Kool G Rap & Dj Polo – Wanted: Dead Or Alive
Il binomio rapper/deejay è alle origini della Cultura. Al tempo, per i vari quartieri di New York – principalmente, ma non solo – ci si poteva imbattere in numerose figure in cerca della combinazione giusta, formando l’un l’altro un puzzle inestricabile, quell’indissolubile tandem in grado di dare anima alle jam, alle feste improvvisate allacciando l’impianto ai pali della luce, magari pure alla registrazione di un singolo. Ogni mc aveva bisogno del suo dj per attaccare il pezzo; ogni dj necessitava di una voce per dare un senso ai breakbeat e agli scratch. Ogni Kool G Rap cercava il suo Dj Polo. Dalla fondazione del duo, formatosi grazie all’intervento di Eric B., in un cortile posto nel retro di un centro di recupero per tossicodipendenti di Corona, nel Queens, area dove venivano organizzate delle esibizioni per talenti locali, passando per il soggiorno di Marley Marl, nel quale venne inciso il singolo di debutto “It’s A Demo“, fino all’immediata militanza nella Juice Crew, sembrano trascorsi millenni. Nonostante gli eventi abbiano poi testimoniato l’avvento di una carriera solista decorata coi massimi gradi e, a posteriori, la figura del compianto Polo – recentemente scomparso all’età di 62 anni – non sia mai stata così rilevante nell’economia generale della discografia di coppia, il marchio del gruppo rimane comunque indelebilmente scritto nella storia del Rap.
“Wanted: Dead Or Alive” è un album fondamentale per differenti ragioni. Anzitutto, segnava il ritorno di Kool G Rap a una vita normale dopo una delicatissima operazione al cervello; quindi, sottolineava una pianificazione minuziosa per rimanere rilevanti nel game, apportando sostanziali varianti a un solidissimo esordio, oggi magari datato ma ancora estremamente affascinante. Da un lato Kool G desiderava ampliare il già ricco portafoglio di soluzioni liriche, allargando la visione a tematiche che andassero oltre la mistura di braggin’ rights e materialismo dell’esordio, concentrandosi su un Rap criminoso, cinematografico, cronista, dando ufficialmente luogo al mobster Rap di cui conserva a tutti gli effetti il titolo di Padrino. Dall’altro, si voleva evolvere nei canoni sonori, avviando un processo decisionale che aveva escluso Marley Marl dal quadro e inserito la supervisione di Eric B., nonché affidando la maggior quantità della produzione a un giovanissimo Large Professor (a dispetto delle indicazioni dei crediti, la quasi totalità dei beat sono farina del suo sacco, come raccontato più volte dai protagonisti), prodigioso diciassettenne in possesso di un raro talento nella manipolazione dei campionatori, una scommessa che avrebbe pagato enormi dividendi, data la riverenza con cui la seconda pubblicazione del gruppo – per molti la migliore – tende a essere ricordata.
Dunque, già comprovata l’abilità metrica in occasione dell’uscita di “Road To Riches”, via alla nuova sfida ed ecco sopraggiungere la vera e propria genesi dello stile che ha così fortemente inciso sul futuro della metrica e della tecnica descrittiva, che porta un nome simbolicamente scolpito nella pietra: “Streets Of New York”. La tessitura, deliziosamente densa nei legami polisillabici, è minuziosa nella sequenza delle varie clip che il testo è in grado di evocare nell’ascoltatore, le barre scattano brevissime istantanee che giungono in rapida successione, prive di pietà, raccontando di vite condotte tra disagio sociale, droga, alcolismo e vagabondaggio, dipingendo scene di violenza domestica, abuso e scorciatoie per uscire da una realtà dimenticata dai più fortunati. La sensazione di sinistro, lugubre, fatale, è coerentemente allacciata all’oscuro utilizzo del sample estratto dalle corde di “Gotta Learn How To Dance”, nota composizione firmata Fatback Band’s, mischiata a piano e sax realmente suonati – cortesia di Anton Pukshansky – creando i presupposti per un singolo al quale il degrado delle intemperie non ha nemmeno osato avvicinarsi. Il preludio a un LP compatto, roccioso, inscalfibile (tolti giusto un paio di spigoli), che ha contribuito a riscrivere i dogmi con cui ogni aspirante al titolo si sarebbe in seguito dovuto confrontare.
“Wanted: Dead Or Alive”, la caotica titletrack, alza di brutto marce ritmiche cui il rapper risponde con una feroce dimostrazione di bravura, offrendo il resoconto di una fuga dalla giustizia degna di un lungometraggio poliziesco, spargendo qua e là particolari di una crudezza allora quasi inedita (<<one brother got smoked in a car chase/through the windshield, a bullet in the face/left his head wide open like a basket/went to his funeral, shot up his casket>>), modellando con elasticità il flow come pochissimi altri umani potevano permettersi di fare. “Bad To The Bone”, che spruzza una marcata fragranza Jazz, è ricca e avvolgente, i crash si stagliano in sottofondo, i minuscoli estratti di tromba punteggiano barre e cori (interessante notare come questi ultimi siano realizzati da loop e scratch, a sottolineare l’attenzione da rivolgere alla strofa), mentre il testo colpisce vari gradi di style point metrici che pongono l’asticella continuamente un centimetro più in alto del tentativo precedente (<<Slick talkin’ with a chick when I’m walkin’/midnight stalkin’, all the suckers be hawkin’/and I max while you be waxin’ your Cadillac/smooth as a sax, but I can cut you like an axe>>). “Death Wish” – riferimento al classico con Charles Bronson, da noi “Il giustiziere della notte” – è altresì un treno in corsa che divelte ostacoli alla massima velocità, grazie a quell’utilizzo così ruvido dell’abusata “Take To The Mardi Gras” di Bob James, una traccia di tutta potenza intensificata dalla minacciosità delle rime dal timbro mafioso e che si caratterizza per incisività e robustezza.
Alla pura dimostrazione di superiorità lirica si ritorna solo in parte e lo si fa col botto, grazie a sassate come “Kool Is Back”, ennesima prestazione verbale di spessore gigantesco, e “Play It Again, Polo”, molto simile nella struttura e nella rapidità adottata dalla strumentale, sopra alla quale G Rap si esprime vertiginosamente producendo sillabe multiple a getto continuo con altissima precisione nella dizione (<<rhymes remain hittin’ hard like “Night Train”/with lyrics that came from the brain of Mark Twain/so if you can’t handle the man, please go and change the channel/rappers are gettin’ smoked like Camels>>), mentre il bel giro di basso e gli scratch ritmici – va detto, non tutti opera di Polo, data la certificata partecipazione di Dr. Butcher alle sessioni in studio – portano a compimento il resto della missione. E, visto che monotematici non si voleva essere, spicca la divagazione argomentativa di “Talk Like Sex”, altro attestato di poliedricità lirica che non lascia prigionieri, grazie all’intensità delle varie elucubrazioni e similitudini adatte al soggetto, così intense, irrispettose e ingegnose da far sembrare i 2 Live Crew una banda di chierichetti, viaggiando freneticamente sulle note della “Different Strokes” di Syl Johnson, adagiate su una sezione ritmica dominante.
Inusitata e sorprendente – erano tempi più conscious, va da sé – per i toni assunti risulta essere “Erase Racism”, traccia molto matura, scritta in seguito all’omicidio del sedicenne Yusef Hawkins da parte di criminali di pelle bianca, un pezzo che inneggia alla positività e all’unione invece che alla reazione violenta, fornendo un messaggio forse troppo buonista, ma sentito e significativo. Non che ci fosse bisogno di particolare aiuto, ma la posse cut con parte della Juice Crew è senz’altro apprezzata e si avvale di un Big Daddy Kane riflessivo, oltremodo affascinante quando esce dal consueto seminato della sensualità, nonché di una produzione congiunta tra Cool V e il diabolico Biz Markie, guida simbolica del pezzo, che si prodiga pure nel fornire lo stonato ritornello. Kool G Rap lascia indietro di qualche giro Freddie Foxxx (non accreditato) e Large Professor, qui ancora legnosetto ma ancora vincente sui tasti di “Money In The Bank”, assemblata sulla programmazione di colpi di cassa dritti e aridi, contornati da loop di tromba e sample vocale d’annata per il ritornello. “Jive Talk” è invece una pura sessione di freestyle, snocciolata sopra un bel beat di Polo, con liriche mixate in maniera grezza, giusto per accentuare la sensazione dell’improvvisazione. Viceversa, appaiono fuori posto (ma in coda) “The Polo Club”, collage di scratch e campionamenti per l’ordinario intermezzo Hip-House che all’epoca andava, e “Rikers Island”, aggiunta in CD come bonus track, prodotta tre anni prima da Marley Marl con un sound metallico e un’andatura già vetusta, lasciata fuori da “Road To Riches” – cui sarebbe stata più attinente – per motivi sconosciuti.
Di massima utilità per conoscere la nascita del Rap cinematico e immaginifico di Kool G Rap, come per ricordare una figura secondaria ma assolutamente pionieristica quale Dj Polo, che – contributo evanescente o meno – si è reso partecipe di una delle migliori serie di dischi della vecchia scuola, nella quale “Wanted: Dead Or Alive” continua a rivestire una posizione di assoluto rilievo.
Tracklist
Kool G Rap & Dj Polo – Wanted: Dead Or Alive (Cold Chillin’ 1990)
- Streets Of New York
- Wanted: Dead Or Alive
- Money In The Bank
- Bad To The Bone
- Talk Like Sex
- Play It Again, Polo
- Erase Racism [Feat. Big Daddy Kane and Biz Markie]
- Kool Is Back
- Play It Kool
- Death Wish
- Jive Talk
- The Polo Club
- Rikers Island (Bonus Track)
Beatz
- Kool G Rap, Large Professor and Anton: 1
- Eric B. and Lynn Star Productions with the co-production by Kool G Rap and Large Professor: 2, 4, 6, 8, 9, 10
- Large Professor: 3
- Kool G Rap: 5
- Biz Markie with the co-production by Cool V: 7
- Dj Polo and Anton: 11, 12
- Marley Marl: 13
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