Kool G Rap - Roots Of Evil
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Reviewed by
Mistadave
VOTO (da 1 a 5)
:
3,5/4
Kool G Rap. Solo a batterne il nome sulla tastiera partono immediati timori reverenziali, se non altro perché si parla di una divinità Hip-Hop in carne e ossa, un personaggio tra i rari capaci di prendere il gioco e trascinarlo a forza su un nuovo livello. Maestro indiscusso del racconto criminale in rima, Nathaniel Wilson negli anni è diventato il metro di paragone per l'eccellenza, un mc unico, capace di unire inventiva visiva, tecnica sublime e complicati incastri multisillabici riuscendo costantemente a dare senso compiuto alle sua storie, ovvero la combinazione più letale che si possa ottenere da un mc. Nel millenovecentonovantotto lo troviamo nel mezzo di un Hip-Hop che sta cambiando pelle, si stanno difatti affacciando sulla scena tanti dischi dall'appeal commerciale ma di discutibile qualità, l'Hip-Hop muove i primi passi verso la sua parziale trasformazione a fenomeno di massa e susseguente errata interpretazione, togliendo riconoscenza e visibilità ai veterani già affermati. E' un momento in cui G Rap ha già alle spalle tre ottimi dischi con l'ex socio Dj Polo e un eccellente esordio solista come "4, 5, 6", tutte opere che hanno sancito capacità liriche insuperabili e un'immaginazione tra le più fervide mai esistite in quest'ambito, dando vita ai suoi noti racconti di stampo mafioso, tematica onnipresente anche in "Roots Of Evil" ed ivi racchiusa in una serie di episodi legati ad azione frenetica, lealtà, pressione, vendetta e quintali di armi. Non è un lungometraggio, è una serie TV a puntate dove si esibiscono personaggi sempre differenti, tenuti uniti dal fondale criminoso in cui si muovono e dalle immagini (munizioni, sesso, bolidi, lusso) ispirate da questa particolare tematica. Non è nulla di nuovo in ambito Hip-Hop, ma la vera sfida è riuscire a portare il tutto su un piano per altri irraggiungibile, sfida che Kool G Rap in carriera ha sempre vinto a mani basse: chiunque sappia rappare e abbia visto una volta nella sua vita "Scarface" o "Il Padrino" è stato attirato una volta nella vita dal trasportarne i contenuti in rima, ma quanti sono riusciti a fare lo stesso mixando azione e attenzione maniacale per i dettagli? Se non vi viene in mente nessuno non siete certo impreparati, solo non esiste un altro mc in grado di scrivere ed esporre catapultando l'ascoltatore direttamente nel mezzo dell'azione, utilizzando peraltro strutture di rime dinnanzi alle quali non si ha alternativa se non quella di inchinarsi, ammettendo la propria manifesta inferiorità. Pezzi come "One Dark Night" descrivono minuziosamente la scena in corso passando da un fotogramma all'altro con la stessa velocità con cui G Rap spitta barre prive di ritornelli con dizione impeccabile ed è inutile cercare particolari schemi metrici, le rime sono ovunque, interne o esterne, e sono tutte multisillabiche, studiate appositamente per farne combaciare il numero di sillabe. "Hitman's Diary" vede il suo personaggio muoversi con esperienza nel portare a termine il compito sanguinario per cui è pagato, è magistrale nella creazione dei presupposti che conducono al finale e, sin dalle prime linee, preannuncia il fiume tecnico che sta per inondare ogni cosa, gli allacci che legano rainy and, Panamians, Iranians e numerosi altri termini del testo sono semplicemente sopraffini. Ogni episodio non lesina nella descrizione dei personaggi e dello scenario, capita di trovarsi tra le pallottole in qualche assolata parte del Sud America e sentirne il fischio passare a un millimetro ("Tekilla Sunrise"), figure storiche della malavita organizzata vengono mosse dal rapper come vere marionette a teatro ("Mobsta's"), concept track di livello eccelso diventano brevi film spezzati in più parti trasformandosi in nove minuti abbondanti di traccia che potrebbero tranquillamente sostituire un'entrata al cinema (i tre magistrali episodi di "A Thug's Love Story"). A livello testuale, "Roots Of Evil" non ha nulla da invidiare ai suoi classici predecessori, il problema dell'album è invece in una produzione a larghi tratti non soddisfacente, la quale non riesce a tenere neanche lontanamente testa all'eccellenza delle liriche. Lo sfondo musicale è volutamente teso, la maggioranza dei beat è composta su sample di archi ricavati dal Funk, scuri giri di piano, qualche chitarra, sintetizzatori minacciosi e un paio di virate verso temi di matrice ispanica, il tutto assemblato con lo scopo di congiungere la musica alla locazione dello scenario. A conti fatti, "Mobsta's" sembra l'unico pezzo in grado di ricreare certe atmosfere che permettevano a "4, 5, 6" di calare alcune tra le sue carte vincenti, "One Dark Night", "Foul Cats" ed "A Thug's Love Story" svolgono bene il loro compito di tenere alta la tensione corredando le fasi più concitate delle liriche, mentre "Da Heat" è l'unico episodio degno di nota del terzo finale del disco, ovvero la parte più deludente del progetto. Guardando altrove, ci si perde tra la mancanza di mordente sonoro ("Hitman's Diary", "Let The Games Begin"), composizioni fredde e kit di batteria insapori (la cruda "Home Sweet Funeral Home", che segnò il debutto in studio di un Papoose allora ventenne), revival anni settanta non troppo esaltanti ("Da Bosses Lady", un liricamente ben strutturato duetto con Camileone sopra a un sample delle Sister Sledge) e autoproduzioni che strizzano l'occhio ai trend del momento con risultati addirittura fallimentari ("Can't Stop The Shine", "Cannon Fire"). Non sarà mai ricordato come il miglior disco di Kool G Rap, ma ne testimonia uno stato di forma straordinario, un'opera dal punto di vista delle liriche quintessenziale dell'Hip-Hop cinematico. |
TRACK LIST |
Kool G Rap - Roots Of Evil
(Illstreet Records/Downlow Music 1998)
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BEATZ |
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