KA – Descendants Of Cain

Voto: 4 +

Abbiamo appena imparato che in tempi di quarantena obbligata è complicato eseguire anche un semplice percorso da casa all’ufficio postale più vicino, con tutte le conseguenze del caso. Sono segnali piccoli, magari per qualcuno futili (perché esistono certo fatti più importanti di vendere/acquistare un vinile), ma in ogni caso indicano che la vita non è più quella di prima, chissà per quanto tempo ancora; aprendo il sito ufficiale di KA, si nota infatti l’annotazione only .wav files available for purchase at the moment, una vera beffa per un artista abituato a plasmare con la massima cura ogni sua creazione, definendone la forma nel minimo dettaglio in modo che non sfugga neppure una piccola frazione del messaggio e della musica campionata, un esercizio che a parere personale riesce particolarmente bene quando trasposto nel fruscio prodotto da delicati microsolchi.

Ma, in fondo, la personale e profonda introspezione narrata da Kaseem Ryan ci si può accontentare di ascoltarla anche attraverso la presunta maggior pulizia del formato digitale, tanto non c’è tecnica di registrazione che riesca a tenere distanti quelle oramai irrinunciabili sensazioni di oscurità, pressione, rammarico, così naturali nel loro emergere tanto dalle parole quanto dai sempre originali loop che ne costituiscono la colonna sonora. Un magma inespressivo, recitato con immutabile metodicità alla ricerca dell’espiazione del peccato, di un colore più sgargiante di quella mistura grigia e nera che l’animo trasmette di continuo al cervello impedendogli d’inquadrare altro, una costante ricerca di una proporzione migliore tra il male passato e il bene attuale, con preghiera verso chi decide le sorti delle anime di tenere possibilmente conto anche di quest’ultima parte, comprendendo che una scelta alternativa, in fondo, non c’è mai stata.

KA apre nuovamente l’ingresso di una caverna chiusa a doppia mandata, conscio che prima o poi la visita si deve tornare a farla, arma gli ospiti di fiaccola e pazienza partendo per una nuova e dolorosa illustrazione, trovando nel nuovo accostamento metaforico ideato – oramai un caposaldo delle sue più recenti opere – un affascinante procedimento per agevolare un viaggio tutt’altro che semplice. Non sono gite alla portata di tutti, si sa, il percorso è breve ma richiede un forte dispendio di energia emotiva e la giusta mentalità per stanare i propri demoni e guardarli negli occhi, affrontarli a viso aperto, ringraziandoli di essere tornati a far visita ma invitandoli al contempo a farsi di nuovo da parte. Ed è pure necessaria una forte componente empatica, perché non tutti i titolari del biglietto d’ingresso sono cresciuti nel ghetto, un luogo che l’artista ha legato ai codici d’onore dei samurai e alla lotta di Orfeo contro le sirene, giungendo oggi ad aprire la Bibbia concentrandosi sul libro della Genesi, delineando nuovi parallelismi con la sua esperienza di vita.

I ritmi con cui vengono offerte le spiegazioni agli utenti sono gli stessi di sempre, pacati, glaciali, minuziosi. KA possiede un’energia all’apparenza letargica ma dall’indubbia sostanza tecnica, a volte parla con un filo di voce, come se non avesse scampo dalla sua profonda autocondanna interiore, le immagini che emergono sono trasposte con la medesima attenzione con cui vengono costruite le frequenti rime interne e nulla è lasciato al caso, come attestato pure da una ricerca dei sample che persevera nel distanziarsi dalla media, fondendo ad arte l’ossessività dei loop alla singolarità delle fonti attinte, una qualità dimostrata anche dai pochissimi e fidati collaboratori esterni.

I discendenti di Caino non sono altro che tutti i fratelli colpevoli di alimentare il black on black crime, vi sono testi che gravitano attorno a una semplice, singola domanda retorica, c’è necessità di guardarsi le spalle anziché forarle di proiettili come suggerito dal senso di “My Brother’s Keeper”, la quale offre diversi spunti di riflessione. “Eye Of A Needle” e “Solitude Of Enoch” svolgono pure un ottimo lavoro nell’elaborazione dei punti di contatto tra testo e realtà, oltre a condividere improvvise virate nella produzione che, durante i primi ascolti, possono erroneamente far presumere che si sia giunti alla traccia successiva; un altro messaggio molto eloquente da parte di un artista che fa le cose solo come meglio gli aggradano. Il fatto che l’album sia ancora più personale dei precedenti è poi testimoniato dai molteplici riferimenti alla figura paterna, esempio vile e traumatico attraverso il quale l’artista cerca di capire se stesso e le azioni dei propri trascorsi, fissando definitivamente l’argomento nell’intensa “Sins Of The Father”, dove lascia che Roc Marciano apporti la sua benedizione su un loop vocale perfetto per la circostanza, accendendo nuove speranze marchiate Metal Clergy con rime che paiono non riuscire a sfuggire all’anatema insito nella propria stessa natura.

Il ricordo del padre è altresì legato a passaggi come “Patron Saints”, dove lo spitting si fa più vivace come se fosse acceso dalla rievocazione di tutte quelle figure criminali legate alla gioventù, che proprio come papà rappresentavano gli esempi da seguire per trovare il sentiero della sopravvivenza, nonché gli uomini da glorificare per giovani menti cresciute tra povertà e violenza, evidenziando un’altra eccellente costruzione figurativa per esplicare la tematica del testo (<<all our Santas carried them hammers/our guidance counselors was talented scramblers/…/our yogis did stretches upstate/our Sir Lancelot’s at round tables cuttin’ eighths/our mogul just caught another case>>).

“Unto The Dust” emana invece vibrazioni viscerali, adeguatamente rappresentate dal calore del basso e dal suo intreccio con le percussioni, distinguendosi per la validità del wordplay (<<they names known, came home, now the house got two religions/peace be with you, wa alaikum salaam/make sure that piece be with you, laced to your palm>>); “P.R.A.Y.” è minimale, pure di difficile digestione se vogliamo, ma la prospettiva che offre all’ascoltatore cambia di netto quando si intuiscono i legami che uniscono tutti gli elementi al titolo, sottolineati dal breve uso di un organo liturgico e da barre ancora una volta dannatamente intelligenti (<<here to blast, any day could be your last, that was probable/they shot the guns, lot of sons never returned as prodigal>>). Sono correlazioni che percorrono pure le tessiture di gran spessore elaborate per “Old Justice”, ove il loop ricavato dal sample è emozionante al punto che riuscirebbe a far gioire un’anima in pena, un tripudio fornito da chitarra acustica e melodia del cantato sopra al quale scorrono altre immagini violente che il passato rimette beffardamente a disposizione, tracciando la concomitanza tra la giustizia biblica e quella di strada.

Tuttavia, al termine delle oscurità proposte dalla visita il bagliore diventa sempre più chiaro e accogliente. KA prepara il gran finale con tre strofe scritte con un cuore che pulsa fortemente sotto le note campionate per “I Love (Mimi, Moms, Kev)”, dedicandone una a ciascuna persona indispensabile della sua vita, ricordando le fondamentali emersioni dal buio ottenute grazie alla mano di qualcuno pronto a lottare assieme o a fornire una diversa prospettiva del futuro, accantonando di nuovo gli incubi del passato.

Che torneranno, certo, ma saranno sempre più deboli, schiacciati dalla consapevolezza di sé. E saranno magari accompagnati di nuovo da quel gesto semplice ma significativo, che tanto avevamo imparato ad apprezzare, lo stesso che induce un artista indipendente a produrre la sua musica seguendo solo i propri istinti, i propri tempi, a raccogliere le ordinazioni di pochi ma significativi adepti, occupandosi personalmente delle spedizioni o della vendita organizzata a un angolo delle strade di Brownsville. Un segno di autenticità che in tempi asettici come questi possiede un valore inestimabile.

Tracklist

KA – Descendants Of Cain (Iron Works Records 2020)

  1. Every Now And Then
  2. Unto The Dust
  3. Patron Saints
  4. My Brother’s Keeper
  5. Solitude Of Enoch
  6. The Eye Of A Needle
  7. P.R.A.Y.
  8. Land Of Nod
  9. Sins Of The Father [Feat. Roc Marciano]
  10. Old Justice
  11. I Love (Mimi, Moms, Kev)

Beatz

  • KA: 1, 3, 5, 6, 7, 8, 10
  • Dj Preservation: 2, 11
  • Animoss: 4
  • Roc Marciano: 9
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