Torae & Marco Polo – Midnight Run
Quattordici anni dopo, ecco sopraggiungere un nuovo riallineamento degli astri e riaffiorare dal sottosuolo una coppia rimasta nei nostri cuori per un motivo molto semplice. La congiunzione collaborativa tra Torae e Marco Polo era infatti risultata tra le più felici di uno stuolo di uscite che, guardandoci un momento dietro le spalle, non aveva esattamente lasciato scie troppo entusiastiche, contraddistinguendo un periodo che si trascina fino a un’attualità nella quale i progetti in grado di evocare l’irresistibile sensazione di essere rispolverati per girare sotto la puntina sono soggetti a un conteggio fin troppo svelto.
“Double Barrel” è parte essenziale di quella limitata selezione, grazie al suo mood così incontrastabilmente newyorkese, al suo essere massiccio ed essenziale, nonché alla combinazione tra due elementi in grado di creare un’intesa del tutto naturale, congeniale per il concepimento di un album rasserenante per come andava a dimostrare che il Rap tutto d’un pezzo non si fosse del tutto liquefatto alla luce dei trend. L’assenza di tempo da spendere assieme per via dei vari coinvolgimenti che hanno assorbito i due protagonisti è la giustificazione atta a spiegare il mancato rapido prosieguo della joint venture: Torae ha temporaneamente smesso di registrare per dedicarsi alla carriera di attore e conduttore radiofonico; Marco Polo è tra i produttori più richiesti del nuovo secolo e, con tutta franchezza, non c’è nemmeno la necessità di chiedersi il perché.
“Midnight Run” perfeziona dunque un seguito chiaramente previsto negli intenti di entrambi, riunendo spiriti affini che ben si intersecano l’uno nelle competenze dell’altro, rispettando i rispettivi spazi e conseguendo in una combinazione gradita oggi allo stesso modo di quasi tre lustri or sono. Il producer canadese pare infatti il macchinista ideale per spingere lo spitter di Coney Island a riprendere il filo delle sue origini, ritrovando quello spirito battagliero a volte lasciato in disparte per esigenze artistiche, le stesse che l’hanno condotto a gestire le realizzazioni soliste con approcci più personali e diversificati, realizzando una traiettoria diversa da quanto “Double Barrel” potesse far presumere. Per quanto avessimo valutato positivamente “For The Record” ed “Entitled” (giusto per rimanere nelle pubblicazioni ufficiali, altrimenti la lista si allungherebbe parecchio) anche in ossequio all’eterogeneità del rispettivo criterio realizzativo (in particolare nella ricerca di sonorità più intime e morbide del secondo, senza tralasciare un impatto lirico costantemente energetico), è un piacere ritrovare un Torae completamente immerso nell’espressione del proprio fuoco interiore, cavalcando quei beat tipicamente ruvidi che tanto ricordano l’assenza di compromessi della Grande Mela di tre favolose decadi fa, pur dovendosi adeguare alle odierne richieste di mercato se non altro nella compressione della tempistica.
Nella mezz’ora scarsa di durata complessiva dei dieci pezzi proposti (undici con bonus) si reperisce la prevedibile tematica del ritorno a difesa della tradizione con molteplici riferimenti all’opera prima, il che non costituisce né un difetto né un problema se la prestazione è quella che il rapper schiera in campo per tutta la durata di questa competizione, mostrando peraltro una padronanza di linguaggio evoluta e una miglior architettura nella costruzione di barre di eguale consistenza dell’acciaio. Nonostante l’intuibilità contenutistica, c’è infatti da registrare una maggiore accuratezza in fase di scrittura da parte di un Torae dotato dello stesso allestimento da combattimento di allora, però di una maturità metrica senz’altro rinnovata. E qui, con l’esimio maestro d’orchestra di Toronto a pigiare i pad dell’Akai, il terreno non può che essere fertile, visto che la cartella di beat fornita certifica per l’ennesima occasione tutta la puntigliosità nell’individuare soluzioni fantasiose dall’estrazione dei campioni, l’arguzia nel comporre le giuste sequenze e nel farle coesistere aggiungedovi parti suonate col sintetizzatore, nonché la cura nel dettaglio, nella pulizia del suono, nella revisione finale del mixing e nell’inserto di quell’arma micidiale che tanti dischi tendono a dimenticare, lo scratch, il quale risalta ed esalta grazie alla sapienza delle mani del venerabile Dj Revolution e del travolgente Shy The BeatYoda, fortunatamente presenti in quasi metà della scaletta.
Sebbene il disco sia stato realizzato un po’ per volta e compatibilmente alle rispettive libertà da altri progetti, non manca una coesione del tutto tangibile, molto professionale, che permette alla risultanza finale di essere goduta tutta d’un fiato, lasciando quel chiaro gusto di soddisfazione confacente alle aspettative. “Reloaded” e le sue fantasmagoriche apparizioni di synth riprendono il discorso esattamente da dove i due l’avevano interrotto creando un ambiente duro e minaccioso, così come la conclusiva “More Danger” è essenzialmente preposta a incarnare un ideale seguito del pezzo originale dando luogo a un pertinente raffreddamento dei nervi cervicali dopo un workout intenso ma appagante. L’estro di Marco vive di completa esposizione in coincidenza di “Grey Sheep”, nella quale l’MPC assorbe ogni singolo pezzettino d’organo per poi rigenerarsi su un nuovo percorso melodico con tanto di variazione di scala, la batteria è secca e precisa, l’insieme è vellutato al punto che la morbida vocalità di Dres avrebbe meritato più di una sporadica apparizione, ma pazienza, a mollare le bastonate giuste ci pensa un Torae spettacolare (<<I’m in the west low ridin’ plain sighting no hidin’/comin’ up on 8 years like Barack and Joe Biden/maybe we Joe Budden and Dub-B, focus man/ain’t no runnin’ up on me, tryin’ we gon see with clarity/word to my brothers Assault Battery, Family Ties, Alex and Mallory, part of my salary>>) e il pezzo gira comunque a mille.
Il flow dispensa improvvisamente incendi nella seconda parte di “Makin’ Up” con le sue rime multisillabiche accostate a ripetizione, fruendo di una delle specialità produttive di casa nella gestione dei sample vocali pitchati, meglio ancora se gli stessi interagiscono con l’argomento del brano. Il giochino è dunque molto simile a quello di “Oh No”, la quale decostruisce “Remember (Walking In The Sand)” dei The Shangri-Las in maniera eccellente, stendendo il tappeto opportuno per l’incedere grintoso del testo, a volte sì un pochino scontato nel wordplay (<<Artifacts Tame One, I’m givin’ you art but it’s facts/and I’m from the wrong side of the tracks>>) ma assai gustoso nella gestione delle assonanze e nell’evidente cura del posizionamento delle sillabe combacianti. L’elegante ascendere di archi di “The Return” attinge evidentemente dal sacco ispiratore che Premier ci ha lasciato in eredità, il taglio generico del pezzo è inequivocabile ma pure piacevole; “Rap Sh*t”, nel suo prendersi cura della genuinità, incolla con destrezza i piccoli elementi vocali al giro di batteria ottenendo un clima rilassato e scorrevole; “Life Behind Bars” è un brano concettuale interpretabile con un intelligente doppio significato, ben sceneggiato e corredato da una tromba molto pulita e sintetizzatori di sottofondo; “Days Of Your Lifetime” è infine l’episodio più riflessivo e prende in prestito la sua musicalità da un coro Gospel.
Un ritorno purtroppo poco pubblicizzato, essenziale testimonial però di tutti i vicendevoli progressi compiuti da due co-protagonisti che non risentono minimamente della possibile ruggine provocata da una pausa così vistosa, frutto di una sintonia etica e lavorativa sulla quale non c’è proprio nulla da eccepire.
Tracklist
Torae & Marco Polo – Midnight Run (Internal Affairs Entertainment 2023)
- Reloaded (Intro)
- The Return
- Makin’ Up
- Oh No
- Grey Sheep [Feat. Dres]
- Life Behind Bars
- Mardi Gras
- Rap Sh*t
- Days Of Your Lifetime
- More Danger
- Go Brooklyn (Bonus Track)
Beatz
All tracks produced by Marco Polo
Scratches
- Shy The BeatYoda: 1, 2, 10
- Dj Revolution: 8
Mistadave
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