Pusha T – My Name Is My Name
All’interno del panorama musicale, per fortuna, esistono differenti vie da poter seguire. Un genere, in particolare, ha attirato la mia attenzione negli ultimi mesi, inclassificabile e che potremmo catalogare sotto il simpatico appellativo di musica ignorante. La motivazione di tale definizione è da ricercarsi in quelle produzioni capaci di entrarti in testa sin dal primo ascolto, nei ritornelli di facile presa o ancora nelle tematiche leggere ma al tempo stesso così intriganti per noi dall’altra parte dell’oceano. Ok, mainstream e commerciale sono i due termini più comuni che combaciano con la descrizione precedente, ma oramai sono talmente abusati da divenire persino fastidiosi; se associati poi a un album, danno l’idea di qualcosa da evitare senza indugio.
Diversamente da come si potrebbe immaginare, il prodotto in questione non mira invece a conquistare quel riscontro mediatico spesso premeditato nelle uscite della scena Hip-Hop più esposta, né tantomeno a imporsi nelle classifiche: <<I sold more dope than I sold records, you niggas sold records, never sold dope>>, citazione che mi stampa ogni volta un sorrisetto se penso che fa da apripista a un brano con Rick Ross e il non accreditato Kanye West. L’ingresso nel roster della GOOD Music e, di conseguenza, nel giro dei nomi più blasonati, si è rivelata la scelta più adatta per Pusha T, riuscendo sotto l’ala protettiva di West a guadagnare quella visibilità mai raggiunta durante l’esistenza del duo Clipse, composto assieme al fratello (No) Malice.
A partire dal titolo, chiaro riferimento alla scena in cui al gangster Marlo Stanfield viene riferito che qualcuno ha osato pronunciare il suo nome nelle strade, s’intuiscono le intenzioni dell’mc di voler chiamare in causa tutta la sua street credibility per raccontare il proprio passato legato al mondo del traffico di droga. Niente finzioni, niente clamori e glamour dell’Hip-Hop moderno, traccia dopo traccia sarete pervasi dal desiderio di arruolarvi nella gang del vostro quartiere, anche se in fondo l’unica polverina bianca che avete mai maneggiato è lo zucchero a velo del pandoro. Ora, soffermandoci sulla qualità musicale e tralasciando in secondo piano il personaggio, i momenti da ricordare sono davvero pochi. L’introduttiva “King Push” ricalca il sound minimalista Industrial di “Yeezus”, dove il nostro giustifica così le tante collaborazioni: <<I’m King Push, this King Push, I rap nigga ‘bout trap niggas, I don’t sing hooks>>. E in effetti la gran parte delle collaborazioni viene impiegata nei ritornelli (ben dodici, tanti quanti il numero di brani complessivi!), mentre i featuring prettamente Rap non aggiungono nulla di particolare e imperdibile.
Tranne per l’ormai solito fenomeno Lamar, nella pregevolissima “Nosetalgia”, in cui entrambi sfornano due versi travolgenti, manco a dirlo, sullo spaccio. Ma non quello dove la mamma compra le tue merendine preferite o i suoi vestiti firmati scontati. Il mood criminale del brano è accompagnato da un beat martellante a opera di Nottz e West, secondo solo al viaggio sonoro concessoci dal singolone “Numbers On The Boards”: qui sua divinità West (coadiuvato da Don Cannon e 88-Keys), invischiato sempre più nei suoi nuovi orizzonti, ci regala un loop statico e irresistibile che si blocca così, a mezz’aria, risparmiandoci una sicura frattura al collo – grazie Jigga. Tornando a quanto detto prima, il numero così consistente di ospiti non è motivo di critica a priori, il problema si pone invece dal momento in cui, nella maggior parte dei casi, questi offrono una performance non all’altezza, rigorosamente oscurati dal flow robusto e dallo stile del protagonista. Impedendo di fatto a “My Name Is My Name” di decollare.
Non tutto, però, è da dimenticare. Rimangono apprezzabili, quantomeno su un livello medio, tracce come “Let Me Love You”, “Pain” e la conclusiva “S.N.I.T.C.H.” (acronimo di sorry nigga, I’m tryna come home); per il resto, è il più classico dei lavori su major a stelle e strisce. Insomma, se avete uno spirito ignorante (vedi sopra), dunque siete in grado di sorvolare su ogni tipo di pregiudizio, solo allora potrete dare una minima chance a questo disco. Senza particolare attenzione, sia chiaro, in mezzo al traffico mentre torni dal lavoro o magari mentre fuggi con una partita di coca inseguito dalla Polizia. Ok, forse non ti è mai capitato, ma a Pusha sì. E alla fine è questo che conta.
Tracklist
Pusha T – My Name Is My Name (GOOD Music/Def Jam Recordings 2013)
- King Push
- Numbers On The Boards
- Sweet Serenade [Feat. Chris Brown]
- Hold On [Feat. Rick Ross]
- Suicide [Feat. Ab-Liva]
- 40 Acres [Feat. The-Dream]
- No Regrets [Feat. Kevin Cossom and Jeezy]
- Let Me Love You [Feat. Kelly Rowland]
- Who I Am [Feat. 2 Chainz and Big Sean]
- Nosetalgia [Feat. Kendrick Lamar]
- Pain [Feat. Future]
- S.N.I.T.C.H. [Feat. Pharrell Williams]
Beatz
- Kanye West and Sebastian Sartor: 1
- Don Cannon and Kanye West with the additional production by Charles M. Njapa aka 88-Keys: 2
- Swizz Beatz with the additional production by Kanye West: 3
- Hudson Mohawke and Kanye West: 4
- Pharrell Williams: 5
- Rico Beats and Terius “The-Dream” Nash: 6
- Hudson Mohawke with the co-production by Bobby “Beewirks” Yewah: 7
- Terius “The-Dream” Nash with the additional production by Glass John: 8
- Kanye West and Mano: 9
- Kanye West and Nottz with the additional production by Twilite Tone: 10
- Kanye West with the co-production by No I.D.: 11
- Mike Larson: 12
Gabriel
Ultimi post di Gabriel (vedi tutti)
- Rozewood – The Ghost Of Radio Raheem - 27 Settembre 2014
- J. Cole – Born Sinner - 17 Aprile 2014
- Kanye West – The College Dropout - 5 Aprile 2014