Whodini - Back In Black
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Reviewed by
Mistadave
VOTO (da 1 a 5)
:
4
Anno 1984. Il momento di transizione dalla old alla new school porta con sé cambiamenti radicali, si passa dalle prime forme di registrazione a un'evoluzione delle tecniche Rap, l'Hip Hop si è già portato fuori dalla circoscrizione newyorkese, muovendo i primi passi pure a livello globale. Un'espansione, questa, resa possibile dall'ascesa di artisti come i Whodini, che dopo aver partecipato a manifestazioni leggendarie come il Fresh Fest, un tour che girava gli Stati Uniti affiancando loro nomi quali Run-DMC, Fat Boys ed LL Cool J, furono tra i primi ad attraversare l'oceano toccando varie tappe europee, su tutte l'Inghilterra, avvalendosi della fama già raccolta attraverso due album molto importanti, l'eponimo "Whodini" e il classico "Escape". L'uscita di "Back In Black" rappresenta la chiusura del quadriennio di attività più intenso del trio formato dagli mc's Ecstasy (John Fletcher) e Jalil Hutchins, nonché dal dj Grandmaster Dee (Drew Carter), ed offre esplorazioni musicali allora nuove, abbinandole ad arrangiamenti vicini al Pop pur ripercorrendo tratti di quella strada già indicata dal successo dei suoi due predecessori e, pur senza presentarne la stessa freschezza tematica, non è certo meno memorabile. Il principale responsabile del sound Whodini era il compianto e geniale Larry Smith - colui che forgiò il suono dei primi Run-DMC! - abile nel reperire quel costante bilanciamento tra l'accessibilità musicale (precisazione: accessibilità intesa come bisogno di farsi sentire da più persone, non di svendersi) e l'esigenza di mantenersi originali e credibili senza perdere di vista la propria natura di strada. Allora i Whodini avevano già vissuto enormi successi grazie ad hit come "Magic's Wand", "The Freaks Come Out At Night" e "5 Minutes Of Funk", e qui non fanno altro che produrne di nuove. L'inizio è di quelli col botto, "Funky Beat" esplode dal primo secondo in cui synth e batterie cominciano il loro incessante martellamento, rivelando una struttura classica, ovvero strofe divise a metà tra i due mc's, rime baciate e sempre poste in fondo alla barra, liriche di autoesaltazione che fanno risaltare l'importanza del concetto di Maestro di Cerimonia. Uno dei pezzi forti del repertorio whodiniano? Testo impegnato e ritornello cantato, non a caso il sentiero battuto da "One Love" e "Growing Up", la prima un inno politicamente corretto alla fedeltà, addolcito da tocchi di pianoforte e melodie sintetizzate che si mescolano ai tradizionali clap in voga all'epoca, la seconda atta a proporre il trio quale modello da seguire per i più giovani onde prevenire guai, avvalendosi della precisa melodia di basso creato attraverso le tastiere e su cui si modella tutto il resto. Nonostante i buoni propositi e l'eleganza stilistico/scenica, il trio sapeva bene come creare controversia, da qui un altro super-classico come "I'm A Ho", la quale contiene le combinazioni di liriche più divertenti e irriverenti del disco, distinguendosi per la decisione di far rimare Jalil ed Ecstasy in maniera sovrapposta, con un ritornello impossibile da far uscire dalla testa. L'enorme creatività musicale di Larry Smith è qui tale da creare i primi intersechi tra Hip-Hop e Rock, d'altro canto era una formula già da lui utilizzata con i Run-DMC e qui i Whodini ne propongono attraverso l'intensa "Fugitive" la loro versione, la chitarra elettrica scolpisce con precisione la sezione ritmica prima di liberare gli assoli tra le strofe e i due rapper suonano compatti come non mai in particolare nella penultima parte, dove il cambio di microfono ad ogni quarta barra mette in evidenza l'astuto intreccio lirico tra un brag e l'altro (<<My name's Whodini but I ain't no magician>>). Le intuizioni di Smith usavano utilizzare in più di un'occasione delle rielaborazioni di noti jingle ed è così che "How Dare You" trasforma il motivo della marcia funebre in un'auto-celebrazione della fama dei tre, raggiungendo il top quando vengono mollate stilettate inerenti al contesto storico (<<The next time you open up your fan club letter/it just might say that Whodini rocks better>>). Rimanendo tra usi e consuetudini dell'epoca, "Echo Scratch" vede gli mc's dedicare un testo alle doti tecniche di Grandmaster Dee sopra un assembramento di clap, effetti echo e synth futuristici, mentre la parte conclusiva del lavoro porta un minimo d'introspezione, "Last Night (I Had A Long Talk With Myself)" propone un arrangiamento molto Pop sul quale il flow è sciolto e il controllo del fiato è ottimale, infine "The Good Part" gioca bene col titolo assegnandovi differenti significati e chiude il disco con una piccola punta amara (<<Because I don't believe there is a good part/'cause I've been searching and lurchin lookin real good/'cause if there is a good part it ain't in my neighborhood>>), quasi a sottolineare che, nonostante il successo, c'era sempre qualche problema di cui preoccuparsi. "Back In Black" è un pezzo di fondamentale importanza nella composizione di quel puzzle nostalgico che dava all'Hip-Hop una forma di semplice divertimento, fornendo nel contempo rivoluzione ed aggregazione, un momento dove le grandi feste dei parchi erano traslate con successo nei dischi ed era tacitamente vietato copiare i metodi degli altri. Aggiungiamoci che i Whodini possedevano non quintali, ma tonnellate di stile e tutti i conti tornano. Una doverosa recensione dedicata a un gruppo non sempre adeguatamente ricordato, che ha in ogni caso scritto di proprio pugno gloriosi tratti di storia Hip-Hop nella sua pur breve permanenza all'apice dei giochi. |
TRACK LIST |
Whodini - Back In Black
(Zomba Productions/Jive/Arista Records 1986)
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BEATZ |
All tracks produced by Larry Smith except tracks #8 co-produced by Brian "Chuck" New and Whodini, #10d by Conny Plank and #10f by Thomas Dolby |
SCRATCH |
All scratches by Grandmaster Dee |