Rakim – G.O.D.s Network (Reb7rth)
Chiunque avesse avvertito puzza di bruciato da ragionevole distanza, ha vinto la propria scommessa in pieno… Nonostante i quindici anni trascorsi da “The Seventh Seal”, opera di per sé tutt’altro che memorabile, l’eccitazione innescata dal vocio di un possibile ritorno di The God Mc rimaneva pur sempre tangibile, un po’ per la caratura dorata che avvolge da sempre l’intoccabile aura del personaggio e che non perdiamo nemmeno tempo a spiegare, un po’ per l’affezione a quella vecchia scuola il cui insegnamento ha rappresentato un valore immenso per i baldi giovanotti d’oggi, infine perché…be’…Rakim Allah è a prescindere una figura che viene naturale abbinare a una sorta di divinità del microfono e, quando rientra in scena, sembra poter mettere ordine nel caos grazie a poteri lirici al limite del sovrannaturale.
Tuttavia, a maggior ragione se si è profondamente consci di rivestire i meritati panni di mito vivente, si dovrebbe se non altro saper fare del marketing astuto sì, ma pure coerente nei propri riguardi e verso quelli dell’artform stessa, che in particolar modo ai tempi degli esordi di William Griffin in compagnia di Eric B. aveva vissuto un’epoca nella quale la lealtà verso il gioco occupava lo stesso ordine di grandezza del potersi esibire solo se si possedeva un congruo talento. Tutto il fumoso clamore generato dalla notizia della pubblicazione di “G.O.D.s Network (Reb7rth)” si è invece semplicemente rivelato fuorviante e, diciamolo, perfino un tantino vergognoso, in particolare se legato a un nome così evocativo nella geografia globale del Rap.
Quello che le anticipazioni descrivevano come il nuovo album di Rakim è tutto, eccetto ciò che era stato annunciato dovesse essere. Troppi cambi in corsa durante la fase progettuale non hanno certo apportato benefici all’operazione, la confusione ha regnato sovrana, il rilascio dell’esigua tracklist aveva già fatto presagire il peggio e chi aveva effettuato il pre-order della sua bella copia fisica da collezione ha sostanzialmente scoperto di aver gettato al vento i suoi denari. La storia è questa, la sintetizziamo per motivi di spazio ma, per dovere di cronaca (e della comprensione di come si sia giunti a un tale pasticcio), eccola servita: Matt “M80” Markoff è il nome chiave della faccenda, in qualità di A&R nonché stretto conoscente del manager di Rakim, Matt Kemp, col quale aveva stretto un accordo per pubblicare un EP con qualche remix, laddove Ra avrebbe dovuto collaborare con Dj Premier, Pete Rock e 9th Wonder, facendo uscire tutto per Fat Beats. Nulla di fatto. Quindi entra in scena Jazzy Jeff, l’intesa c’è ma il progetto si ferma dopo una manciata di tracce e viene rimandato; il rapper comincia allora a produrre e, attraverso Markoff, pensa di mettere a disposizione i suoi beat per chiunque li desideri, dentro o fuori i confini statunitensi poco importa. Secondo loro il materiale è buono, Rakim ci ripensa e vuole tenerlo per sé, così Markoff decide di chiamare i migliori rapper che gestisce o di cui detiene i diritti delle registrazioni.
Quattro anni più tardi – questo il tempo necessario per offrire al pubblico ciò che abbiamo ascoltato oggi – ecco il risultato degli sforzi del Rakim produttore, che appare in due delle sette tracce con delle strofe, nelle rimanenti si esibisce nei soli ritornelli e in un brano neppure pensa sia il caso di fare capolino. Chiaro che l’impostazione del disco vada imprescindibilmente a incidere sul risultato finale, conta infatti relativamente poco che alcuni dei nomi coinvolti possano essere di grande richiamo – sfruttando, per esempio, contributi postumi di chi ci ha prematuramente lasciato – e che alcune delle prove siano davvero buone, perché in realtà l’artista che si voleva sentire al microfono era uno e uno soltanto. Il suo maggior contributo è invece relegato all’aspetto produttivo, il quale ha storicamente curato in affiancamento a un Eric B. sempre avido di crediti a proprio favore (basti pensare all’immortale “Know The Ledge”, messa assieme da Ra in persona), stavolta con esiti assai poco memorabili, data la serie di beat non ispirati, nemmeno troppo tecnici, per giunta circondati da una fastidiosa sensazione di già sentito.
“Be Ill”, il singolo che fungeva da antipasto, non è neanche male. La strumentale è un pò una moviola, ma i campioni orchestrali sono carini, Rakim ha magari perso qualche giro ma rimane un maestro della composizione lirica, utilizzando tecniche che lo portano ad accostare con abilità parole accomunate dallo stesso suffisso; nel mentre, Kurupt conferma di essersi definitivamente allontanato dalla miglior forma e Masta Killa offre le solite parabole visionarie, con un flow che comunque ben si adatta all’andatura ritmica. “Love Is The Message” è altresì valida, sorretta da una gradevole melodia che dà intensità al pezzo – a parte quella lagna di coro eseguita da Kobe, pura monnezza – per quanto fornisca l’impressione di aggrapparsi troppo alla sollecitazione data dalla presenza di Nipsey Hussle e alle solite quattro cianfrusaglie pronunciate da Snoop e fatte passare per una vera collaborazione; c’è inoltre da sottolineare come, nella revisione generale del brano, sfugga quale possa essere l’unione tematica tra i singoli versi, dato che di attinente alle intenzioni dettate dal titolo pare esserci il solo contributo di Louis King.
Episodi come “International” avrebbero avuto del potenziale interessante, se non altro per l’inserimento di personalità come Kool G Rap nell’equazione, tuttavia la stessa non sta in piedi nel momento in cui ci si accorge che il livello tecnico del ritornello, cui la partecipazione di Rakim purtroppo si limita, sia superiore a qualunque delle strofe proposte, peraltro su un giretto di piano del tutto privo di mordente. “Now Is The Time” possiede una strumentale tutto sommato decente, va da sé che la metodicità nell’assemblaggio non riveli nulla di straordinario (batteria, basso, loop lasciato andare da principio a fine), del tutto incomprensibile è invece l’accostamento a personaggi come B.G., il cui massimo sforzo è ripetere la stessa quartina per chiudere sedici barre di pura insulsaggine, e se proprio si necessitava di qualche linea di coke Rap che nulla centrasse nel contesto, rispetto al convocato Hus Kingpin non era difficile trovare di meglio. Per fortuna ci pensa Skyzoo – finalmente un giocatore d’alta classe – a sollevare gli animi di una spenta “God’s Playground”, un Funk del tutto incolore (ah, nel caso ve lo foste chiesto, quello di DMX non è un featuring…), mentre l’improvvisa scomparsa di Chino XL – una perdita molto più grave di quanto sembri per tutto l’Hip-Hop – si fa un pelo più pesante dopo l’ennesima strofa esemplare che chiude una prolissa “Pendulum Swing”, che sfiora inutilmente i sette minuti.
I colleghi d’Oltreoceano l’hanno curiosamente promosso con convinzione, elargendo voti probabilmente comprensivi della stima affettiva per il valoroso apporto che Rakim ha fornito alla Cultura. Per noi, anche dopo l’ennesima revisione, resta invece un secco no, comprovato dal piattume effettivo nell’esecuzione, dal dubbio coinvolgimento di artisti che nulla hanno a che vedere col protagonista o con la sua possibile eredità e, soprattutto, dall’incapacità di promuovere il disco per quello che realmente rappresenta, ovvero una manciata di beat (neanche tanto belli) firmati da uno dei più grandi liricisti d’ogni epoca, in attesa di un possibile vero ritorno verso il quale rimaniamo fiduciosi – nella speranza di non essere nuovamente raggirati con mezzucci del genere.
Tracklist
Rakim – G.O.D.s Network (Reb7rth) (RRC Music 2024)
- Be Ill [Feat. Kurupt and Masta Killa]
- Now Is The Time [Feat. B.G., Hus Kingpin and Compton Menace]
- Love Is The Message [Feat. Nipsey Hussle, Planet Asia, Louis King and Snoop Dogg]
- God’s Playground [Feat. 38 Spesh, DMX, Fred The Godson and Skyzoo]
- Pendulum Swing [Feat. KXNG Crooked, LA The Darkman, Canibus and Chino XL]
- International [Feat. Kool G Rap, Tristate and Joell Ortiz]
- Sign Of Se7en [Feat. Prodigy, Method Man, X-Raided and Big Twins]
Beatz
All tracks produced by Rakim
Scratch
All scratches by Rakim
Mistadave
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