per “John Princekin” utile e fruttuoso soprattutto per ascoltatori curiosi di approcciarsi a un Hip Hop che in Italia, sostanzialmente, è appannaggio dei soli 16 Barre e dei DSA Commando – fermo restando che piacerà molto proprio ai fan duri e puri degli stessi.

Tracklist

John Princekin – John Princekin (Autoproduzione 2015)

  1. XVI religion [Feat. Benni]
  2. Infinito
  3. Eraserhead 2
  4. The lost boys 2
  5. Love never changes
  6. Laser rain
  7. Demoni [Feat. MacMyc]
  8. JPK
  9. Melancholia
  10. Krokodil

Beatz

Tutte le produzioni di Manto e Jack Burton tranne le tracce #7 di Sunday e #9 di John Princekin

Scratch

Tutti gli scratch di Dj Bicchio

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