KA – Grief Pedigree

Voto: 4

Brownsville non è esattamente il posto che decidereste di visitare nel caso vi trovaste a trascorrere una vacanza a New York, essendo un luogo depresso, dominato da malaffare e povertà, una sezione di Brooklyn poco raccomandabile all’interno della quale non si vive, si sopravvive con mestiere e fortuna. Quest’ultima è stata una componente principale nel consentire a persone come KA di arrivare ai quarant’anni d’età, di raggiungere un soddisfacente livello di maturazione che abbia permesso loro di riflettere sull’ambiente, sulle azioni passate e in generale sui conflitti emozionali tipici di chi ha vissuto una realtà dura come quella raccontata, caratterizzati da un sentimento di rimorso che nasce dalla consapevolezza di aver spesso scelto la strada sbagliata con la sola giustificazione della necessità di arrivare al giorno successivo.

Queste considerazioni introducono già ai concetti base di “Grief Pedigree”, il quale rappresenta il ritorno su lunga distanza di un artista pressoché sconosciuto ai più, ma che non per questo è un novellino (anzi!); un rientro nel gioco gestito in maniera incondizionata dall’esterno, indipendente da qualsiasi tipo di figura discografica che si metta a dire a questo o a quell’altro cosa fare e come farlo. KA prepara il suo tour dei luoghi più lugubri della zona attraverso undici episodi (dodici nel vinile) per una durata complessiva di trentasette minuti, un viaggio conciso ma intenso come pochissimi, un contenitore di dettagli forti e reali, descrivibili in certe maniere solo da chi li ha vissuti in prima persona.

Già dal primo ascolto è intuibile ciò che sta a monte delle scelte artistiche di KA, “Grief Pedigree” è un lavoro cupo, che trasmette la tensione e la sensazione di pressione (<<everyday is drama/I’m a devoted fan>> sostiene in “Every…”) che pervade quei soggetti criminali che in ogni istante si devono muovere all’interno di scenari dove il pericolo di incontrare la persona sbagliata è sempre tangibile; l’mc svolge i suoi racconti costruendo sia le strofe che i beat – il disco è completamente autoprodotto – con la precisione di un metronomo, scegliendo accuratamente i numerosi campioni tratti dalla musica black degli anni settanta senza risultare né scontato, né solare, posizionando con la medesima minuziosità tutte quelle parole che, utilizzando tecniche come rima interna e multi-liner, vanno a creare giochi molto intriganti, che invitano a molteplici ascolti per cercare di scoprirne di più. A leggere definizioni come queste sembrerebbe la descrizione di un disco di Roc Marciano, peraltro qui ospitato nella potente “Iron Age”, ma se è vero che le similitudini tra i due possono essere ricondotte sia alla metodologia produttiva che all’interpretazione al microfono, è vero altrettanto che a un’analisi più attenta si comprende piuttosto facilmente che in realtà “…Pedigree” offra contenuti solo in parte accostabili a quelli di un “Marcberg”, puntando verso obiettivi completamente differenti.

Mantenendo un tono vocale inalterato dall’inizio sino al termine, ipnotico come la maggior parte dei sample, KA volge lo sguardo negli angoli più bui del quartiere, trasmettendo delle istantanee al suo ascoltatore; ma non si limita a narrare dei fatti in prima persona, coglie l’occasione per estrapolare delle considerazioni morali dal particolare episodio o dalla specifica figura. In “Cold Facts” gioca bene sul contrasto caldo/freddo e sulle sensazioni raggelanti che vuol trasmettere (<<I heat it up with cold facts/…/had a cold heart ‘cause my apartment was freezin’>>), mettendo in risalto il tormento nato dalle violenze commesse, in “Summer” diventa addirittura paranoico e contrappone l’apparente luminosità del titolo all’oscurità del periodo in cui presume verrà fatto fuori o imprigionato. Le sonorità di “Decisions” sono invece solo un punto isolato di gaudio, il testo si ferma continuamente davanti al bivio della possibile scelta corretta senza mai darne la soluzione, facendo intuire che in certi ambienti non sempre l’opzione migliore sia quella che permette di andare avanti. Piuttosto funeree risultano poi le note di “Vessel”, che cita la presenza a numerosi memoriali di soldati di strada caduti, decisamente più tranquille quelle di “Up Against Goliath” che, come in diversi altri casi, costruisce metafore utilizzando spunti di provenienza biblica che si trovano, a patto di saperle cogliere, sparse qua e là nelle tracce.

“Grief Pedigree” è difatti un album – solo il secondo nella ventennale carriera dell’artista – che dà il suo meglio se ascoltato più e più volte: per ogni nuova esperienza, si riesce a ricavarne una più ampia comprensione. Volutamente, è un progetto di difficile accesso, che ha avuto il privilegio di poter essere curato e assemblato senza l’urgenza di un’etichetta o l’accettazione di compromessi, una piccola gemma che racconta a modo proprio le quotidianità di uno degli ultimi luoghi dove scegliereste di vivere. O sopravvivere, dipende dai punti di vista.

Tracklist

KA – Grief Pedigree (Iron Works Records 2012)

  1. Chamber
  2. Cold Facts
  3. No Downtime
  4. Summer
  5. Decisions
  6. Collage
  7. Every…
  8. Iron Age [Feat. Roc Marciano]
  9. Up Against Goliath
  10. Vessel
  11. Born King NY
  12. To Our Name

Beatz

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