Mobb Deep – The Infamous
Il Queensbridge rappresenta una tappa essenziale dell’evoluzione della Cultura Hip-Hop: dapprima parte in causa delle leggendarie Bridge Wars che videro protagonisti Mc Shan e KRS-One nella seconda metà degli anni ottanta, il luogo sarebbe prepotentemente tornato d’attualità nel decennio successivo per merito di Nas, che ne tradusse poeticamente la quotidianità plasmando i favolosi intarsi metrici di “Illmatic”. Di lì a poco, tuttavia, l’immaginario collettivo sarebbe stato fortemente scosso da due teenager esperti di tutto ciò che gravitava attorno alle famigerate Queensbridge Houses, due ragazzi che cercavano un nuovo slancio per una carriera partita senza il botto, i quali stavano per immettere sul mercato un disco capace di segnare profondamente un’epoca e stabilire dei trend che in molti avrebbero presto perseguito, prendendo New York di peso e restituendole il ruolo di polo attrattivo principale per un Hip-Hop che si nutriva sempre più del G-Funk marchiato west coast.
Per comprendere bene il valore effettivo di “The Infamous” dobbiamo difatti partire da tale considerazione e unirla ad altre non meno importanti, dato che il medagliere collezionato dall’album nei suoi ventidue anni di vita non finisce certo qui. Tappa obbligatoria per chiunque voglia iniziare o approfondire meglio la conoscenza dell’Hip-Hop, classico riverito dai veterani del gioco, fonte d’ispirazione per la nuova generazione di artisti – chi più ne ha, ne metta. I Mobb Deep produssero questa potente scossa tellurica tenendo testa a un mercato nel quale il numero di classici già presenti era a dir poco strepitoso, restituendo nel contempo lo scettro perduto alla east coast ascrivendo i nomi di Havoc e Prodigy al fianco del già citato Nas, del colossale Wu-Tang Clan, dell’indimenticato Biggie, inglobandoli così in un ristretto novero di artisti responsabile della più grande epoca che l’Hip-Hop abbia conosciuto.
La perfetta realizzazione di “The Infamous” vede germogliare le sue radici nel fallimento di “Juvenile Hell”, esordio le cui scarse vendite sfociarono nella bocciatura del duo da parte della 4th & B’way Records, instillando loro una forte spinta motivazionale nell’acquisire la maturità per non mancare una seconda opportunità in questo caso fornita da Steve Rifkind. Il boss della Loud Records si ritrovò dei ragazzi cresciuti mentalmente, anagraficamente – i timbri vocali erano ora definitivamente adulti – e soprattutto tecnicamente: Prodigy buttava fuori un carisma incontenibile generando una strofa memorabile di seguito all’altra, aggredendo il quadernetto delle rime quasi non ci fosse un domani; Havoc aveva altresì pulito il suo stile metrico ma più d’ogni altra cosa era sensibilmente progredito nel mettere mano al campionatore, tanto nel creare sezioni ritmiche secche e minimali quanto nel tagliare, ricomporre e insozzare sample attinti dal patrimonio black degli anni settanta, rendendoli spesso irriconoscibili e dando loro quel retrogusto di asprezza necessario per raccontare la vita violenta dei projects (esperienze vissute di prima mano) così come il turbinio di ossessioni che avvolgono un’esistenza in perenne fuga dal pericolo.
Benvenuti, o più correttamente bentornati, nei dintorni della 41st Side.
Raccontare di guerriglia urbana del tutto simile al Vietnam, giusto per parafrasare i Nostri, non era una novità neppure all’epoca, ma la differenza la fa e l’ha sempre fatta il metodo espositivo. E da questo punto di vista “The Infamous” non può che vincere a mani basse, perché è il concept che sta sotto alle tracce a rivelarsi vincente. Vedasi ad esempio un brano sacro come “Survival Of The Fittest”, che – oltre ad essere memorabile per come Havoc rende tetro il giro di piano – si rivela crudo e intelligente al tempo stesso per l’applicazione della teoria darwiniana alla vita di strada e alla necessità del gangsta di dover prendere decisioni senza disporre del tempo necessario per ponderarle, anteponendo a ogni cosa l’esigenza di giungere illesi al giorno successivo.
Oppure prendiamo “Temperature’s Rising”, che inquadra l’argomento della latitanza dalla legge, e pensiamo a come viene svolto, trasformando creativamente il testo in una lettera indirizzata al soggetto in fuga partendo da un episodio realmente accaduto (riguarda Killa Black, il fratello di Havoc), due strofe dov’è addirittura possibile percepire umori differenti nei confronti della medesima situazione. E ancora, “Trife Life”, all’interno della quale è determinante comprendere come uno stesso argomento possa essere letto da ottiche opposte mantenendo fermi i soggetti e la situazione, ma modificando significativamente l’ambientazione, fornendo peraltro una delle migliori prestazioni di un Prodigy in veste di storyteller dotato di notevole potenza descrittiva per come, in una sola strofa, riesce a far immaginare all’ascoltatore particolari come le tappe del trasferimento in metro, la composizione della propria crew e le sensazioni avvertite nei confronti di un’uscita dal quartiere verso un territorio ostile.
E’ un viaggiare a passo costante con la paranoia, con la paura di essere beccati da chi pattuglia il quartiere facendo attenzione che gli animali restino al proprio posto, confinati e lasciati a badare a loro stessi e a tutte le loro pessime ma necessarie attività, un vivere su un filo molto sottile, emozioni che passaggi come “Up North Trip” esplicano con particolare efficacia. Spesso, difatti, il disco richiama a sé nubi cariche di tensione pronte a riversarsi addosso a chiunque, una sensazione che uno degli apici della cupezza sonora dell’album, “Q.U. – Hectic”, riesce tangibilmente a trasmettere ben abbinandosi a un testo che esprime tutta l‘urgenza di affrettare la propria crescita (<<I open my eyes to the streets where I was raised as a man/and learned to use my hands for protection/in scuffles, throw all my blows in doubles/I’m coming from Queens motherfucker, carrying guns in couples>>). Di conseguenza, anche il solo accerchiare l’estraneo nel quartiere per depredarlo di ogni bene materiale non è più un fatto clamoroso così come potremmo interpretarlo dall’esterno, ma diviene l’assoluta normalità che costituisce il tema di brani come “Give Up The Goods”, la quale sopra ai vari elementi che compongono “That’s All Right With Me” di Easther Philips raccoglie parole scritte sulla pietra da neo-ventenni che non fanno altro che esprimere un senso di abbandono della speranza e uno scarso valore della vita che, costretti dalle circostanze, si portano dentro (<<the street life ain’t nothing to play with/no jokes no games kid for years I been doing the same shit/just drinking liquor, doing bids, extorting crack heads/and sticking up the stick-up kids>>).
Un altro valore di peso è senz’altro costituito dal lusso di poter ospitare parte della nobiltà newyorkese dell’epoca, mantenendo nel contempo al minimo le partecipazioni esterne di cui gode ad esempio l’ossessiva “Your Beef Is Mine”, nella quale Havoc e Prodigy formano uno spettacolare quartetto con Nas e Raekwon generando immaginari di crimine e lusso, discorso valido altresì per “Right Back At You” con il tandem più richiesto di quei tempi, la premiata ditta Rae & Ghost, la cui brevità della performance lascia intuire che una potenzialità come questa poteva forse essere sfruttata meglio, se non altro permettendo di concentrarsi sulla notevole fluidità e padronanza della prestazione di Big Noyd, una delle sorprese più piacevoli del disco. Q-Tip, personaggio tra i meno immaginabili in un contesto come questo, lascia invece il segno in una “Drink Away The Pain” che va a costituire l’unico momento di pausa dall’azione frenetica, un gioco di metafore che viene svolto con coerenza e originalità da tutte le parti coinvolte.
E siccome siamo fermamente convinti che le cose più belle vadano lasciate per ultime, chiudiamo inginocchiandoci dinanzi alla portata di “Shook Ones Pt. II” – anche se farlo ci costa un velo di tristezza, perché il primo piano di Prodigy nel fermo immagine che vedete sopra non fa altro che ricordarci quanto pesi la sua assenza ora che il male che l’ha sempre tormentato se l’è definitivamente portato via. Eppure, la sensazione di brivido che scorre lungo la schiena è ancora viva non appena le varie parti del brano fanno il loro separato ingresso: il primo attacco della batteria, lo spettrale sample tratto da “Kitty With The Bent Frame” di Quincy Jones (lo si sente pure in “Q.U. – Hectic”), le prime bordate vibranti di basso e infine quel leggendario campione di piano che in tanti hanno disperatamente cercato per anni (e solo recentemente è stato portato alla luce), rallentato e magistralmente flippato da Havoc, un insieme capace di creare uno dei beat più riconoscibili dell’intera storia dell’Hip-Hop.
Il ricordo di Prodigy non è certo racchiuso in questo brano, ma a nostro personale modo di pensare il suo lascito deve partire proprio da qui, da una strofa che ogni appassionato dovrebbe conoscere obbligatoriamente a memoria e il cui attacco iniziale rimane di indelebile fascino (<<I got you stuck off the realness, we be the infamous/you heard of us, official Queensbridge murderers/the Mobb comes equipped for warfare, beware/of my crime family who got ‘nough shots to share/for all of those who wanna profile and pose/rock you in your face, stab your brain with your nose bone>>), tanto quanto la conclusione resta credibilmente intimidatoria esattamente come lo è la traccia nella sua interezza (<<now take these words home and think it through/or the next rhyme I write might be about you>>), dando luogo a un pezzo che ha fatto scuola sin dal primo momento in cui è passato per l’etere della Rotten Apple.
Ma questa è solo una parte di un immenso classico senza tempo.
Tracklist
Mobb Deep – The Infamous (Loud Records 1995)
- The Start Of Your Ending (41st Side)
- [The Infamous Prelude]
- Survival Of The Fittest
- Eye For A Eye (Your Beef Is Mines) [Feat. Nas and Raekwon]
- [Just Step Prelude]
- Give Up The Goods (Just Step) [Feat. Big Noyd]
- Temperature’s Rising [Feat. Crystal Johnson]
- Up North Trip
- Trife Life
- Q.U. – Hectic
- Right Back At You [Feat. Ghostface Killer, Raekwon and Big Noyd]
- [The Grave Prelude]
- Cradle To The Grave
- Drink Away The Pain (Situations) [Feat. Q-Tip]
- Shook Ones Pt. II
- Party Over [Feat. Big Noyd]
Beatz
- Mobb Deep: 1, 3, 4, 8, 9, 10, 13, 15
- The Abstract: 6
- The Abstract with the co-production by Mobb Deep: 7, 14
- Mobb Deep with the co-production by Schott Free: 11
- Mobb Deep with the co-production by Matt Life: 16
Mistadave
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