EMINEM - ENCORE
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Reviewed by
DownWithHeraldry
VOTO (da 1 a 5)
:
3,5
Personalmente, potrei parlare di Eminem per venti ore. La prima cosa è che Eminem ha per base il nulla assoluto. Non può comunicare le storie e il linguaggio del ghetto, perché non viene dal ghetto, per lo meno non da quello afroamericano. Non parla certo delle tradizioni e dell'essenza occidentale, perché non è un conservatore o un WASP. Eminem è un nichilista white trash come solo la migliore periferia americana può mettere al mondo. Guardare le sue foto mi fa venir voglia di tornare a giocare a pallone in qualche sperduto campetto della periferia vestito Nike o Adidas, in mezzo a storie di comitive e prime ragazzate, circondati dai palazzi o dalle ville sempre uguali. Si può crescere in mezzo al nulla e essere lo stesso, o forse proprio per quello, sicuri di sé e determinati, come dice il suo sguardo. Eppure anche lui ha sbagliato qualcosa: non si va a San Remo dalla Carrà vestito da gelataio e, cosa molto più importante, non si fa un film per parlare di se stesso e non dell'Hip-Hop! Di considerazioni su Eminem potremmo farne a centinaia e si andrebbero ad aggiungere alle non poche già espresse. Parliamo piuttosto del disco, che è il quinto in assoluto e il quarto di successo mondiale. Intitolare un album "Encore" è un gesto commercialmente suicida, tanto più che la copertina richiama quella di "The Eminem Show", come a dire che lo show c'è già stato e ora se c'interessa ci ciucciamo il bis. Se l'obiettivo era vendere un po' di meno rispetto allo "Show", c'è riuscito, anche se ha venduto ugualmente un casino. "Encore" parte come un treno. Ritmato e dalla rapida cadenza, prima sfodera le atmosfere tese di "Evil Deeds", poi la più positiva ma altrettanto sostenuta "Never Enough". Si scorre abbastanza bene tra soldatini giocattolo e uomini della pioggia, con beat bumpable e rilassanti che si alternano in modo equilibrato. Si arriva così al singolo di punta, "Just Lose It", che nel modo di porsi ironico e sbracato ricorda un bel po' "Without Me"; pezzo gradevole ma ormai decisamente superato, quando un singolo passa troppo in radio, andarlo a riascoltare anni dopo fa strano. Addirittura una base dalle influenze etniche per "Ass Like That", ma Marshall non prende tanto sul serio il discorso e comincia a sproloquiare in un'inglese ruvido da immigrato mediorientale. "Mockingbird" è l'ennesimo pezzo tra il rilassante e il pacato, che segue la linea "Cleaning Up My Closet". Non posso non notare che siamo già al secondo pezzo che ha un brano gemello - sia per ritmo che atmosfere - nel disco precedente. In effetti, comporre con lo stampo e cioè tirar fuori dei singoli che si somiglino molto a cadenza bi- o tri-ennale è tipico di autori che vendono veramente tanto, pensiamo a Ligabue e Vasco Rossi o, per fare esempi internazionali, gli U2 e Lenny Kravitz; triste dirlo ma anche Eminem a quanto pare non fa eccezione. Questa praticamente unica critica che mi viene in mente è spazzata via da "Crazy In Love", una delle poche canzoni Rap che meriterebbe il premio per il miglior arrangiamento: il sample è pescato da "Crazy On You" degli Heart (1976) ma il tutto ha un'atmosfera molto attuale...ah, la tecnologia, geniale! Si arriva così senza scandali alla discreta titletrack, che chiude il disco. Il treno era un alta velocità ed ha fatto anche poche fermate. So che esiste la scuola di pensiero che sostiene che Eminem sia il beatmaker più scarso sulla terra e che il suo Rap non si differenzi da un metronomo per neutralità e freddezza; effettivamente mi riesce difficile contraddire chi la pensa così e queste caratteristiche alla lunga pesano. Ma riguardo a Marshall Mathers, più che l'analisi tecnica andrebbe fatta l'analisi del personaggio; se poi il disco suona bene, vuol dire che ci siamo. Che dire, anche sta volta non c'è male. |
TRACK LIST |
Eminem - Encore
(Interscope Records/Shady Records 2004)
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BEATZ |
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