Phat Kat & Dj Dister – The S.O.S. Project
Avevamo captato per la prima volta il nome del tedesco Dj Dister in occasione della pubblicazione del suo “Roll Wit Dis”, un producer album che non aveva molte pretese se non quella di unire l’oramai solita schiera di mc’s veterani in cerca di ulteriori bagliori di gloria ai protagonisti della scena più attuale, ottenendo di certo la soddisfazione per aver lavorato con nomi da sogno ma senza averne ricavato un prodotto che riuscisse a distinguersi per originalità rispetto ai numerosi che da tempo hanno intasato il mercato. Phat Kat, o se preferite Ronnie Euro, non ha invece necessità di essere presentato a chi conosce approfonditamente la realtà Hip-Hop di Detroit, essendo ben noto per aver formato il suo primo gruppetto in compagnia del compianto J Dilla (1st Down) e per un’attività che – per quanto non sempre continua – arriva a superare le due decadi di durata.
Le idee di fondo di quest’abbinamento non sono differenti da quanto appena detto. Parte del titolo suggerisce già tutto, “The S.O.S. Project” – dove l’acronimo S.O.S. sta per so old school – sottintende la duplice intenzione di voler sottolineare la propria integrità nel medesimo momento in cui il real Hip-Hop richiede a gran voce il proprio salvataggio. Nulla di particolarmente distintivo, proprio come il disco nella sua complessità, tenuto conto del fatto che il lavoro alle macchine conferma i limiti della varietà d’idee elaborate da Dister e che il vero sostegno dell’album deriva dall’esperienza nella tenuta del microfono da parte di Phat Kat, il quale offre una performance complessivamente pulita pur senza toccare vette eclatanti, mettendo assieme carisma, la consueta ruvidezza vocale e una corretta dose di vizioso wordplay disseminato qua e là da buona vecchia volpe del giro – questi ultimi aspetti determinanti nel far toccare la sufficienza al progetto.
Per accorgersene basta concentrarsi sui due pezzi d’apertura. “S.O.S.” promette fiamme col suo campionare una nota (e inflazionata) linea vocale di Cube (<<drop a old school beat>>), tuttavia pare poco utile effettuare richiami illustri se poi il beat che ne consegue è quanto di più flemmatico si possa riuscire a concepire. E’ una sensazione insipida, di vuoto, che viene replicata con dovizia di particolari pure da “Revolt For Change”, ove le batterie non trasmettono potenza, i bassi sono a dir poco pallidi (caratteristica riscontrabile in tutto l’album) e gli elementi a corredo più che prevedibili (si chiude scratchando “Fuck Tha Police”: olè!). L’anonimato musicale permette così di concentrarsi su un Rap che evidenzia la generica mancanza di verve dell’mc nei casi appena citati, dove la tematica avrebbe permesso e premesso ottimi risultati purtroppo compromessi dalla mancanza d’aggressività in fase d’esecuzione; e per quanto le strofe siano ben allestite è difficile evitare di notare qualche lieve ma percettibile problema nella distribuzione del respiro in una manciata di linee, accompagnato da alcune riprese di fiato ai limiti del cinghialesco.
L’apparato musicale non fornisce alcun tipo d’energia se non a partire da “The Monument”, davvero ben fatta: qui la batteria picchia finalmente come deve, il giochino d’intreccio delle tastiere funziona davvero bene creando una loop melodico e attraente, così pure la prestazione lirica risulta meno affannata, creando una traccia significativa delle potenzialità cui questa collaborazione avrebbe potuto ambire. Il testo esegue bene il suo lavoro trasmettendo un senso misto di nostalgia e dispiacere per aver vissuto inceppamenti assortiti di carriera nel momento stesso in cui l’underground viveva la sua spinta espositiva più grande, pur senza tecnicismi di particolare complessità il tutto suona gradevole e conferma la personalità di Phat Kat quale elemento essenziale del lavoro.
Difatti, laddove quest’ultimo fornisce piccole perle figurative (props per aver inserito Verne Lundquist in una rima, nota a parte per chi conosce bene il College Football), Dister pare non aver compreso la necessità di distinguersi dalla media come attestato dal collage di sample old school misti a scratch inseriti in “Shots” (schema che ritroviamo nei tre quarti dei dischi di questo tipo), in un pezzo peraltro ancora insapore, organizzato con poca fantasia nello sviluppo delle batterie e privo di sample realmente infettivi. “The City”, uno dei tre brani strumentali, è una manciata di note di synth effettati a mò di xylofono per cui non vale la pena esercitare lo strappo del cuoio capelluto; e poi diciamocelo chiaramente, quante altre volte si è già sentito un giro di piano analogo a quello offerto in “Storm”?
Fortunatamente, quest’assenza di fantasia è affievolita da intuizioni felici come quelle di “Jazz”, che campiona un contrabbasso abbinandolo a un piano dal quale sembra appena stata soffiata via la polvere, oppure dalla melodia sprigionata da piano e flauto nella rinfrescante “D.F.W.M.”. Questo tratto conclusivo del disco corrisponde a ciò che di più consistente si possa qui trovare, un momento in cui Phat Kat coglie altresì l’occasione per confrontarsi con qualche ospite esterno gestendosi nella media tra autoreferenze da pezzo grosso e riferimenti al solito assortimento di armi e scazzottate: ne emerge una notevole scorrevolezza del flow da parte di La Peace, che a parere personale sovrasta anche l’attore principale, mentre assolutamente dimenticabile è la prova di un A Minus che sembra un incrocio mal riuscito tra Sick Jacken e B-Real.
Si tratta, tuttavia, di scosse poco significative, che non riescono ad evitare all’ascoltatore il supplizio di affrontare troppo spesso quel sentore di né carne, né pesce, lasciando che il disco resti ben ancorato ai suoi difetti.
Tracklist
Phat Kat & DJ Dister – The S.O.S. Project (Below System Records 2017)
- S.O.S. (So Old School)
- Revolt For Change
- Smoke (Instrumental)
- The Monument [Feat. Dj Dez]
- Shots
- The City (Instrumental)
- Storm
- Jazz (Instrumental)
- D.F.W.M. [Feat. A Minus]
- W.T.N. [Feat. La Peace and Ron D]
Beatz
All tracks produced by Dj Dister
Scratch
All scratches by Dj Ease
Mistadave
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