LL Cool J – The Force

Voto: 3,5/4

Stabilire quale sia con precisione il ruolo di LL Cool J all’interno delle longeve economie del Rap è un esercizio assai complesso, in particolare qualora si analizzi in profondità un percorso distinto dalla costante alternanza tra istanti memorabili e forti picchiate. Da un lato c’è il ragazzino prodigio che aveva sorprendentemente messo all’erta i grandi senatori, uno di quelli che, quando distribuivano la spavalderia, occupava certamente le prime file col suo iconico Kangol e una determinazione inusitata, avendo raggiunto il successo ancor prima di poter bere alcolici e realizzando pietre miliari per una Cultura della quale il medesimo è una delle figure pionieristiche di maggior rilievo. Girata la medaglia, riesce invece difficile non notare una sorta di voltafaccia nell’integrità artistica, sviluppando sempre più l’evidente appeal commerciale che James Todd Smith ha avuto nelle sue corde fin dal momento in cui si è accorto di quanto le sue famose ballad riuscissero a muovere le classifiche, rendendosi di fatto corresponsabile del processo di annacquamento che l’Hip-Hop subiva nella prima decade del nuovo secolo. Quale sia la giusta mediazione tra il fenomenale Jack The Ripper degli inizi e l’autore di una discografia che da trent’anni non offre qualcosa di neppure vicino all’accettabile, è tremendamente difficile da stabilire, per quanto gli vada comunque riconosciuta un’innegabile presenza capace di toccare cinque decadi differenti – poi, che piaccia o no il come le abbia toccate da un punto di vista conservativo, è tutt’altro discorso.

Un ritorno che coincide col quarantesimo anno di attività, ma comunque inatteso a undici primavere dall’ultima pubblicazione, è evidentemente mosso da età, maturità, ciclicità della vita stessa, necessità di esplorare le proprie origini, ritrovare un’identità essenziale: “The Force“, appunto, entità invisibile, flusso primordiale che sta alla base di tutto, esigenza di farsi sentire con determinazione dall’alto di un’esperienza e un successo che non tutti possono vantare, per insegnare qualcosa rispetto a una modernità che si accontenta vilmente della bassa qualità, schiacciando talento e originalità. Una chiamata alle armi magica, nostalgica, conscia della non ripetibilità di ciò che si è vissuto, dell’unicità di quei momenti le cui vibrazioni originarie mai potranno essere replicate, ma solo stuzzicate abbastanza per tentare di respirare un’ulteriore volta quell’aria. Un bisogno di ricollocarsi, per il quale LL stavolta ha preso decisioni molto più sensate che in precedenza, affidando all’istrionico Q-Tip il compito di curare un sound adatto alla personalità del rapper, confezionando un apparato moderno ed eccentrico, che sorregge l’equilibrio della bilancia creativa attraverso un suono fresco, innovativo, assai ricco nell’allestimento delle sezioni ritmiche, per una coordinazione genericamente idonea nel suo restituire credibilità a un artista che, a cinquantasei anni, suona rinvigorito sotto ogni aspetto lirico.

Per quanto l’autoindulgenza sia parte essenziale del personaggio, il rientro di Uncle L non va certamente confuso come un’operazione atta a glorificare un passato oggi troppo distante, né a fornire una presenza priva di estro: l’ispirazione che sta dietro a tutto il lavoro la si può persino toccare con mano, gli intenti artistici sono chiari e coerenti così come lo sono i bisogni più intimi, da soddisfare in un’attualità che fornisce un quadro specifico e attualizzato di una figura per nulla aggrappata ai suoi momenti di vertice. Semplicemente, LL Cool J è – non solo fisicamente – in forma strepitosa ed è tornato per rendere l’idea nella maniera più cristallina possibile, al di là della fondamentale impronta impressa da Tip nel quadro generale del progetto. “The Force”, il brano che regala il titolo all’operazione, ne è la perfetta esemplificazione, costituendo una carica energetica veramente forte, sospinta da sintetizzatori futuristici che suonano da favola e generando liriche concentrate, motivate, vigorose, alimentate da quell’intangibile creatività che nasce dal nulla e che tanto pertinente risulta essere agli scopi dell’album.

Certo, una sottile malinconia c’è e la parte centrale della scaletta ne è pervasa, per quanto venga espressa sotto varie forme dando risalto all’inventiva concettuale che LL dimostra di aver senz’altro ritrovato, senza rinunciare agli elementi classici dei suoi dischi. C’è il fiero guardarsi indietro misto a un pizzico di nostalgia e senso di appartenenza, tematiche che il rapper gestisce con clemenza e intelligenza in egual misura, forte di un momento esistenziale maturo e soddisfacente. Le considerazioni di “30 Decembers” sono accompagnate da giri di chitarra e cori fortemente emozionanti, le liriche creano un’evocativa ambientazione cinematografica, trattando il concetto del non ritrovare più le cose com’erano dopo una lunga assenza, consapevole del tempo trascorso e assumendo un duplice significato metaforico che tocca vita e carriera nella stessa maniera. “Runnit Back” viaggia al massimo nella corsia dei ricordi, forse perché sente di non dover perdere quello spazio di presenza tra i grandi interpreti del Rap fronteggiando la paura di essere dimenticati, conseguendo nell’elencazione dei traguardi raggiunti sopra una produzione pimpante, variegata e molto avvincente a livello ritmico. “Post Modern” affronta similmente l’ambizione, un pò si bulla com’è giusto che sia vista l’incisività avuta in età ancora imberbe sottolineando una longevità di cui si può oggettivamente discutere a livello qualitativo, ma che un peso specifico lo riveste in qualsiasi caso, mentre il beat gioca col titolo mischiando piccoli elementi old school all’attualità. “Basquiat Energy” percorre benissimo atmosfere Funk privilegiando dizione, carisma e pulizia tecnica, con citazioni inconfondibili che denotano la voglia di rientrare in un’identità ben definita, citando non a caso lo stesso Basquiat, Kid Creole e Fab 5 Freddy.

LL riesce a esprimersi equilibrando pertinentemente il magnetismo del suo carisma, mantenendo un assetto bilanciato della sua virilità. A volte la butta fuori in maniera sensuale – e ci mancherebbe – come nel caso di “Proclivities”, traccia pericolosa in quanto potenzialmente ammiccante e commercia(bi)le, che si rivela invece uno dei migliori episodi grazie al tripudio di tastiere alla Gary Numan; in altre, come l’introduttiva “Spirit Of Cyrus”, il testosterone genera un’ottima concept track dalle tinte tenebrose, gestendo il testo in maniera figurativa e cogliendo l’ispirazione da fatti realmente accaduti per edificare pensieri sopra una problematica reale e sentita, la quale evidenzia il ritrovato bisogno di utilizzare il Rap quale metodo espressivo della propria blackness, come altrettanto asseverato da quel meraviglioso gumbo musicale che “Black Code Suite” è a tutti gli effetti (la variante in coda al pezzo è magistrale), facendone un passo culturale orgoglioso e ben definito. “Huey In The Chair” fa idealmente parte dello stesso lotto, come intuibile dal titolo, ma pur rinverdendo il legame collaborativo con Busta Rhymes la resa non è vicina a quanto auspicato, anche per un beat privo di mordente.

Non potevano infatti mancare le collaborazioni di grande richiamo nominale, per quanto James non necessiti di alcun ausilio per sostenere da solo l’intero reparto lirico, e curiosamente sono proprio alcuni tra i featuring a fornire incertezze, se non altro viste le premesse su carta. “Praise Him” poteva essere una bomba vista la presenza di Nas, ma le sonorità trendy e i passaggi lirici nella norma non sono all’altezza delle aspettative; “Saturday Night Special” e il suo lo facciamo per la Cultura così speciali non sono, per quanto LL cavalchi alla grande una strumentale solo sufficiente fornendo un tema preciso, il quale viene impietosamente strapazzato dalla solita sbruffonaggine gratuita di Rick Ross, mentre definire Fat Joe spento e raffazzonato suona perfino come un eufemismo. “Murdergram Deux”, per assurdo, viveva di minori attese visto il momento – a nostra opinione – non particolarmente brillante di Eminem, ma il flow dei due si dimostra essere fenomenale (zio L, a tali velocità, è assolutamente inedito, oltre che più spettacolare di colleghi più giovani di trent’anni), e Tip ci mette del suo elaborando un sound coerente alla modernità, da repeat istantaneo.

Un ritorno gradito e all’altezza, insomma, firmato da un artista talvolta discutibile, ma che rimane uno dei greatest rappers in the history of Rap itself.

Tracklist

LL Cool J – The Force (Def Jam Recordings/Virgin Music Group 2024)

  1. Spirit Of Cyrus [Feat. Snoop Dogg]
  2. The Force
  3. Saturday Night Special [Feat. Fat Joe and Rick Ross]
  4. Black Code Suite [Feat. Sona Jobarteh]
  5. Passion
  6. Proclivities [Feat. Saweetie]
  7. Post Modern
  8. 30 Decembers
  9. Runnit Back
  10. Huey In The Chair [Feat. Busta Rhymes]
  11. Basquiat Energy
  12. Praise Him [Feat. Nas]
  13. Murdergram Deux [Feat. Eminem]
  14. The Vow [Feat. Mad Squablz, J-S.A.N.D. and Don Pablito]

Beatz

All tracks produced by Q-Tip except tracks #4 by Q-Tip and Sona Jobarteh and #13 by Q-Tip and Eminem

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