Westside Gunn – Who Made The Sunshine
Si va verso la fine di un’era. Ci pensate? Dopo anni trascorsi a inondare il mercato di uscite, potrebbe davvero essere l’ultima volta che ci ritroviamo su queste pagine a parlare di un nuovo disco (solista) di Westside Gunn. L’orizzonte da lui tracciato per la fine di questo 2020 si fa sempre meno distante e, dopo il suo esordio sotto l’egida della Shady Records, al netto di ripensamenti e/o improvvisate dell’ultimo minuto (un’eventualità tutt’altro che eccettuabile, conoscendo il personaggio…), potrebbero restare solo il secondo “Hell N Hash” e il tanto anticipato – e proprio da noi evocato, ancor prima di qualsiasi proclama ufficiale – “Gunnlib”, prima della firma sul foglio di congedo dal game.
In un universo organico e in continua espansione come quello Griselda, non è sempre facile riuscire a orientarsi; soprattutto per quelli che hanno attraversato per la prima volta i suoi confini solo in tempi recenti. Uno distoglie lo sguardo per qualche istante e finisce subito per perdersi qualcosa. Ed è forse questo il grande rovescio della medaglia nell’avere una filiera che non conosce turni di riposo. Anche per questo motivo l’attesa per “Who Made The Sunshine” era così elevata. C’era un compito: ancorare le coordinate di un nuovo punto fermo nella rotta e, non meno importante, tracciarne la direzione futura per il dopo-FLYGOD. Il tutto – considerato un budget, è lecito pensare, più alto del solito – senza rischiare di andare a sbattere.
Sulla carta, la formula bruta dell’ultimo manifesto di Westside Gunn è pressoché identica a quella di “FLYGOD Is An Awesome GOD II”. A divergere è invece la struttura secondo cui quegli stessi elementi sono stati ricombinati, in modo da non apparire come una semplice collezione di pezzi raccolti a caso dalla scatola di un puzzle che, pur riuscendo a farti intravedere qualcosa, non permettono all’immagine di palesarsi. “Who Made The Sunshine” è sì adorno delle plumbee atmosfere che per tradizione avvolgono l’asfalto dell’ovest newyorkese, ma queste riescono a non amalgamarsi completamente, evitando così l’insorgenza di quei blocchi nell’ascolto in cui tutto sembra uguale. In altre parole, le tracce mantengono una propria identità, nonostante l’overdose di scale di piano affettate da Beat Butcha e Daringer.
I sempregrigi per eccellenza di casa Griselda infilano le proprie manine – rigorosamente insieme – tra gli ingranaggi in sette occasioni su undici; e lo fanno con l’ottima complicità di chi ha scritto l’ordine della scaletta. Prendiamo “The Butcher And The Blade” e “Goodnight” (nella quale si registra uno dei due cammei di un imperituro Slick Rick); due belle partite di roba con il classico trademark GxFR stampato in bella vista sull’imballaggio. Potevano pestarsi i piedi e invece le hanno piazzate agli antipodi della sequenza. Ora, se quelle due erano coca, “Ishkabibble’s” è puro fentanyl e la presenza del sommo Tariq, mortifero anche quando procede a passo d’uomo sulla strumentale, costringe il FLYGOD a limitare il carico di adlib in favore di qualche geometria verbale in più… E noi ringraziamo.
Passiamo quindi al capitolo ingredienti. Se “Pray For Paris” (con tutte le sue firme) era un ricettacolo di campionamenti, “Who Made The Sunshine” è stato invece suonato da zero. L’assenza di un classico taglia-e-cuci non ha però impedito la tessitura di beat su misura a seconda delle sagome presenti nel booth. Difficile in questo senso pensare a un’accoglienza migliore per la flemma di Boldy James e il timbro rauco di Jadakiss di quella proposta in “All Praises”, che gode pure dell’eccellente lavoro di mixaggio di Young Guru (il quale ha curato interamente il comparto), abilissimo nel carteggiare i contorni di quello che, altrimenti, sarebbe potuto essere uno dei ritornelli più laceratimpani di sempre. “Ocean Prime” e “Big Basha’s” sono gli immancabili afflati a lenta combustione che più Griselda di così non si può. E a rimescolare un po’ i sapori ci pensano poi nell’ordine l’Alchimista nella dissonante “Liz Loves Luger”, gli umori acuminati con cui Conductor Williams allestisce il cupo meeting di “Frank Murphy” e infine Just Blaze, chiamato a ricalcare il punto esclamativo in grassetto con il team al completo in “98 Sabers”.
Il Rap sbruffone di Westside Gunn avrà anche le sue sbavature fisiologiche e “Who Made The Sunshine” non fa eccezione. Non è un capolavoro, perché non credo lo abbia nelle sue corde; non tenta di esplorare nuovi territori, come hanno invece fatto di recente Conway e Benny (a breve vi parleremo anche del suo “Burden Of Proof”). Quel compito di cui abbiamo parlato poco sopra però lo assolve. E molto bene. Difficile ora dire quanti doot doot doot doot doot doot doot siano rimasti nel caricatore; questi però sono andati quasi tutti a bersaglio.
Tracklist
Westside Gunn – Who Made The Sunshine (Roc Nation/Griselda Records/Shady Records 2020)
- Sunshine Intro [Feat. AA Rashid]
- The Butcher And The Blade [Feat. Benny The Butcher and Conway The Machine]
- Ishkabibble’s [Feat. Black Thought]
- All Praises [Feat. Boldy James and Jadakiss]
- Big Basha’s
- Liz Loves Luger [Feat. Armani Caesar]
- Ocean Prime [Feat. Slick Rick and Busta Rhymes]
- Lessie [Feat. Keisha Plum]
- Frank Murphy [Feat. Stove God Cooks, Flee Lord, Estee Nack, ElCamino and Smoke DZA]
- Goodnight [Feat. Slick Rick]
- 98 Sabres [Feat. Armani Caesar, Conway The Machine and Benny The Butcher]
Beatz
- Daringer and Beat Butcha: 1, 2, 3, 5, 7, 8, 10
- The Alchemist: 4, 6
- Conductor Williams: 9
- Just Blaze: 11
li9uidsnake
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