Prodigy – Return Of The Mac
Ci sono diverse cose per le quali il 2017 verrà, nel bene e nel male, impresso a forza nel grande libro della Storia. Una di queste – almeno per voi che vi apprestate a leggere le righe di seguito – è sicuramente la scomparsa avvenuta poco più di un mese fa di Prodigy, che dopo anni di lotta ha dovuto cedere a quel male che l’ha accompagnato sin dalla nascita. Senza di lui l’Hip-Hop ha perso una voce imprescindibile – e non mi riferisco solo ai classici. Senza tener conto, per un istante, del peso specifico di “The Infamous”, di “Hell On Earth” o del mai celebrato a sufficienza “H.N.I.C.”, le rime di Prodigy andavano ben oltre. Non lo dico io, lo dicono quei numeri che, a differenza di uomini e donne, non sono soliti perdersi in fandonie. Se vi fate un giretto su WhoSampled.com tutto sarà più chiaro: in lista ci sono almeno 680 campionamenti a brani dei Mobb Deep e quasi 90 provenienti dai suoi brani da solista. E non stiamo tenendo conto delle migliaia di dj che, per impressionare gli amici o durante un contest, ne hanno graffiato la voce, così come delle centinaia di rapper che hanno citato una sua rima sui loro quaderni. Capite dove voglio arrivare? Nell’Hip-Hop la voce – letteralmente – di Prodigy era ovunque.
“Return Of The Mac”, pur non rappresentando una delle punte di diamante assolute della sua ricca discografia, è tra le sue opere più significative. Ratificato il sodalizio con Alchemist, già artefice di “Keep It Thoro” e “Veteran’s Memorial”, Prodigy ha saputo riemergere dal tratto più in ombra del suo percorso, segregato infine in quel limbo artistico targato G-Unit che l’ha danneggiato più di quanto non avessero fatto gli schiaffoni di Jigga alla Summer Jam del 2001. A riprova del fatto che la penna (e, soprattutto, i contratti su cui la poggi) spesso ferisce più della spada.
Le immagini sinistre di “Mac 10 Handle”, introdotte da una citazione horror d’autore firmata Geto Boys, spazzarono via all’istante l’overdose di colori e lustrini che stava soffocando il duo del Queens durante la permanenza alla corte di 50 Cent. Per la grande occasione, l’Alchimista drenò la linfa di “Easin’ In” di Edwin Starr, distillando una vischiosa miscela che sembrava letteralmente colare da quelle quattro pareti che osservano il narratore intento a dialogare con la propria paranoia (<<I’m paranoid and it’s not the weed/in my rearview mirror each car they follow me/so I bust rights and lefts, lefts and rights/’til I stop seeing those Impala headlights/then I circle my block to make sure it’s smooth/before I go upstairs to my four corner room>>) come ai bei tempi, quando insieme al socio Havoc spalancava sulla terra i portoni dell’averno.
In “Stuck On You”, probabilmente il brano meglio prodotto del disco, Prodigy glorifica la sacra trinità del ghetto – donne, armi e pecunia – rimescolando le carte in tavola fino a incrociare metafore che svelano così la loro natura palindroma (<<you know we like, phatties with size/’lil cutie pies/with the nightstands walk/and bodies that talk/make niggas dig deep until they barrel the game/and pull out somethin’ that’ll definitely gettin’ to her brain>>). Qui l’intesa con Alchemist, al costo di sfiorare il blasfemo, ha poco da invidiare a quella che legava P al suo famigerato yang, pur fondandosi su un equilibrio completamente opposto. La New York tinteggiata dal produttore di Beverly Hills è meno tenebrosa rispetto a quella ritratta da Havoc, ma anche il più solare dei beat non può che arrendersi alle ombre minacciose proiettate dall’head nigga in charge attraverso le proprie liriche. “Take It To The Top” (prodotta dal giapponese Dj Muro) è una passerella trionfale imbrattata di emoglobine; “The Rotten Apple” imbottiglia nel suo vetro crepuscolare i colori di quella violenza che è parte della città che non dorme mai tanto quanto lo sono i taxi gialli e le uova alla Benedict; e “7th Heaven”, con il gregario Un Pacino, richiama per qualche istante il suono granitico dell’asfalto del 41st side del Queens.
Infine, c’è un ultimo tassello della storia che è doveroso menzionare. Dai racconti dell’adolescenza, trascorsa tra gli studi alla cosiddetta school of hard knocks e il mito di riuscire un giorno nell’impresa di emulare le gesta di LL Cool J e dei Run-DMC, alla concretizzazione di un sogno che non ha però saputo esorcizzare i propri fantasmi (<<and my pops ain’t here now, that nigga deceased/and that being said, how you gonna son me/niggas bodied JMJ right there in Queens/goes to show, there’s no respect for the O.G.s>>), oggi “Legends” assume infatti un significato tutto nuovo, che va oltre il disco. Quasi fosse una profezia, che Prodigy ha saputo realizzare nel suo ultimo istante: <<gangstas don’t die, we just turn to legends>>.
Ai tempi c’era chi sosteneva che fosse finito. Che quello di “Return Of The Mac” fosse la conferma di un Prodigy oramai scarico, incapace di affettare i beat come ai tempi di “Shook Ones” e “G.O.D. Pt. III”: sostanzialmente un rapper sulla via del tramonto. Molte le reazioni tiepide. Le ricordo bene. Ma ero convinto che si trattasse di un fuoco lento, destinato ad alimentarsi col passare del tempo. E oggi lo posso dire: è bello aver ragione.
R.I.P.
Tracklist
Prodigy – Return Of The Mac (Koch Records 2007)
- The Mac Is Back Intro
- Return of The Mac (aka New York S***)
- Stuck On You
- Mac 10 Handle
- Down & Out In New York City
- The Rotten Apple
- Madge Speaks [Feat. Madgesty]
- Take It To The Top
- P. Speaks
- 7th Heaven [Feat. Un Pacino]
- Bang On ‘Em
- Nickel And A Nail
- Legends
- Stop Fronting
Beatz
All tracks produced by The Alchemist except tracks #1 and #8 by Dj Muro
li9uidsnake
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