Termanology – More Politics
Termanology è senza dubbio un artista che merita tutto il rispetto guadagnato negli anni, tempo nel quale si è dato enormemente da fare sfornando un altissimo numero di progetti e partecipando a numerose collaborazioni senza mai far mancare una qualità lirica che ne determina il collocamento tra gli mc’s più prolifici dell’ultima, abbondante decade. La nota dolente di una pur ricca discografia risiede nella non esatta corrispondenza tra qualità e ambizioni, nel senso che Daniel Carrillo si è sempre rivelato essere un mc appropriato sia nell’elevarsi dalla folta competizione che nel tenere tranquillamente testa alla nutrita platea di ospiti facente parte dei suoi dischi, senza tuttavia compiere passi significativi nell’arricchire il grande potenziale posseduto con un adeguato allargamento dei propri orizzonti.
Quanto detto si è già tradotto in passato in una collezione di album contraddistinti da similari peculiarità, tra le quali vanno annoverate flow copioso, dizione sempre ben gestita, tematiche fisse su competizione, immaginari benestanti e storie di strada, e in questo contesto “More Politics” giunge come un progetto che pretende di mostrare una maturità argomentativa di certo tangibile, ma che a nostro parere non trova il riscontro che potrebbe/dovrebbe a livello di sviluppo espositivo, peccando talvolta anche di coerenza. Il disco insiste parecchio nelle sottolineature della provenienza da una situazione di povertà cui Termanology fa riferimento pressoché sistematicamente, abbinandole ai suoi sogni di scalata sociale rappresentando l’ambizione nel raggiungimento di un’agiatezza che non corrisponde solo al termine delle preoccupazioni giornaliere, ma soprattutto all’accumulo di beni materiali.
Il compito è portato positivamente a termine solo con parzialità. “Looking Back”, ad esempio, è un pezzo che presenta un livello di scrittura descrittiva tecnicamente e concettualmente molto soddisfacente (<<sitting in this room, playing on my Nintendo/stomach rumbling ‘cause my mother’s family been broke/she left me with my grandma, she’s schizophrenic and mental/and she smoked three packs, and she ain’t open up the window/struggling with asthma, one room apartment/room full of smoke while grandma talked to the wall>>), una fucilata che finisce per funzionare a salve per colpa di un’orrenda produzione la quale si avvale di un ritornello che – francamente – spinge all’utilizzo pressoché immediato del gabinetto. “Where’s The Love” ne condivide la ruffianeria gratuita della (indigesta) parte cantata ma, al contrario, è liquidabile alla stregua di una normalissima street tale come ce ne sono tante, che cattura l’attenzione solo per notare le differenze stilistiche dei tre protagonisti. “I Dream B.I.G.” pone invece involontariamente in primo piano alcuni limiti di Term per mezzo del contributo di Sheek Louch, l’unico a dimostrare arguzia concettuale nella costruzione della strofa partendo da un concetto collegabile al tema principale prima di addentrarsi in quest’ultimo.
Il Termanology che apprezziamo maggiormente è senza dubbio quello ritrovato su passaggi quali “Let’s Go (Part 2)”, nella quale demolisce a dovere il beat di turno, oppure “It’s Quiet”, un brano che raccoglie l’eredità di vecchie glorie come “100 Jewels” ricalcandone con successo la struttura (peccato per il tempo della base, gestita da cani da Dame Grease) e racchiudendo in sé un sunto delle argomentazioni principali dell’album, che coesistono in due strofe divise da una brevissima pausa, senza ritornelli idioti e fastidi assortiti, offrendo saggi delle capacità del soggetto e di tutta la sua determinazione nel non indietreggiare dinanzi alle avversità della vita (<<I’m tryna lighten the mood, that’s why I kid and joke/but ain’t a damn thing funny about living broke/or shoveling snow to buy the kids Christmas clothes/or dropping 200 songs and ain’t got shit to show/eating Ramen and eggs for like 9 days/and your royalty check can’t even buy J’s>>).
I tentativi di uscita dal seminato tematico sono apprezzabili, ma non sempre sufficienti per continuare a desiderare di ripetere l’esperienza d’ascolto. “Krazy Things” porta una virata necessaria parlando di un rapporto sentimentale andato in forte deterioramento e buoni risultati sfociano da pezzi molto personali come “First Love”, dedicata alla figlia maggiore, e “The Last Time”, improntata sull’abuso di alcool e su un quasi-incidente che poteva essere mortale, anche se per come la vediamo noi <<I used to think my first love was cash/but met my true first love the day I became a dad>> non è esattamente la frase più romantica che si possa dedicare a una ragazzina…
L’altro tema ricorrente è fomentato dalla tensione sociale generata dalle azioni della Polizia, argomento presente qua e là nonché struttura portante di una “We Both Wrong” sorprendentemente anonima a livello musicale – opera di Q-Tip – e che da un lato offre dichiarazioni un pizzico controverse (<<and me I’m part of the problem, purchasing Gucci products/before, I put away that money for my daughters’ college>>) e dall’altro vede Saigon brillare nel colloquiare in rima (<<sucker getting a gun and a badge and get disrespectful/I’ll tell you why this shit is so stressful/’cause we been going through it since we came to America on a vessel>>), il che introduce al discorso dei numerosissimi featuring (troppi?) di cui Termanology decide di attorniarsi a suo rischio e pericolo. Pezzi come “Bar Show” – oltre che sortire noia nel sentire gente come Ea$y Money – debbono per forza di circostanze cedere la cattedra ad insegnanti del flow elastico come Chris Rivers, mentre “Top Shotta” offre un divertimento univoco, quello di seguire le rime multisillabiche e le spruzzate patois di un ospite di riguardo, Bada$$ in persona, dato che Term cade ancora nel tranello di scaldare la minestra del giorno prima (<<can I lord?/Ask you to gimme the strength to not lust for anything I can’t afford>>).
Un altro aspetto che ci riserva delle perplessità è rappresentato dalla qualità di parte del contributo produttivo di Statik Selektah, responsabile dell’esatta metà dei beat, nel quale si riscontra una certa propensione all’adagiarsi su una formula collaudata e che ha già dato i propri frutti in passato. Non è certo il caso di “The Curve”, più che riuscita combo tra Term, Conway, Westside Gunn e Your Old Droog, tra i pezzi migliori del lavoro, o “Let’s Go”, che gestisce bene fiati filtrati e rotondità della cassa; tuttavia il resto delle forniture musicali si divide tra inefficaci giocate in tutta sicurezza (“Top Shotta” utilizza un sample di trombe assai poco significante fruendo del solito metodo compositivo del soggetto) e dolci zuccherini adatti al tema (le già citate “Krazy Things” ed “All My Love”), carichi in eccesso di morbidezza e ritornelli all’acqua di rose.
“More Politics” non è assolutamente un cattivo disco e la sufficienza della sua votazione globale non vuol intaccare in alcun modo l’opinione positiva che da sempre deteniamo nei confronti di Termanology. Se però poniamo sul piatto le potenzialità concettuali e il novero di nomi coinvolti per una produzione che alla fine risulta tentennante, ci pare che non ne sia stato ricavato alcunché di memorabile. Peccato.
Tracklist
Termanology – More Politics (Brick Records 2016)
- Just Politics
- I Dream B.I.G. [Feat. Sheek Louch and Styles P]
- Looking Back [Feat. CrushBoys]
- Where’s The Love [Feat. Bun B, Bodega Bamz and Masspike Miles]
- We’re Both Wrong [Feat. Saigon]
- Let’s Go (Part 2) [Feat. KXNG Crooked]
- Top Shotta [Feat. Joey Bada$$]
- Krazy Thangs [Feat. Cyrus Deshield]
- First Love [Feat. Sean Taylor]
- The Last Time
- Moving Forward [Feat. Kendra Foster]
- The Curve [Feat. Westside Gunn, Conway The Machine and Your Old Droog]
- Bar Show [Feat. Ea$y Money and Chris Rivers]
- It’s Quiet
Beatz
- Just Blaze: 1
- Buckwild: 2
- J.U.S.T.I.C.E. League: 3
- Hi-Tek: 4
- Q-Tip: 5
- Statik Selektah: 6, 7, 9, 10, 11, 12, 13
- Nottz: 8
- Dame Grease: 14
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