A Tribe Called Quest – We Got It From Here… Thank You 4 Your Service

Voto: 4,5

La notizia di un nuovo – nonché ultimo – disco firmato A Tribe Called Quest ha rappresentato uno di quei momenti emozionalmente complicati da gestire, un avvenimento miracoloso giunto a risollevare il morale di tutti gli affezionati a seguito della perdita dell’amato Phife Dawg. Eventi come questo vanno sempre trattati con particolare cautela, anzitutto perché i grandi ritorni non necessariamente eguagliano la pomposità dell’attesa, in secondo luogo per il pericolo di ritrovarsi materiale postumo manipolato ad hoc per finalizzare il progetto stesso, aspetto per fortuna sventato da un’incredibile reunion (se pensiamo a quante volte l’abbiamo sognata…) di fatto sviluppata quando il piccolo, grande Malik si trovava ancora tra noi, a seguito di un’ispirata performance del gruppo davanti alle telecamere del Tonight Show – il vero motivo per cui lui, Q-Tip, Ali e Jarobi avevano deciso di riprendere per un’ultima volta il loro path of the rhythm tutti assieme.

Celebrati ritorni come quello in esame sortiscono ad ogni modo tante, troppe domande. Chi ci saremmo trovati davanti dopo così tanti anni di inattività? Il gruppo si sarebbe reso conto di doversi misurare con dei canoni completamente differenti rispetto all’epoca in cui visse l’apice della propria gloria? Come paragonare il risultato di questa nuova fatica rispetto non ad uno ma ben tre dischi consecutivi che condividono l’aggettivo leggendario? Quale condizione psicologica si sarebbe ripresentata ad anni di distanza a proposito degli attriti occorsi tra Tip e Phife?

Crediamo di non sbagliare sostenendo che il pregio più evidente di “We Got It From Here… Thank You 4 Your Service” sia quello di riuscire a rispondere in maniera rassicurante a tutte queste domande, ricostruendo il cuore spezzato dei fan di vecchia data tramite una chimica di gruppo sostanzialmente intatta, che non cade nella trappola di fornire una brutta copia di sé restituendo al contempo degli A Tribe Called Quest freschissimi, attualizzati ai tempi moderni. Il disco si porta inevitabilmente appresso un’aura magica alimentata dalla prematura scomparsa di Phife, ma non dobbiamo credere che il potenziale emotivo del lavoro sia racchiuso solo in quest’infausto accadimento, perché la qualità prima dell’album è quella di ricucire uno strappo di diciotto anni come se mai nulla fosse accaduto, dandoci un’idea davvero realistica di come sarebbero potuti suonare i quattro semmai si fossero avventurati nel nuovo secolo.

Ed è una sensazione che ha dell’incredibile.

Aggiungiamo un altro aspetto curioso – ci perdonerete la lunga premessa, ma l’occasione è unica – rappresentato dal fatto che possiamo vedere il gruppo all’opera fruendo del concreto contributo di Jarobi, presente negli intermezzi e nei clip di “People’s Instinctive Travels…” per poi sparire completamente dalla scena. La sua è una presenza determinante, che va al di là dell’oggettiva appartenenza al gruppo, in quanto funge da collante per un quadro che neppure i grandi successi del passato avevano reso così completo.

Passando ora a descrivere i contenuti, partiamo immediatamente col sottolineare come le intuizioni di Tip recitino un ruolo fondamentale per il risultato finale dato al sound: essere riuscito a manifestare il suo lato più eclettico in occasione delle sue esperienze soliste ne ha messo in luce la propensione ad oltrepassare l’Hip-Hop più stretto per coniugarlo ad altre influenze, un concetto che il produttore riesce a trasportare con successo anche qui, nella sua figura di coordinatore del progetto. Questo suo orchestrare, suonare, rappare e canticchiare gli permette d’inserire ogni tassello nella posizione corretta, creando un disco che bilancia correttamente ispirazione originaria, modernità e poliedricità.

Tale concetto è avvalorato da particolari episodi, si veda una “Melatonin” pronta a offrire un’ottima interazione tra i minimali virtuosismi della strumentazione e il flow variabile di Q-Tip, che viene arricchito dal contributo del delicato cantato di Abbey Smith a puntellarne le barre. “Solid Wall Of Sound” campiona Elton John ma lo trascina contemporaneamente in studio per comporre un semplice ma intenso passaggio di pianoforte, il suo duetto (ancora con Tip) in chiusura del brano è da pelle d’oca e il tutto è arricchito da uno dei pezzi forti di Phife, la strofa composta mischiando l’inglese al patois giamaicano. “Movin Backwards” lascia invece ampio spazio al vellutato talento di Anderson .Paak, che si prende consistenti porzioni della traccia per porre in primo piano una voce che sembra avvolta nella seta, fondendo perfettamente cantato e strofe Rap.

L’intervento di ospiti di qualità è un altro dei punti positivi dell’operazione. Già detto del contributo di Elton John e denotata la presenza delle eccentriche divagazioni musicali di Jack White su vari pezzi, brani come la spettacolare “The Killing Season” forniscono un’opportunità unica nel suo genere come quella di sentire Talib Kweli all’opera nella cerchia di quei Native Tongues dei quali pare erede più che naturale. L’Elettronica sintetizzata di “Conrad Tokio” propone poi un duetto da sogno tra Phife e un Kendrick Lamar che regala nuove spruzzate delle sue ampie abilità liriche, mentre “Dis Generation” costruisce un ideale confronto tra veterani e tempi moderni sorreggendosi su un’irresistibile accoppiata piano/chitarra e vede veloci passaggi di microfono tra un mc e l’altro rendendo la traccia molto divertente. “Mobius”, ancora, è un caso a sé: Tip si ritira a suonare il basso lasciando il booth a un ispirato Busta Rhymes e un Consequence che non si discosta dallo schema metrico predefinito manco a pagarlo oro, facendo intuire che un’operazione resa per ovvie ragioni parziale dalla dipartita di Phife è stata terminata attraverso soluzioni alternative.

Alcune novità di fatto sono riscontrabili anche nelle tematiche, perché mai il gruppo si era lanciato in considerazioni socio-politiche così forti – ma d’altro canto rese necessarie dal difficile periodo americano attuale. La scelta di comporre la parte introduttiva della scaletta con “The Space Program” e l’eccellente “We The People….” non è casuale, fornendo il tramite ideale per comunicare tutto il disappunto nato dalle ultime vicende presidenziali.

La capacità di bilanciamento tra le differenti attitudini di Tip e Phife viene poi confermata dall’interazione tra pezzi intimi e introspettivi tipici dell’abstract per antonomasia, come la dolce e provocante “Enough!!” e la cospicua presenza di strofe da battaglia intrise di wordplay da sempre distintivi del Five Foot Assassin, mentre “Ego”, oltre che presentare un beat da urlo, è una singolare opportunità per rimediare con il passato, un brano di duplice lettura che si applica tanto alla vita di ciascuno quanto alle vicissitudini del gruppo e le dinamiche con cui si è arrivati allo scioglimento, un doppio fondo che lo rende uno dei passi più interessanti di tutto il lavoro.

Una menzione per conto proprio la merita “Lost Somebody”, che riesce a non essere scontata nella sua natura di tributo grazie alla costruzione di versi di qualità basati su spunti biografici (<<Walt met Cheryl, Cheryl met Walt/trinidadian love sprouting through the asphalt/love was consummated and the angels registrated/two were to be born but only one of ‘em made it/inside a cloud of sorrow, a silver lining and joy/it’s a bouncing baby boy, a king’s name they would employ/and before he even squeaks, it’s decided it’s Malik>>), i quali si aggiungono all’indovinata sintesi nel delineare l’essenza di chi oggi non c’è più (<<heart of a largest lion trapped inside the little dude>>).

“We Got It From Here… Thank You 4 Your Service”, oltre che un bellissimo regalo per chi li ha amati davvero tanto, rappresenta in sostanza la pace dei sensi che libera gli A Tribe Called Quest dal limbo d’incompiutezza in cui erano rimasti intrappolati fin dal loro scioglimento. Cala così il sipario su una delle più grandi band che siano mai esistite, un meritevole lieto fine per chi è stato grande in mezzo ai grandi.

Un sentito grazie di cuore a chi ha reso possibile quest’ultimo, grande urrà.

Tracklist

A Tribe Called Quest – We Got It From Here… Thank You 4 Your Service (Epic Records 2016)

Side A

  1. The Space Program
  2. We The People….
  3. Whateva Will Be [Feat. Consequence]
  4. Solid Wall Of Sound [Feat. Busta Rhymes, Jack White and Elton John]
  5. Dis Generation [Feat. Busta Rhymes]
  6. Kids… [Feat. André 3000]
  7. Melatonin [Feat. Marsha Ambrosius and Abbey Smith]
  8. Enough!!

Side B

  1. Mobius [Feat. Consequence and Busta Rhymes]
  2. Black Spasmodic
  3. The Killing Season [Feat. Consequence, Talib Kweli and Kanye West]
  4. Lost Somebody [Feat. Katia Cadet]
  5. Movin Backwards [Feat. Anderson .Paak]
  6. Conrad Tokyo [Feat. Kendrick Lamar]
  7. Ego
  8. The Donald [Feat. Busta Rhymes and Katia Cadet]

Beatz

All tracks produced by Q-Tip and co-produced by Blair Wells

Scratch

All scratches by George “Dj Scratch” Spivey

The following two tabs change content below.

Mistadave

Ultimi post di Mistadave (vedi tutti)