XVI Religion – Milky way
Dopo un silenzio oltremodo prolungato, riecco i 16 Barre – divenuti nel frattempo XVI Religion; un cambio di griffe che sembrava potesse condurre a sonorità e atmosfere ancora più cupe e gotiche rispetto allo standard e che invece ci pone di fronte un collettivo che ha semplicemente deciso di esplorare nuovi territori, sia dal punto di vista progettuale – “Milky way” è un ambizioso concept multidisciplinare, con tanto di (pseudo)fanzine disponibile in cartaceo – che, soprattutto, sonoro, con delle strumentali più eterogenee e facilmente assimilabili, in particolare nell’ultimo quarto del disco che andiamo a commentare.
Il gruppo veneto sfrutta una sorta di tournée intergalattica per raccontare, allo speaker radiofonico/host Bob Hillverm e a tutti i suoi ascoltatori, l’essere umano visto non come centro dell’Universo, bensì come mero coinquilino del macrocosmo. Da questa nuova prospettiva, la visione d’insieme si amplia al suo massimo, la prima persona plurale prende il sopravvento, il bene e il male diventano due facce della stessa medaglia e passato, presente e futuro si sovrappongono l’un l’altro fino a fondersi in un continuum spazio-temporale.
Punto d’osservazione differente, ma visione e approccio che sostanzialmente non cambia rispetto all’esperienza dei 16 Barre: cupi e distopici come da prassi (Benni: <<la mia pelle sta bruciando sul più bello/fra le pareti della testa scoppia il mio cervello/tu parli del dolore, io posso far di meglio/porto il dolore che non svanisce al risveglio>>; e John Princekin: <<per voi vivi in questa chiesa a cantare verso la mia bara/mi dovete ascoltare, vi voglio sentire urlare/come io da vivo ho urlato in ogni pezzo il vostro di funerale>> – “Deep space”) e che ben si adattano anche a questa nuova dimensione macro, con la collettività umana sempre più stretta nella morsa della paura, propagandata e dunque quasi mai reale (<<siediti qua a fianco, sta iniziando lo spettacolo/un mostro che ti punta per sedersi sul tuo tavolo/e ti mente perché inventa di speranze oltre la coltre/storie irrisolte, ogni tuo punto debole è il suo punto forte>> – “La bibbia di Onitor”), e del conseguente odio generalizzato verso il nemico di turno (<<provare il male è un bene, sappiatelo/il Dio del buio vive dentro tutti, accettatelo/…/che tutti parlino, parlino pure/per la stupidità, la felicità non necessita cure/nei plessi torture, quindi tessi la tela per nuove misure/l’odio anestetizza le grandi paure>> – sempre “La bibbia di Onitor”).
In un contesto siffatto, tutto diventa mezza verità, gli amici restano tali fino a quando conviene (<<le promesse sono storie che ci si racconta/perdono pezzi ogni volta che il sole tramonta/amici per sempre, follie, pazzie/amici per sempre ma di bugie>> – “Ricochet”) e ci si nasconde dietro/dentro i social (<<questi si vendono tutto e lo stesso alla fine non riescono a emergere/non ci capisco più niente/ma in testa che frulla alla gente?/Più una cosa li annulla più sembra che sia divertente>> – “The lost boys 3”), una sorta di comunità dove si condivide l’effimero e il banale per sfuggire alla solitudine (<<siamo noi stessi in questa confusione/siamo la causa e il problema, rinchiusi dentro una prigione>>), quando invece l’individualismo dovrebbe essere visto come un valore (<<lunga vita al debole, all’oppresso/a chi per forza di cose ha trovato un leader dentro sé stesso/chiudendo fuori tutto il resto/ha iniziato lentamente ad apprezzare il fatto di essere tanto diverso>> – “La maledizione”).
Poi arriviamo alla traccia numero dieci, “Big trouble in Little Italy”, pezzaccio che oltre a essere un urlo liberatorio a più voci, con la complicità di Zeboh, Mac Myc e Krin183 dal quartier generale dei DSA Commando e un Kappa-O in versione dinamitardo (<<scrivo mentre sto in quarantena/il mondo va a puttane ma faceva schifo già prima/fuori c’è uno scenario post-apocalittico/c’è paura del prossimo e militari a ogni angolo/…/piccolo stupido, non fare il malinconico/che qua appena ti distrai un attimo finisci nel cofano/cose che capitano/sogno il tuo capitano in una cassa di mogano>>), si rivela un vero e proprio spartiacque dopo il quale tutto cambia, con rime e sonorità che si fanno meno cupe e spigolose, arrivando a rasentare ottimismo e orecchiabilità.
“Milky way” si fa così meno opprimente, la nebbia si dirada con la luce che illumina progressivamente ciò che ci circonda, una sorta di “Epiphany” (JPK: <<la vita è vita, non è un’amante né troia/non ha senso perché compiuto il senso sarebbe noia/provaci, io piccolo poeta senza via/l’amore nel cuore dà energia e varco la follia>>; e Benni: <<io non sto temporeggiando/nella stessa anomalia non ho il tempo dalla mia e sta cambiando/e nel suo flusso non arretro/sono cosciente che salita questa nave non si torna indietro>>), un anno zero per consolidare/chiudere col passato e ripartire seguendo fermamente e senza timori una nuova rotta (Benni: <<acconsentire volontariamente ed accettarsi, sai/è come prendere una strada e non voltarsi mai/…/ritrovarsi sempre di fronte ai soliti bivi, la stessa tortura/per non fare come gli altri e confondere il cambiamento con una fuga di paura>>; e JPK: <<puoi parlare con qualunque Dio/ma non cresci così tanto come quando dici addio/identificarsi in altri e strapparsi per ritrovare sé stessi/questa è pura follia>> – “Shadow of the solar system”).
Questa sorta di secondo esordio non che può essere un disco importante per i XVI Religion, in quanto rappresenta il punto di partenza di un nuovo viaggio, una migrazione verso lande inesplorate (o quasi) che però paiono già essere nelle corde gel gruppo. Un lavoro che, seppur imponente (quattordici tracce per un’ora abbondante di musica), riesce a girare agile e piacevole play dopo play; anzi, come il buon vino migliorando con gli ascolti. Prosit!
Tracklist
XVI Religion – Milky way (No label 2020)
- Milky way
- Deep space
- La bibbia di Onitor
- Invisible boy
- Ricochet
- Star cross
- The lost boys 3
- Cradle’s five moments
- La maledizione
- Big trouble in Little Italy [Feat. Zeboh, Mac Myc, Kappa-o e Krin183]
- Epiphany
- Quello che ho dato 2
- Shadow of the solar system
Beatz
Tutte le produzioni di Jack Burton tranne le tracce #2, #4 e #13 co-prodotte da Boulevard Pasteur
Scratch
- Dj Tech: 2, 5, 11
Gabriele Bacchilega
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