Roc Marciano – Rosebudd’s Revenge
Quattro anni. Mai nella carriera di Roc Marciano era intercorso un periodo così lungo tra un album e quello successivo, un fatto che ha messo in crisi i tanti affezionati alla particolare nicchia che uno degli mc’s più incisivi dei tempi attuali è riuscito a crearsi partendo dal nulla. Per quanto strano possa apparire, tanto è passato dalla pubblicazione di “Marci Beaucoup”, generando un intervallo scenico cucito ad arte sul personaggio che Roc ha creato nei propri dischi, un uomo di poche parole che si fa costantemente desiderare, protagonista di un’incessante scorrere auto-indulgente di scene violente e lussuriose, di sangue e potere, di armi messe in azione al primo sgarro e bicchieri di vino pregiato gustati fino all’ultima goccia in compagnia di splendide donne.
L’artista di Hempstead, Long Island, è ora come non mai consapevole delle sue qualità, della sua superiorità rispetto alla schiera di imitatori che in questi anni hanno provato ad accumulare fama e denaro a sue spese sfruttando una figura che in ambito Hip-Hop va a braccetto con la cinematografia mafiosa non certo da oggi, personaggio che Marci non ha certo creato, ma ha definito molto meglio rispetto alla folta concorrenza. La chiave del successo di Rakeem Calief Meyer sta tutta qui, nel saper soddisfare sistematicamente i palati Hip-Hop più fini senza alterare troppo una formula che il passato ha già decretato essere vincente, riuscendo a dimostrarsi ancora una volta singolare e affascinante nonostante l’assenza di variazioni sul tema.
“Rosebudd’s Revenge” non è altro che l’ennesimo segnale concreto di una prolifica longevità. Il suo intuito produttivo continua ad essere fruttuoso per originalità delle fonti campionate e attitudine nel catturare l’orecchio facendo tornare d’attualità vecchi vinili cui viene data una seconda chance, le citazioni di Gladys Knight, Prince, Michael Bolton e la miriade di sample anni sessanta/settanta mirano a un contesto culturale ben preciso, la qualità della metrica è oramai fuori discussione, perché se una barra non è particolarmente intricata non si spreca nemmeno il tempo di metterla giù sul taccuino, curando il tutto con la massima attenzione sia in fase di stesura che di recitazione, un modo di esprimersi freddo come le vene di un killer, accompagnato da immagini dense, dettagliate, capaci di prendere vita all’interno di scenari sempre differenti.
L’escalation è progressiva e continua. Da tempo la regia ha abbandonato i lugubri bassifondi di New York in favore di località esotiche e lussi di ogni genere, ma non per questo ci si è dimenticati delle proprie origini e si è venduto il fondoschiena: si vuol semplicemente simboleggiare il proprio progresso, la propria riuscita. Le avventure sortite dalla mente di Roc Marciano ricalcano la sua stessa esistenza, ma tutto mantiene una consona distanza di sicurezza schiacciando le sofferenze del passato sotto un massiccio strato di imperturbabilità, una prerogativa detenuta da ogni gangster che si rispetti.
Le regole le detta sempre e comunque lui, sfrontato al punto da attaccare un paio di pezzi in maniera volutamente disordinata, ricordando lo stesso atteggiamento della puntina nel loop di “It’s A Crime” che saltava, ma veniva comunque tenuta per la versione finale del pezzo. Rispetto a “Marci Beaucoup” ci sono un gradito ritorno delle batterie nella struttura dei brani e, soprattutto, una forte diluizione dei contributi esterni, perché – diciamocelo chiaramente – se c’è una persona in grado di affrontare un disco intero producendo fantasia e virtuosismi tecnici a getto continuo, questi è proprio il protagonista della recensione.
Come ogni lavoro di Roc Marciano, anche “Rosebudd’s Revenge” richiede tempo per crescere dentro l’animo dell’ascoltatore: man mano che la familiarità migliora, aumenta proporzionalmente il desiderio di ripetere l’esperienza. Una creatività che non conosce confini, avvalorata da episodi come “Pimp Arrest”, un cortometraggio diretto ad arte, musicato a mezza via tra poliziesco e film giapponese tenendo ben saldo lo scettro degli anni settanta, il flow è versatile, inframmezzato da pause per poi ripartire tutto d’un fiato e l’ingegnosità delle similitudini utilizzate (<<my neck look like Quebec>>) fa ben comprendere come il resto della competizione stia abbondantemente sotto. “History” si avvale di una sezione di archi di ottimo gusto e un immaginario costruito sul tipico intreccio tra sensualità e violenza, mentre “Better Know”, altro beat indovinato grazie al piano della struttura principale e le trombe che rinforzano il ritornello, propone un Rap da vero e proprio boss attraverso una fluidità espositiva meno frammentaria rispetto ad altri passaggi, giusto per mostrare tutta la merce metrica a disposizione.
Pezzi come “Killing Time” diventano presto irrinunciabili grazie ad abili pitch di sample Soul (l’origine del campione si scopre essere – grazie alla rete – “The Best Thing A Man Can Do For His Woman” di Lou Courtney) ed entrano a far parte di un collettivo di tracce in grado di giocare forte sul fattore evocativo di racconti le cui rifiniture traboccano di dettagli descritti senza correre il pericolo di cadere nello scontato. “Burkina Faso”, “Here I Am” e la deliziosa “Marksmen” – baciata in fronte da KA e dall’ottimo contorno Soul – sono difatti svolte su un identico binario tematico, ma a fare la differenza sono la capacità espressiva, il carisma trasudato nel narrare un concetto, la particolarità del posizionamento delle rime, una gamma di wordplay che colpisce sistematicamente al centro (<<I’m thinking somewhere near the Calvin Klein underwear heir/fresh to death, they thought a nigga slept in Tupperware>>, recita la titletrack) e geniali doppi sensi in grado di collegare più barre (<<my jeans fit me like Springsteen…squeeze three at your Bentley GT/with the drum my queen Sheila E>> – “Already”).
“Pray 4 Me” va invece valutata a parte, proprio perché rappresenta una rarissima apertura verso la propria intimità, i pensieri affiorano poco per volta ma vengono analizzati con freddezza e autocompiacimento, rappresentando dolori necessari per arrivare ai piaceri, cicatrici che era necessario procurarsi pur conoscendo le conseguenze delle proprie decisioni (<<crack tore the fam apart but/It paid for my first apartment>>; <<the life that we chose/nights that we froze/white that we sold/this is all real no lies being told/I’ma stay fly and knock me a ho>>). Il beat, senz’altro uno dei migliori del pacchetto, offre l’atmosfera più consona grazie al gradevole campione di trombe latine ed organo che compone una musica rilassata, la quale si fa seguire dal flow senza necessità di affrettare nulla.
Eccezion fatta per “No Smoke”, loop assai poco digeribile e featuring mediocre di un Knowledge The Pirate che è la pallida copia carbone del suo datore di lavoro (Lamborghini… fettuccini… bikini? Sul serio?!), “Rosebudd’s Revenge” mantiene alta la qualità complessiva della discografia di Roc Marciano. Ogni singolo pezzo contiene passaggi da rewind istantaneo, rime doppie, triple e multisillabiche, la produzione non perde un colpo nemmeno quando il Nostro, qui firmatario di circa metà dei beat, lascia spazio a personaggi meno conosciuti – ci sono, ad ogni buon conto, entrambi gli Arch Druids, che plasmarono quella meraviglia chiamata “Emeralds” – definendo il sound tipico e inconfondibile dell’artista.
Stavolta il boss si è fatto davvero attendere. Immaginiamo che fughe, sparatorie, bolidi e vacanze su spiagge esotiche abbiano fortemente limitato il tempo da dedicare alle registrazioni, ma la lunga attesa è stata adeguatamente ricompensata.
Tracklist
Roc Marciano – Rosebudd’s Revenge (Merci Enterprises 2017)
- Move Dope
- Rosebudd’s Revenge
- History
- Better Know
- No Smoke [Feat. Knowledge The Pirate]
- Gunsense
- Killing Time
- Burkina Faso
- Marksmen [Feat. KA]
- Herringbone
- Pimp Arrest
- Pray 4 Me
- Here I Am
- Already
- Pig Knuckles
Beatz
- George “Mushroom” Jesus Paulin: 1
- Don C: 2, 6
- Animoss: 3, 8, 9
- Roc Marciano: 4, 7, 10, 11, 12, 13, 15
- Knxwledge: 5
- Modus Op: 14
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