Lee Scott – Butter Fly

Voto: 4,5

Qualche aggiornamento fa, ho avuto il piacere di rendervi partecipi della mia prima incursione di successo tra i meandri del sottobosco musicale britannico. Ciò che ho potuto riportare a casa in seguito a quell’esplorazione, oltre a una smisurata stima nei confronti di Jam Baxter (e del suo complice Chemo), può essere sintetizzato in due semplici vocaboli: High Focus; una piccola label indipendente che non ho esitato a definire come la Definitive Jux 2.0 del vecchio continente. A questo giro, quest’ultima ci propone “Butter Fly”, pietanza cucinata a quattro mani da Lee Scott, navigato esponente della scena sotterranea di Liverpool e carismatico leader della Blah Records, e Dirty Dike, chef de cuisine del campionatore e autore di alcune tra le produzioni più ipercaloriche ascoltate nel corso di questo millennio.

Con un titolo (e una copertina) del genere, la battuta potrebbe sembrare scontata ma, ve l’assicuro, dire che il grasso cola da ogni solco del disco è un puro eufemismo. La titletrack, introdotta da quello che potrebbe essere il cugino cresciuto nel Merseyside del tapiro antropomorfo di Oxnard, ci offre subito un gustoso boccone dal vago retrogusto Co-Flow, guarnito da una sana dose di autocelebrazione e rinfrescata da quel genere di riferimenti che non siamo abituati ad ascoltare in rima (<<I’m slick like a Johnny Barnes’ scissor kick/round ours Robbie’s God, and Grobbelar’s innocent>>). La densità lipidica dei beat continua a dettare la linea sonora anche in “Don’t Make Me“, nell’atmosfera da Jazz café anni ’50 di “Walking The Wal” e in “Money Grip”, introdotta da un pianoforte drogatimpani le cui note vanno meticolosamente ad adagiarsi (o forse sarebbe meglio dire a colare) su cassa e rullante allineati ad arte.

Le atmosfere rarefatte di “Manatee Rap” segnano il primo cambio di tono, fungendo da rampa di lancio per l’onomatopeica “Spaced”, costellata da flebili scie di fiati Jazz che sembrano echeggiare dai più oscuri e profondi spazi siderali. Le ritmiche, imbastite nella prima metà dell’album su un conteggio di bpm da metronomo sedato, a complemento del flow impastato e mellifluo di Lee Scott, si impennano repentinamente con l’arrivo di “Eight O’Clock In The Morning”. Voci confuse e white noise si miscelano sinistramente, tracciando i confini di una tela pronta a essere inchiostrata a pennellate di black humour (<<chop chop, dig deep until it’s nothing left/knock knock, who’s there? Probably Death>>) dall’arguzia lirica di Lee Scott. Tre quarti d’ora che trascorrono in un lampo; e, dulcis in fundo, eccoci immersi – con un titolo che è tutto un programma – in “Butter Tits”, un dessert in piena regola che condensa l’anima dell’ascolto in soli due minuti e cinquantasei secondi di puro colesterolo audio.

La speranza è che, a breve, venga resa disponibile una versione strumentale di questo lavoro: sarei davvero felice di sganciare una bella somma pur di metterci sopra le mani. “Butter Fly” è unto, bisunto e grasso oltre ogni limite; in assoluto uno dei migliori cheat meal che si possano sognare: non vi farà ingrassare di un etto, non vanificherà gli sforzi sostenuti per presentarsi all’imminente prova costume ed è perfetto pure per chi lamenta intolleranze al lattosio. Ergo: strafogatevi!

Tracklist

Lee Scott – Butter Fly (High Focus Records 2015)

  1. Butter Fly
  2. Don’t Make Me
  3. Money Grip
  4. Walking The Walk
  5. Manatee Rap
  6. Spaced
  7. Watch TV
  8. Eight O’Clock In The Morning
  9. Sell Drugs
  10. Everythang Is Money
  11. Don’t Tell Me
  12. Butter Tits

Beatz

All tracks produced by Dirty Dike

Scratch

All scratches by Dj Sammy B-Side

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