The Best Of 2022: l’opinione della redazione

BRA

USA: la premessa è grosso modo la stessa da diversi anni a questa parte, quindi bla bla bla e andiamo dritti ai dischi. Non è tanto una questione di podio, quanto di stato di forma e resa delle singole uscite; e, che vi devo dire, quest’anno ci sono dei vecchietti che hanno fatto vedere a tutti come si fa. Se dovessi fare un solo nome (che poi sono due), direi Danger Mouse e Black Thought: “Cheat Codes” è un progetto densissimo, che mi ha fatto suo fin dal primo ascolto, liriche pregevoli, strumentali gustose, stile che ciao. Di nuovo, poi, c’è un Nas che fa come i vini buoni, trascorre il tempo e assume valore: “King’s Disease III” è il punto d’arrivo di un percorso – co-firmato da Hit-Boy – che sa di rinascita, zero featuring, beat dei quali (come minimo) non possiamo dir male e una performance al microfono degna del Re. Infine, stando alla categoria veterani, non mollano certo la presa Roc Marciano e The Alchemist: “The Elephant Man’s Bones” certifica che se oggi l’Hip-Hop si fa così, è anche e in buona misura per merito loro. E, in quella wave lì, è una gara a chi sgancia la mina più potente: impegnatissimi, come sempre, Rome Streetz con “Kiss The Ring“, efficace ingresso in casa Griselda, Benny The Butcher con “Tana Talk 4“, che soprattutto con il Maman – eh, sempre lui! – ha evidenziato l’intesa migliore, poi Boldy – Stachánov – James, fuori con almeno tre progetti da recuperare, “Killing Nothing” con Real Bad Man, “Mr. Ten08” con Futurewave e “Be That As It May” con Cuns. Le menzioni d’onore non le ho, perciò aggiungo che “Gold” del solito Dj Muggs con Rigz spalancava il 2022 col passo giusto, “2000” di Joey Bada$$ a me è piaciuto, tanto più perché non suona come ci si aspetterebbe, e “Black Vladimir” di Meyhem Lauren su produzioni griffate Daringer, che ho ascoltato poco ma ora sto recuperando, merita e dunque qui deve starci.

ITA: quest’anno la faccio diversamente. Premio label/collettivo/crew? Facile: Make Rap Great Again. Abbiamo recensito “Gran turismo” di Gentle T, “#FREECRAXI” di Gionni Gioielli e Tosses, “Ligera memories” di Montenero e sempre Gioielli, “Festivalbars” e “Luchino Visconti” di Toni Zeno e indovinate chi, abbiamo intervistato Blo/B, Lil Pin ed EliaPhoks, perciò… La verità è che una realtà così, in Italia, non c’era mai stata prima: MRGA – forse l’avevo già detto – fa categoria a sé. Premio esordio in gruppo? Santa Sede – RollzRois, Less Torrance, Davide Bates e Lord Lamont – se lo porta a casa grazie a un disco omonimo la cui raffinata ignoranza (così scrivevamo) non ha bisogno di essere spiegata. Premio veterano? Se lo meritano in tre, nel seguente ordine di uscita: Kaos con “Chiodi“, perché Marco Fiorito ce l’abbiamo inciso dentro, Sandro Sù con “BAR(S)“, prodotto da Tosses e Giò Lama, perché può spiegare due o tre cose al vostro rapper preferito, e Mistaman con “Dentro la mia mente“, perché al vostro rapper preferito può spiegare le rimanenti due o tre cosette da sapere. Premio underrated? Con “Camouflage shadowsSilla DDR fa il vuoto dietro, rappa, produce e infila quei riferimenti che o googlate o niente, firmando il quarto disco di spessore in tre anni. E poi ci sarebbe il premio mattonata sui coglioni, che non assegno per correttezza; ma, a esser franchi, è l’unica categoria nella quale c’è stata vera gara…

MISTADAVE

Un anno fa l’avevo incoronato in cima al podio per la squisita abbinata a Boldy James nell’ottimo “Bo Jackson”, ma The Alchemist non è certo il tipo che tira i remi in barca e si accontenta di eseguire il classico compitino. E così, ecco che si prende anche il duemilaventidue a mani basse, sfoggiando “The Elephant Man’s Bones”, attesissima collaborazione su lunga durata con Roc Marciano, un disco che va a definire in maniera inequivocabile una chimica che avevamo solamente intravisto nei lunghi anni di dominio della scena dell’artista più imitato dell’ultima decade e che oggi possiamo pienamente gustare e ricordare tra i prodotti di miglior qualità delle discografie tanto dell’uno quanto dell’altro. Alan è stato altresì tra i principali firmatari del grande successo di “Tana Talk 4”, altra uscita assai desiderata e che non ha certo tradito le attese: dicevano che il Macellaio stesse per giungere e alla fine è arrivato aprendo la porta a calci, confermando di essere tra i migliori scrittori contemporanei di rime e di essere pronto ad accogliere e gestire la maggior quantità di fama che gli si sta riversando addosso a seguito di tutte quelle sedute in studio trascorse nel semi-anonimato, dietro le quinte di un’organizzazione spesso caratterizzata da due inconfondibili prim’attori, la quale ha intelligentemente permesso il lancio definitivo del suo pezzo da novanta. Il risultato? Buffalo è ai suoi piedi, ma Benny, ormai un VIP locale a pieno titolo, non ha dimenticato integrità e origini artistiche, scrivendo un disco molto personale, denso di rimpianti e amare consapevolezze, ricco di quelle sonorità oscure e claustrofobiche che hanno sempre definitivo l’esperienza Griselda, arricchendole di una nuova dimostrazione di un talento lirico debordante. E’ l’anno dei nomi altisonanti e per questo motivo non può mancare il Re in persona: Nas è tornato per chiudere la trilogia di “King’s Disease” e vi è riuscito con il botto, proponendo un album maturo ma profondamente radicato nel passato, sia nella produzione che nei testi. Nasir è arguto nell’individuare la strada artistica a lui più congeniale in questo momento della sua esperienza, poi la classe – si sa – è innata e di certo non destinata a calare nemmeno alla terza decade di attività, in più la scelta di avvalersi ancora di Hit-Boy per i beat è stavolta assolutamente vincente, se non altro per la centratura di tutte quelle esigenze che l’mc aveva necessità di manifestare. Non vorrei dire che era l’album che attendevo da “Illmatic”, ma durante l’ascolto mi è comunque capitato di pensarlo. Menzione speciale va per il solito Elzhi, un artista che entra nella mia personale classifica ogni qualvolta decida di registrare: curiosa e felice la decisione di realizzare “Zhigeist” con l’estrosa Georgia Anne Muldrow, bravissima nel comporre musiche equilibrate nel loro proporre loop e strumentazione in simili misure, accompagnando coerentemente l’apertura mentale di un liricista eccelso, secondo a molti per fama, ma quasi a nessuno per talento. Citazione infine obbligatoria per Jermiside and The Expert, usciti dal nulla più letterale con lo straordinario “The Overview Effect”, un lavoro che vive del legame concettuale che sta alla base del lavoro e che brilla grazie a una realizzazione eccellente, ponendo sotto i riflettori un rapper colto, informato, bravissimo nel tessere metriche, e un produttore elastico, che parte dal boom bap per plasmare un suono completamente privo di definizione, avvalendosi di un metodo compositivo versatile e mai scontato. I grandi nomi inevitabilmente attraggono, ma guai a dimenticarsi di dare uno sguardo al sottosuolo più profondo, perché il rischio è di perdersi gemme come questa.

LI9UIDSNAKE

Non aspettatevi numeri. Come è oramai mia abitudine, non mi metterò a fare classifiche di alcun tipo: provo una sana repulsione per le classiche top e flop in ordine numerico di fine anno che ammorbano in queste settimane le pagine social e le testate specializzate del settore. Poco importa l’ordine, dunque, importa rispondere alla domanda cosa mi porterò sicuramente nel 2023 di quanto ho ascoltato? Di certo resteranno in pianta stabile tra i miei ascolti sia “It’s Almost Dry” di Pusha T che quel “Cheat Codes” nato a quattro mani tra il genio di Danger Mouse e le inossidabili corde vocali di Black Thought; i due dischi che ho ascoltato di più in assoluto in questi ultimi dodici mesi. Il 2022 è stata poi un’ottima annata per i progetti nati sulla classica formula un rapper più un produttore. Nas e Hit-Boy hanno unito nuovamente le forze in quello che è il terzo e miglior capitolo della serie “King’s Disease”. L’Alchimista e Roc Marciano ci hanno regalato un incontro tra giganti (cit. Mistadave) nel superbo “The Elephant Man’s Bones”. E non si può ignorare Denzel Curry, che con “Melt My Eyez See Your Future” ha fissato un nuovo standard della sua arte. Queste, senza un ordine particolare, sono le opere che si sono fatte notare maggiormente se ripenso all’annata che va a concludersi. Ma non mancano all’appello menzioni onorevoli di grandissimo spessore. A partire, guardando agli ultimi mesi, da Cormega e il suo per nulla scontato “The Realness II”. Ci sono poi i ragazzacci di Griselda, che non si sono risparmiati neanche quest’anno; e, tra le tante uscite, le più convincenti sono state sicuramente “Tana Talk 4” di Benny The Butcher, oramai una garanzia, e l’ottimo “Kiss The Ring” con cui ha debuttato Rome Streetz. Infine, per concludere, due album che hanno rispettivamente uno e due piedi nel mainstream. Il primo è “$oul $old $eparately” di Freddie Gibbs. Il secondo è invece “Mr. Morale & The Big Steppers” di Kendrick Lamar: un disco meno dirompente rispetto a quelli del passato, ma altrettanto coraggioso; maturo, molto adulto, che l’ha visto fare un passo indietro da ciò a cui molti suoi colleghi ambiscono. E che lascia un cliffhanger più acuminato che mai su quello che potrà essere il suo prossimo passo.

LORD 216

USA: si può fare un best of l’anno in cui è uscito “The Elephant Man’s Bones” di Roc Marciano e The Alchemist solo se detto best of include “The Elephant Man’s Bones” di Roc Marciano e The Alchemist. Sempre siano lodati. Rendiamo grazie. “Tana Talk 4”. West è la mente, Benny la star, Conway quello con le barre più assurde, non potremmo essere più d’accordo anche noi. Qui funziona tutto perfettamente e Benny The Butcher si conferma un rapper pazzesco. “10“, Westside Gunn. Meno male che nel 2021 doveva smettere, pensa se continuava. Lo aspettiamo dal vivo a gennaio… Honorable mention per “Pay The Ghost” di un redivivo Milano Constantine. Onesto: senza i beat di Big Ghost Ltd non sarebbe stato nulla di che, ma evidentemente Milano l’è un gran milan e paga il Fantasma per qualcosa. Poi lascia stare che ‘sto disco l’abbiamo ascoltato io, Milano e forse qualche adolescente nerdone di Seoul, a me piace.

ITA: dai, devo seriamente? Si?! Vabbe’, facciamo così: guardati un recap delle uscite MRGA 2022, che facciamo prima. Honorable mentions per “Virgin Mary send me nudes“, Enema SDO sempre più pazzesco, D.Ratz produce, Stoned Saints Records garanzia; e “BAR(S)” di Sandro Sù, che è bellissimo. E quindi se ascolto Rap italiano o è MRGA, o Stoned Saints, o GattoPirata – e qualcosa vorrà dire. Poi ho gli spoiler ma voi li saprete solo nel 2023. Giao, auguri.

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