Vinnie Paz - God Of The Serengeti
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Reviewed by
Mistadave
VOTO (da 1 a 5)
:
4
In seguito ai successi registrati con Jedi Mind Tricks, Army Of The Pharaohs e prima della fruttuosa compartecipazione negli Heavy Metal Kings, Vinnie Paz aveva avuto modo di registrare il suo primo album solista, uno dei lavori più interessanti del duemiladieci. "Season Of The Assassin" aveva mischiato brutalità e introspezione con sagacia, offrendo una permanente attitudine incapace di percorrere mezze vie, caratteristiche che i fan più dediti del rapper di Philadelphia dal sangue siculo desideravano vedere ripetute nell'atteso seguito, "God Of The Serengeti". Non è più una notizia che il Pazienza riesca a colpire forte anche senza la necessità di modificare minimamente il suo stile, segno che il suo appeal continua ad essere contagioso e che le sue tematiche fatte di torture, armi, citazioni pugilistiche, rivisitazioni di fatti storici e disquisizioni religiose non smettono di raccogliere consensi positivi. Che il disco stesse riuscendo bene lo si era intuito dall'antipasto costituito da "Cheesesteaks", traccia dai tratti autobiografici sviluppata sopra una perla di base fornita da Psycho Les dei Beatnuts, bravo a intrecciare piano e violino creando un'atmosfera inusuale per il rapper, e da "7 Fires Of Prophecy", un aggressivo uno/due con il gigante del Queens, Tragedy Khadafi, la cui combattività era parsa ideale compagna di viaggio per le propensioni poco amichevoli di Paz. Il fatto che il risultato finale sia poi stato consono alle previsioni è attestato dalla presenza di diciotto tracce totali per oltre settanta minuti di bastonate che filano via lisce, una collezione di pezzi che richiamano alle armi una lunga schiera di leggende, sia al microfono che alle macchine, le quali affiancano l'attore principale fornendogli contributi di pregio e suoni che, di tanto in tanto, fanno una capatina fuori dai canoni (è il caso dello stampo West di "Problem Solver"), ma che hanno sempre la potenza quale costante. Dj Premier non si scomoda mai a caso e, semmai avesse voluto simbolicamente rispondere a chi sostiene che la sua discesa è irreversibile, allora "The Oracle" rappresenta lo strumento ideale per farlo: base corrosiva, densa di bassi, classico ritornello su scratch e zio Vinnie a cavalcare molto bene il beat sono gli ingredienti che fanno spiccare il volo a questo più che azzeccato singolo, buon esempio seguito dal sempre ottimo Marco Polo, il quale sfodera il meglio del suo digging per armare Vinnie e un Blaq Poet in particolare forma, mettendoci quel pepe nel ritornello che completa degnamente l'opera attraverso un sample degli Onyx. Altri passaggi di qualità si susseguono in "And Your Blood Will Blot Out The Sun", che sa di apocalittico anche grazie alla possente strofa di Immortal Technique, in "Last Breath", che cita Big Pun e vede collaborare il figlio Chris Rivers, e soprattutto in "Battle Hymn", ennesima eccellente ricomposizione degli Army Of The Pharaohs dove sarebbero numerosi i passi da menzionare - su tutti la proprietà di linguaggio di Apathy e i giochi di parole di Celph Titled - e per la quale Mr. Green mescola un ossessivo break di batteria con il basso giusto e un campione scarno per ricostituire un'atmosfera mid-nineties. Lo stile rude del rapper collima, come sempre, coi richiami epici di "Cold, Dark And Empty", un po' penalizzata da un chiassoso Smoke, nonché col taglio cinematografico di "Slum Chemist", firmata da un più che ispirato C-Lance, il cui violino arabo riporta direttamente all'immagine di copertina. La conclusiva "You Can't Be Neutral On A Moving Train" potrebbe essere uno dei migliori pezzi scritti in carriera da Vinnie, che senza l'ausilio di un ritornello racconta, avvalendosi di numerose citazioni storiche, di come l'America sia controversa proprio come a suo tempo lo fu la sua scoperta, enunciando barre senza pausa alcuna sopra a una composizione a quattro mani che muta il suono della tastiera ogni volta che l'argomento cambia. I molteplici ospiti coinvolti da Paz compiono egregiamente il proprio dovere, in particolar modo veterani come Scarface e Kool G Rap sono tra i più adatti a inserirsi in questi contesti ad alto tasso di violenza lirica, l'accoppiata con R.A. The Rugged Man, che polverizza qualsiasi cosa con la sua metrica devastante, è già da tempo collaudata, così come l'abbinamento a Ill Bill e Slaine su un beat spaziale di Havoc. E, a proposito, i Mobb Deep sono sorprendentemente assieme in "Duel To The Death", dando vita a una delle ultime tracce che potremmo aver sentito dal leggendario duo del Queensbridge, la cui base è offerta da uno Stu Bangas poco fantasioso a livello di strumentazione. Nonostante le numerose assistenze dall'esterno, Vinnie Paz regala un'altra performance complessivamente molto soddisfacente, che fornisce accoppiamenti multisillabici duraturi anche se non eccessivamente complessi, gli schemi metrici tendono infatti a ripetersi e la ricerca dei termini per congiungere i versi risulta saltuariamente forzata. Lui, ciò nondimeno, compensa con un carisma ineguagliabile che libera con la stessa potenza di un gancio devastante e con la sua oramai canonica figura di dissidente avverso a tutto ciò che risulta fuorviante e plastificato, avvalendosi di muri sonori sempre impeccabili nel rispecchiarne la burbera personalità, elementi che fanno di "God Of The Serengeti", oltre ad una di quelle uscite hardcore da non perdere assolutamente, un altro tassello di una discografia di indiscutibile rilevanza. |
TRACK LIST |
Vinnie Paz - God Of The Serengeti
(Pazmanian Devil Music 2012)
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BEATZ |
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SCRATCH |
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