The Best Of 2016: l’opinione della redazione
BRA
USA: come da copione, il podio del mio best of è in ordine alfabetico…ma si esaurisce tutto nella lettera A! Con “We Got It From Here… Thank You 4 Your Service” gli A Tribe Called Quest mi hanno stupito, deliziato e – succede sempre più raramente – emozionato; disco vero, sontuoso e sincero, non l’ho più tolto dall’auto perché ha qualcosa di magico: il mio grazie di cuore a Q, Phife (R.I.P.), Ali e Jarobi. E’ anche vero, però, che bisogna far largo ai giovani; eccovi allora A-F-R-O, con Marco Polo in “Afro Polo“. Un EP, un antipasto, una promozione (piena) in prospettiva, dato che il ragazzo sputa rime davvero come pochi. Chiaro che se gli dai pure quei beat lì, il gioco è fatto… Io voglio dargli fiducia: le premesse sono davvero invitanti. Ad Aesop Rock, infine, vorrei dire solo: ma come cazzo ci riesci?! “The Impossible Kid” è l’ennesima conferma di un talento fuori dall’ordinario, mc e beatmaker di qualità sopraffina con alle spalle una discografia imponente e impressionante: se ne va a fare l’eremita in un bosco e ne riemerge con quest’album imperdibile, che ascolteremo ancora a lungo. Honorable mentions? Due: il ruvidissimo “FLYGOD” di Westside Gunn e – siccome un po’ zainettari lo siamo – “The Formula“, progettino strumentale di Newstalgia che ho consumato con piacere. Dite che mancano i De La Soul? Ahimè, “And The Anonymous Nobody” mi ha proprio deluso. Allora mancano i Run The Jewels? Magari sì, però “RTJ3” è uscito troppo a ridosso della fine dell’anno e allora lo riprenderò in considerazione per il bilancio del 2017.
ITALIA: anche se i numeri non sono quelli di qualche anno fa, l’Hip-Hop italiano rimane un genere attenzionato da fronti e pubblici di varia natura. Possiamo parlare in senso lato di maturità? Dipende… Possiamo nel caso di Blo/B, che con “Età dell’oro” ha tradotto attraverso un linguaggio moderno delle origini fin troppo chiare: c’è la golden age, c’è la centralità dello stile, ci sono le legnate dei vari produttori chiamati in causa, ma c’è anche una chiara proiezione sul presente, riuscendo a soddisfare in un colpo solo generazioni non sempre tra loro in sintonia. Possiamo anche nel caso di Moder, perché l’introspezione di “8 dicembre” è pura (auto)analisi. Da un lato i ricordi, le ferite e il dolore, dall’altro il potere terapeutico della scrittura; il risultato è una prova sì personale e in cui intrufolarsi a piccoli passi, ma di enorme sincerità. E poi Moder è un ottimo mc, non dimentichiamolo… Possiamo, altresì, al cospetto del prof. Murubutu, cui è impossibile non voler bene. “L’uomo che viaggiava nel vento…” è il quarto capitolo di una saga che non ha pari nella scena nostrana, un audiolibro originale e tematicamente denso: basta chiudere gli occhi e il viaggio comincia. Queste le posizioni più alte, ma Kento & The Voodoo Brothers, Microspasmi e Mistaman erano lì che cercavano di mettere un piede sul gradino, quindi li devo per forza citare. E la Trap? La Trap fatevela raccontare da chi si occupa di Trap…
MISTADAVE
Dovendo fare un bilancio complessivo su quest’anno appena trascorso, non mi trovo molto entusiasta della scena che seguo – quella americana. Intendiamoci bene, le bombe non sono certo mancate grazie a nomi che non tradiscono davvero mai e abbiamo quindi ascoltato dei dischi di estrema qualità; se però dobbiamo giudicare la scena in generale, tantissimi prodotti si sono confusi per via di una realizzazione abbastanza sistematica, facendo emergere – a personale avviso – la necessità di smetterla di tentare di clonare gli anni novanta e cercare di mantenere il contatto con l’epoca d’oro conservando al tempo stesso una spiccata capacità di rinnovamento, missione portata appunto a termine dai dischi che sto per elencarvi.
Elzhi, “Lead Poison“: un ritorno attesissimo e particolare, perché rivela la dimensione umana di un artista che ha dovuto scacciare un pericoloso periodo di depressione prima di riuscire a credere ancora in ciò che stava facendo. Elzhi il suo umore ce lo racconta fin troppo bene e “Lead Poison” non è un disco alla portata di un mc qualsiasi: per descrivere abilmente tutte queste sensazioni ci voleva qualcuno di grande stoffa, come appunto è l’asso proveniente da Detroit. Una prova lirica superba, un impianto sonoro a volte polveroso, in altre occasioni moderno e pulito, e la solita, grande creatività sono gli ingredienti necessari a farne il personale album dell’anno.
A Tribe Called Quest, “We Got It From Here… Thank You 4 Your Service”: di ritorni ne abbiamo visti tanti e le delusioni non sono mai mancate. I nostri cari e amati Tip, Phife, Ali e Jarobi, che hanno segnato tutta la nostra adolescenza per poi sciogliersi e lasciarci nello smarrimento più completo, hanno però saputo catturare quell’aura magica di un tempo attualizzandola ai giorni nostri, come se mai nulla fosse realmente accaduto. Un disco segnato dall’evoluzione artistica di Q-Tip, dalla presenza del compianto Phife e da brani emozionanti e vivi, che rappresentano il saluto finale perfetto che tutti avevamo immaginato per questo grandissimo e indimenticabile gruppo.
Masta Ace, “The Falling Season“: proprio in questi giorni a New York ha avuto luogo una reunion della leggendaria Juice Crew. Facciamo uno più uno e pensiamo a quanti altri artisti di quel supergruppo sono rimasti sulla cresta dell’onda; non ci si mette molto a comprendere che Masta Ace sia di netto il più longevo di tutti quesi mostri sacri. Un album di straordinaria maturità e classe, prodotto da un neo-cinquantenne che dimostra almeno dieci anni di meno per l’energia con cui affronta ogni sua uscita e ogni conseguente tour, un progetto capace di fornire numerose istantanee del periodo trascorso dall’artista al college, unendo le varie fotografie grazie alla nota abilità di regista di Ace, proponendo un sound realmente suonato e freschissimo, per nulla aggrappato al suo status di Grande Veterano del gioco. “The Falling Season” è una dimostrazione enorme di forza e durevolezza, la quale conferma che per artisti come Masta Ace nell’Hip-Hop di oggi c’è ancora posto.
Menzioni d’onore:
– Torae, “Entitled“: Torae non è più solo un mc aggressivo e da puro combattimento, sotto i muscoli pulsa un cuore capace di introspezione, inteligenza ed orgoglio. E questo somiglia tanto all’album della sua definitiva maturità;
– Red Pill, “Instinctive Drowning“: Red Pill è l’anti-eroe per definizione, che è partito dal basso per poi rimanerci. Un disco molto personale, che tratta temi vicinissimi alla persona e alla famiglia cercando di scacciare una depressione semi-cronica, usufruendo di un impianto sonoro che scaccia tutto quello che l’artista aveva proposto sinora in cambio di una vera direzione artistica fornita dal bravo Ill Poetic, il cui mood è pulito ma sufficientemente oscuro nel supportare gli umori dell’attore principale.
LI9UIDSNAKE
Ci siamo! E’ tempo di archiviare altri dodici mesi e tirare un po’ di somme su quanto questo 2016 è riuscito a mettere sulle nostre tavole. Positivo o negativo? Personalmente, il bilancio pende nettamente a favore della prima opzione anche questa volta, con un discreto numero di artisti meritevoli di essere menzionati per essersi distinti con onore, sia sotto i riflettori griffati delle major (ScHoolboy Q, Vince Staples, Chance The Rapper) che lontano dalle accecanti luci della ribalta (Elzhi, Danny Brown, Skyzoo & Apollo Brown).
I tre dischi che hanno dominato l’annata, conquistandosi i tre gradini del podio (ma non chiedetemi chi ci sia in quale posizione) sono però, in ordine di pubblicazione, i seguenti:
– “Chaos 93′“. L’Europa ha un nuovo peso massimo. Con il debutto solista di Ocean Wisdom la High Focus Records è riuscita nell’impresa di ridefinire al rialzo i propri (già altissimi) standard qualitativi, confezionando un’opera dotata di una fisionomia adamantina e spalancando ufficialmente le porte dello scacchiere mondiale a uno dei liricisti più forti in circolazione. “Chaos 93′” è uno dei dischi più potenti mai concepiti entro i confini del Vecchio Continente. Un futuro classico.
– “The Impossible Kid”. Lo vedete quell’aggettivo li? Nel titolo? Impossible… Ecco, la dice assai lunga. Seriamente. Non so come diavolo ci riesca a quarant’anni, dopo averne trascorsi quasi venti a fare musica… Eppure quella vena non si esaurisce, anzi continua a pulsare con un vigore sempre maggiore. Aesop Rock con “The Impossible Kid” ha completato il passaggio da produttore a direttore d‘orchestra, ha aperto uno spaccato sulle proprie vicissitudini personali e, soprattutto, ha semplificato drasticamente il tratto della sua prosa (badate bene: senza impoverirlo), consegnando di fatto la propria eredità artistica anche nelle mani di coloro un tempo troppo spaventati dai suoi geroglifici. Musica dal sottosuolo per tutti, non solo per i vermi. Immenso.
– “We Got It From Here… Thank You 4 Your Service”. A Tribe Called Quest, diciotto anni dopo. Devo veramente spiegare qualcosa? Vi dico solo che lo scorso 25 dicembre il sottoscritto, invece che scartare regali e abbuffarsi, si è alzato alle 6.30 e ha lavorato fino a tarda sera… Ma sapete una cosa? Non importa, perché a casa mia il Natale quest’anno si è festeggiato l’11 novembre. Così, sul momento, mi viene in mente solo una parola per riassumere ciò che questo disco rappresenta: GRAZIE!
LORD 216
Allora, tutti che tuonano sul 2016 disgraziato… E ok, si capiva dal capodanno scorso con la perdita di Primo che sarebbe andata così. Comunque sono usciti un botto di dischi fighi – e sceglierne 3 è cosa poco semplice; quindi via con quelli che ho ascoltato di più. Tra gli amerregani il mio eroe KA ha cacciato “Honor Killed The Samurai”, riprendendosi le macchine dopo i due ottimi episodi con Preservation. Autoreverse martellante! Poi i ragazzi della Griselda hanno avuto la felice pensata di far uscire “FLYGOD” di Westside Gunn, che al di là dell’hype megagalattico si conferma una bombazza ascolto dopo ascolto. Dopodiché viene Natale, sei li che prepari classifiche per fare contento il Bra e quei due pazzi di El-P e Killer Mike non ti vanno a regalare “Run The Jewels 3”?! Ovviamente in superascolto looposo, gran gioia, panettone e spumante e se li incontro ambedue vengono limonati sotto al vischio! In Italia, invece: il Generale Cassel con “Rapper bianco“, su cui non mi dilungo avendolo già recensito; Blo/B con “Età dell’oro”, bello bello bello bello; infine Dj Skizo con “D.A.V. – Disposto a volare”. Concedetemi un propaganda extra per Esa/Captain Futuro e Manuel Taranto JR che con “Pezzi di cielo” hanno regalato un gioiellino. Giao, ne riparliamo nel 2017!
MR. BUSHDOC
Più che i soliti – i vari Murubutu, Salmo, Luchè e così via – quest’anno ho deciso di premiare degli outsider, dei più o meno sconosciuti, per sottolineare il fatto che il Rap italiano, considerando soprattutto l’anno estremamente particolare vissuto dalla scena, è sempre e comunque vivo e vegeto e la direzione verso cui sono diretti i riflettori dipende sempre da noi appassionati. Quindi, senza troppi giri di parole:
– album più divertente e stiloso: Caleb, Jhona e Zoro, “Triflusso“;
– miglior concept: Il Prisma, “Quel disco del Prisma con le tracce collegate l’una con l’altra“;
– ascolto obbligato: Axos, “Mitridate“.
Menzioni d’onore:
– Moder, “8 dicembre” (album);
– Claver Gold & Dj West, “Tarassaco*Piscialetto” (album, ristampa);
– Dj Uncino feat. Lucariello e Ciccio Merolla, “Lengua” (brano);
– Lince feat. Kd-One, “Piaghe da decubito” (brano);
– Dj Fede e Primo feat. Caneda, Fred De Palma, Jack The Smoker e Jake La Furia, “Le ultime occasioni reloaded” (brano).
Mistadave
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