RUN-DMC - RAISING HELL
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Reviewed by
Mistadave
VOTO (da 1 a 5)
:
5
"Raising Hell" è una di quelle pietre miliari che vantano il fatto di essere entrate nella storia dalla porta principale, possedendo la rara caratteristica di aver rappresentato un punto di svolta addirittura per due generi musicali, l'Hip-Hop e il Rock, qui per la prima volta fusi assieme e resi coesistenti grazie ad un'innovazione capace di cambiare per sempre un rapporto diametralmente opposto solo in apparenza. "Raising Hell" non è grande solamente per il numero di unità che è riuscito a vendere, tanto meno perché rappresenta uno dei tanti clamorosi successi della storia dei Run-DMC, seppur pionieri in fatto di classifiche e rotazioni video per un genere allora semisconosciuto. E' grande perché è riuscito ad abbattere le barriere tra Rap, confinato nei quartieri meno abbienti, e mainstream, dandono accessibilità anche ad un pubblico di razza bianca, fortemente attratto da qualcosa che non aveva mai sentito prima. Ha dimostrato che schitarrate violente e scratch potevano coesistere, infischiandosene delle critiche dei puristi metallari, ed ha aperto un percorso crossover tutt'oggi seguito da gente come Everlast e Kid Rock, che senza dischi come questo non avrebbero il successo che hanno oggi. In "Raising Hell" il Rock si fa largo con prepotenza, grazie alla versatilità del leggendario produttore Rick Rubin, capace di mettere nello stesso studio (e video) il trio di Hollis con Steven Tyler e Joe Perry degli Aerosmith, mandando definitivamente in orbita la carriera degli uni e recuperando la fase discendente degli altri attraverso l'indistruttibile "Walk This Way", classico del medesimo livello di quella "It's Tricky" che strizza l'occhio alla "My Sharona" dei Knack. Il Rock si presenta anche nella sua forma più naturale, quella suonata, proseguendo i discorsi iniziati con "Rock Box" nella stessa "Raising Hell", dove Rubin imbraccia la chitarra elettrica per sostenerne i potenti riff sopra i quali le rime dell'odierno Reverendo Run e dell'occhialuto DMC diventano ancora più incisive ed aggressive. E' un disco da ricordare inoltre per la capacità di staccarsi dal prodotto Rap medio, fatto di basi sempre uguali e campioni minimali, attraverso la scelta di proporre sequenze di batteria più articolate (lo si deve a Sam Sever, altro storico produttore della Def Jam), puntualmente accompagnate dai precisi scratch di Jam Master Jay (R.I.P.), che diventano uno strumento musicale a sé stante, equiparando il concetto di dj ad una banda musicale al completo. Restano indimenticate tracce come "Peter Piper", inconfondibile con i suoi campanelli, campionati così tante volte in seguito da perderne il conto, l'inno "My Adidas", da sempre l'inno di tutti quei b-boy che hanno vissuto di persona l'era delle sneakers e dei kangols, nonché pezzi come la ruvida "Hit It Run" e quella "Is It Live" piena di percussioni programmate ma variegate, che come la maggior parte dei pezzi del gruppo mettono in fila ogni sucker che si presenti riferendosi costantemente alla superiorità del duo al microfono. Uno dei più grandi dischi che il Rap sia riuscito a regalare alla storia, ben al di là delle mere classifiche di vendita, che nell'opinione di chi scrive mai saranno un idoneo metro di giudizio per stabilire il successo di un'opera musicale. |
TRACK LIST |
Run-DMC -
Raising Hell
(Profile Records 1986)
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BEATZ |
All tracks produced by Rick Rubin and Russell Simmons with the co-production by Jason Mizell and Joseph Simmons |
SCRATCH |
All cutz by Jam Master Jay |