Westside Gunn – FLYGOD

Voto: 4 +

“FLYGOD” era lì che mi aspettava al varco da diversi mesi. Uscito a marzo e seguito già in estate dall’EP “There’s GOD And There’s FLYGOD, Praise Both”, ce ne occupiamo con un pizzico di ritardo ma in tempo per inserirlo tra gli ascolti obbligati dell’anno che volge al termine, album Hip-Hop senza se né ma, perciò equidistante dai principali sottogeneri saliti alla ribalta di recente. Prima di addentrarci nella disamina occorre però rispondere a una domanda: chi è Westside Gunn? Sì, perché mentre gli addetti ai lavori si sbilanciano – con inevitabile approssimazione… – in paralleli che tirano in ballo ora Raekwon, poi Notorious B.I.G. e infine Nas, l’utenza media non sembra del tutto sul pezzo e l’mc gravita ancora in una nicchia poco esplorata; in breve, allora: Alvin Worthy è un classe ’83 originario di Buffalo, fratello del più noto Conway The Machine (che di recente ha rilasciato una marea di featuring) e fondatore, con quest’ultimo e Daringer, della label Griselda Records, la sua carriera si sostanzia nella serie di mixtape “Hitler Wears Hermes”, giunta al quarto volume, e una manciata di apparizioni in famiglia, percorso che proprio in “FLYGOD” trova il sontuoso salto di qualità e ambizioni meno contenute, come s’intuisce fin dalla lettura di una tracklist zeppa di nomi di rilievo.

Esaurita la premessa, chiariamo subito che il disco sorge sulle ceneri di un vissuto non esattamente edificante, raccontato qui a sprazzi e attraverso l’usuale corollario di spocchia (<<don’t compare me to no nigga, nigga I’m me>>) e calci in culo assortiti (<<get money, get killed, niggas scared to get rich/look like somebody wrote all over the raps and the drips>>); l’impronta è quella classica del gangsta Rap – lo dico senza stare a distinguere tra i due versanti oceanici – e non occorrono particolari expertise per capirlo, salvo notare che il rapper ha dalla sua una personalità artistica debordante, tale da imprimere un carattere ben definito all’intera prova. Vuoi per il flow pastoso e spigoloso, vuoi per la cronaca frammentata e istintiva, vuoi per la selezione omogenea dei beat, “FLYGOD” appare infatti solido da ogni angolazione lo si guardi e sgrezzato di qualsiasi residuo presente nei tape, candidandosi a titolo di punta – ad oggi – della piccola etichetta casalinga (magari il nostro Lord, che ci presentava con entusiasmo “Reject 2”, dissentirà).

Facendo un rapido zoom sull’insieme, le liriche di Gunn ruotano attorno a un numero circoscritto di spunti e fanno regolarmente riferimento all’esperienza criminosa, all’uso e allo spaccio di droghe, a una ricchezza più agognata che esibita, alla propria credibilità e via a seguire; come accennato, però, non si tratta né di un resoconto didascalico e pedante né di lineari storytelling a tema, la tendenza è al contrario quella di procedere con una certa libertà e farcire ogni testo di associazioni, descrizioni e citazioni che pescano in un immaginario abbastanza noto (“Free Chapo”: <<I’m Radio Raheem with no boom box/chopper long as a broom, get everyone in the room shot/drum on the Glock, that’s how the goons rock/Vuitton letterman, 350 moon rocks>>), compattando tutto in cinquantotto minuti di pura tensione narrativa.

Aiuta, inutile nasconderlo, un contributo musicale delizioso – tanto che un instrumental bonus disc sarebbe stata la clamorosa ciliegina sulla torta di un’operazione già invitante. Pur affiancato da produttori di grande esperienza, penso a Roc Marciano, Apollo Brown, Statik Selektah e Alchemist, è su Daringer che gravano le maggiori responsabilità di “FLYGOD” e l’individuazione di un mood al contempo austero, minimale, ipnotico e a suo modo elegante, frutto del ricorso costante a sample scurissimi cui talvolta non viene abbinata alcuna sezione ritmica (una via di mezzo tra RZA e KA, per usare l’ennesimo raffronto opinabile). Tirando le fila del discorso, s’impongono subito all’attenzione l’introduttiva “Dunks” (ci pensa Conway a illustrare la filosofia spiccia del collettivo: <<I’m on my motherfucking job/these niggas wanna be king but what’s a king to a God?>>), il pianoforte ossessivo di “Vivian At The Art Basel”, la tetra minacciosità di “Free Chapo” (<<I’ll make sure your whole family get a closed casket/three to the face, shit was so tragic>>) e “Chine Gun” (<<some niggas wanna hate ‘cause I’m greater/sent my son to hang on the calls, Bulgari down three days later/a half a milli in jewels, I had the 40 on me/try if you want, I’ll spill your brains on your trophy>>), l’ottima resa di un singolo per nulla paraculo come “Mr. T” e la succulenta combo con Action Bronson (“Dudley Boyz”), fermo restando che il livello delle tracce sia uniforme e lo skip quasi scongiurato.

Difetti? Una voce acuta e sgraziata che tocca mandar giù così com’è; quei fastidiosi drrrrrrrrrrrr e doo doo doo doo doo sparati in sottofondo ogni tre per due dall’mc; l’abbondanza di ritornelli asinini; una percentuale eccesiva di collaborazioni rispetto alle strofe sovente brevi del protagonista. Quanto basta per acquietare un po’ l’entusiasmo e ritenere “FLYGOD” solo uno dei titoli più interessanti del duemilasedici.

Tracklist

Westside Gunn – FLYGOD (Daupe!/Griselda Records 2016)

  1. Dunks [Feat. Conway The Machine]
  2. Gustavo [Feat. Keisha Plum]
  3. Shower Shoe Lords [Feat. Benny The Butcher]
  4. Vivian At The Art Basel [Feat. Your Old Droog]
  5. Hall
  6. Free Chapo [Feat. Conway The Machine]
  7. Over Gold [Feat. Meyhem Lauren]
  8. Bodies On Fairfax [Feat. Danny Brown]
  9. Chine Gun
  10. King City [Feat. Mach-Hommy]
  11. Omar’s Coming [Feat. Roc Marciano and Conway The Machine]
  12. Mr. T
  13. 50in. Zenith [Feat. Skyzoo]
  14. Sly Green Skit
  15. 55 & A Half
  16. Albright Knox [Feat. Chase]
  17. Dudley Boyz [Feat. Action Bronson]
  18. Outro [Feat. AA Rashid]

Beatz

  • Daringer: 1, 2, 3, 6, 7, 8, 9, 11, 15, 16
  • Camouflage Monk: 4, 18
  • Roc Marciano: 5
  • Tha God Fahim: 10
  • Apollo Brown: 12
  • Statik Selektah: 13
  • The Alchemist: 17

Scratch

  • Daringer: 3, 9
  • Dj Qbert: 10
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